lunedì 2 ottobre 2017

Tratte XLII.5 – Dal 1995 e le Ipotesi Metaculturali


È del 1999 la versione definitiva di
L’Ipotesi Metaculturale
Un’ipotesi per la composizione delle diversità
ossia
per la sopravvivenza
Ho scritto più volte questo libro, la cui incubazione ha avuto inizio più di venti anni prima e il cui seguito consiste in almeno una quindicina di libri, tra cui anche qualcuno di argomento musicale…
Dopo questo libro ho continuato per qualche anno la mia attività di compositore, ma il filo che mi legava la musica si era irrimediabilmente spento. Nel 2007 la rottura è stata totale. Da allora non ho più scritto una nota né ho toccato più il pianoforte. Ho potuto constatare che già un solo anno più tardi non ero più capace di suonare la prima Sonatina di Clementi. Quando una decina di anni prima avevo eseguito in pubblico – mediocremente ma in modo comprensibile – la Hammerklaviersonate op. 106 di Beethoven. La cosa più strana è che dal giorno dell’addio alla musica non ho provato alcuna nostalgia per un’attività che per sessant’anni era stata la mia ragione di vita, per cui credevo di essere nato e che ora mi ero lasciato alle spalle senza rimpianto. Forse la mia ‘vera’ professione non era stata la musica, e questa non era stata che una lunga fase di addestramento del pensiero alle sue prestazioni più mature. La musica: un allenamento al pensiero filosofico. Non so se l’ho già affidato a qualche pagina: ricordo con precisione che all’età di undici anni (avevo da poco iniziato lo studio del pianoforte) mi si presentò alla mente il seguente progetto di vita: studio della musica per acquisire un’approfondita esperienza estetica, studio della fisica per una qualche esperienza in campo scientifico, in vecchiaia sviluppo del pensiero filosofico. Per il resto della mia gioventù e per tutto l’arco dell’età matura questo progetto l’ho completamente dimenticato. Solo di recente, con l’abbandono della musica, era riaffiorato con forza, proponendosi come il mio vero progetto di vita. Non so che ne penserà chi verrà dopo di me, sempre che la cosa possa interessarlo, ma ho l’impressione che la scoperta di IMC – ritengo infatti che giacesse latente del pensiero umano – sia stata una di quelle fortune che capitano raramente e valgono tutta una vita. Sono anche convinto che, se IMC riuscirà a superare le muraglie ideologiche che la tengono imprigionata in un piccolo paese della Sabina, cosa invece che non ritengo affatto certa, molte cose al mondo cambieranno i molti ostacoli che si frappongono tra noi la sopravvivenza cadranno e ci sarà – ci potrà essere ancora un futuro per la vita sul nostro pianeta.
Da dove traggo questa convinzione?
Da un luogo cui tutti abbiamo accesso e che per giunta è in ognuno di noi al medesimo grado di sviluppo: il nostro cervello o, se preferite, la nostra mente.
Ho trovato IMC sparsa nei discorsi e nelle testimonianze umane, alla portata di tutti perché tutti in qualche modo hanno contribuito alla sua formazione. Ed è in questo senso che parlo di scoperta e non di invenzione né di costruzione del pensiero: ritengo anche che molto probabilmente, IMC o qualche sua analoga si trovi, formulate in altre lingue o linguaggio in altre parti del nostro mondo e sia passata finora inosservata proprio per la sua modestia e inappariscenza. Che ‘ogni nostro pensiero atto abbia una componente culturale’ è talmente ovvio che non si vede come la semplice sua ricorsività possa portare con eguali probabilità alla caduta nel ‘buco nero’ di UMC o alla sopravvivenza. E la cosa più singolare è che tale alternativa stia unicamente nelle menti umani, ma che proprio noi non siamo in grado di deciderci per quella favorevole.

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