È del 1999 la versione definitiva di
L’Ipotesi Metaculturale
Un’ipotesi per la composizione delle diversità
ossia
per la sopravvivenza
Ho scritto più volte questo libro, la
cui incubazione ha avuto inizio più di venti anni prima e il cui seguito
consiste in almeno una quindicina di libri, tra cui anche qualcuno di argomento
musicale…
Dopo questo libro ho continuato per
qualche anno la mia attività di compositore, ma il filo che mi legava la musica
si era irrimediabilmente spento. Nel 2007 la rottura è stata totale. Da allora
non ho più scritto una nota né ho toccato più il pianoforte. Ho potuto
constatare che già un solo anno più tardi non ero più capace di suonare la
prima Sonatina di Clementi. Quando
una decina di anni prima avevo eseguito in pubblico – mediocremente ma in modo
comprensibile – la Hammerklaviersonate
op. 106 di Beethoven. La cosa più strana è che dal giorno dell’addio alla
musica non ho provato alcuna nostalgia per un’attività che per sessant’anni era
stata la mia ragione di vita, per cui credevo di essere nato e che ora mi ero
lasciato alle spalle senza rimpianto. Forse la mia ‘vera’ professione non era
stata la musica, e questa non era stata che una lunga fase di addestramento del
pensiero alle sue prestazioni più mature. La musica: un allenamento al pensiero
filosofico. Non so se l’ho già affidato a qualche pagina: ricordo con
precisione che all’età di undici anni (avevo da poco iniziato lo studio del
pianoforte) mi si presentò alla mente il seguente progetto di vita: studio
della musica per acquisire un’approfondita esperienza estetica, studio della
fisica per una qualche esperienza in campo scientifico, in vecchiaia sviluppo
del pensiero filosofico. Per il resto della mia gioventù e per tutto l’arco
dell’età matura questo progetto l’ho completamente dimenticato. Solo di
recente, con l’abbandono della musica, era riaffiorato con forza, proponendosi
come il mio vero progetto di vita. Non so che ne penserà chi verrà dopo di me, sempre
che la cosa possa interessarlo, ma ho l’impressione che la scoperta di IMC – ritengo infatti che giacesse
latente del pensiero umano – sia stata una di quelle fortune che capitano
raramente e valgono tutta una vita. Sono anche convinto che, se IMC riuscirà a
superare le muraglie ideologiche che la tengono imprigionata in un piccolo
paese della Sabina, cosa invece che non ritengo affatto certa, molte cose al
mondo cambieranno i molti ostacoli che si frappongono tra noi la sopravvivenza
cadranno e ci sarà – ci potrà essere ancora un futuro per la vita sul nostro
pianeta.
Da dove traggo questa convinzione?
Da un luogo cui tutti abbiamo accesso e
che per giunta è in ognuno di noi al medesimo grado di sviluppo: il nostro
cervello o, se preferite, la nostra mente.
Ho
trovato IMC sparsa nei discorsi e nelle testimonianze umane, alla portata di
tutti perché tutti in qualche modo hanno contribuito alla sua formazione. Ed è
in questo senso che parlo di scoperta
e non di invenzione né di costruzione del pensiero: ritengo anche che molto
probabilmente, IMC o qualche sua analoga si trovi, formulate in altre lingue o
linguaggio in altre parti del nostro mondo e sia passata finora inosservata
proprio per la sua modestia e inappariscenza. Che ‘ogni nostro pensiero atto
abbia una componente culturale’ è talmente ovvio che non si vede come la
semplice sua ricorsività possa portare con eguali probabilità alla caduta nel
‘buco nero’ di UMC o alla sopravvivenza. E la cosa più singolare è che tale
alternativa stia unicamente nelle menti umani, ma che proprio noi non siamo in
grado di deciderci per quella favorevole.
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