martedì 24 ottobre 2017

Tratta XLVI.3 – Allora perché?


[La manifestazione è terminata con molti feriti, qualcuno anche grave, ma senza incidenti mortali. Questo si deve probabilmente all’intervento, piuttosto tardivo e non troppo incisivo, delle forze dell’ordine. Inoltre questa volta l’intento solo dimostrativo per nulla aggressivo del corteo era particolarmente evidente, soprattutto da quando una considerevole parte dei manifestanti ha preso a imitare i poliziotti a fermare i black block nella loro opera distruttiva.
Allora perché?
C’è nel giovane un istinto negativo contro l’esistente volto con ogni probabilità a creare spazio per il possibile. Solo in un secondo momento subentra l’istinto di conservazione a tutela della propria identità. Ma si tratta veramente di istinti o c’entra in qualche modo anche la cultura? E, se è così, non potrebbe la scuola almeno rendere i giovani coscienti e responsabili delle loro azioni? E, all’idea di questo, non dovrebbe la scuola offrire dei modelli non competitivi, basati sulla consapevolezza e sul rifiuto della violenza, anche solo mentale, quale viene normalmente praticata da parte di chi sa di più su chi sa di meno? E, ancora oltre, non potrebbe la società tutta rinunciare al concetto asimmetrico di ‘superiorità’, traendo il massimo profitto da quello, simmetrico di diversità: tanto sei diverso da me quanto io da te. Il vantaggio di un tal modo di pensare è evidente: la complessità del vivente permette la compensazione reciproca delle diversità, cosicché l’equilibrio resta in buona parte garantito, mentre resta disponibile ancora una sufficiente dose di disequilibrio a disposizione della trasformazione e del nuovo. È ipotizzabile una tale società? È abbastanza plastica da sfuggire alla sclerotizzazione del comunismo di marca sovietica? Non sappiamo. Dipende però da noi stabilire quanta parte di squilibrio, di instabilità concedere alla società perché conservi la plasticità che reputiamo necessaria al cambiamento (più che allo ‘sviluppo’, che potrebbe aver raggiunto il suo massimo compatibile con il pianeta). Inoltre ci viene oggi in aiuto – e sarebbe finalmente un aiuto effettivo, non solo apparente – la tecnologia predittiva che ci informerebbe, momento per momento, sulle probabilità che determinate decisioni influenzino in un modo o nell’altro il futuro corso degli avvenimenti. Continueremmo a vivere nel rischio, ma con la possibilità di calcolarlo in anticipo secondo la curva di Gauss e non secondo l’arbitrio dei detentori del capitale.
Ripeto: è possibile questo?
Non sono un esperto di economia né di finanza. Intuisco che le difficoltà sarebbero notevoli ma non insuperabili con i mezzi a nostra disposizione. Se siamo riusciti a creare nei millenni sempre nuove forme di instabilità, garantite dalla politica, dalle religioni, dalle ideologie, dal potere e dalla forza, non vedo perché non potremmo fare lo stesso con la stabilità. Si obietterà che, se le posizioni di instabilità sono infinite, la stabilità ne ha una sola. Obiezione senza fondamento, basta pensare a una sfera, per cui ogni posizione su un piano è stabile. Così, se riuscissimo a collocare gli stati di un sistema sulla superficie di una sfera avremmo risolto il problema. Forse con scarsa soddisfazione per chi in quel sistema ci deve vivere, perché avrebbe ben poco da sperare dal domani. Ma la sfera non sarebbe mai perfetta e il sistema non omeostatico. Le sue fluttuazioni, prevedibili entro certi limiti, assicurerebbero – anche questo entro certi limiti – la vivibilità del sistema, vivibilità che né l’omeostasi, né la casualità in cui viviamo sono in grado di garantire.
Quindi, stando a quanto qui si ipotizza, una via di uscita dell’attuale crisi ci sarebbe, a costo però di smantellare il nostro modello di sviluppo, il che è come dire il nostro modello di società. Non la democrazia nei suoi termini più generali, ma questa democrazia con le sue insostenibili diseguaglianze sociali, con un futuro accessibile a pochi, dove peraltro anche a quei pochi il futuro si annuncia di breve durata, perché senza lavoro ogni esistenza è destinata a rapida morte, e anche la nostra non fa eccezione.]


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