venerdì 31 ottobre 2014

Tratta XX.5 – Siamo troppi!



Siamo troppi!

[Dialogante 2]   Troppi in tutti i sensi. Anzitutto per quanto consumiamo. La Terra è finita e finite sono le sue capacità produttive, mentre le nostre di consumare non sembra ne abbiano un limite. E non penso tanto ai consumi alimentari, che pure ci obbligano ad accrescere di continuo lo sfruttamento superficiale del pianeta…
[Dialogante 1]   … sottraendo spazio fisico ai nostri compagni di viaggio, che pure fanno la loro parte nel mantenerci in vita. Basti pensare al mare, dei cui prodotti vive una buona parte di noi, che non ci limitiamo a nutrircene, ma stupidamente li distruggiamo con la sola nostra presenza inquinante.
[Dialogante 2]   Per assurdo infatti i nostri consumi non solo agiscono direttamente sulle risorse che la Terra ci offre, ma molto di ciò che non consumiamo, lo trasformiamo in agenti inquinanti, come ci mostrano le discariche cittadine o, peggio, i gas che immettiamo nell’atmosfera o le immense isole di rifiuti che si addensano in vari punti dei nostri oceani.
[Dialogante 1]   Più assai che alle nostre necessità elementari –e i loro inevitabili sprechi– l’inquinamento della superficie terrestre si deve alle trasformazioni energetiche che per le più diverse vie induciamo sulla materia che ci circonda e di cui siamo fatti. Così il carbone, bruciando, genera calore e questo a sua volta movimento, cioè energia cinetica che si trasforma in lavoro e quindi in vita. Ma al tempo stesso il carbone produce scorie, tra cui anidride carbonica. Questa, si dirà, viene utilizzata dalle piante che a loro volta, non solo sono ingredienti fondamentali del nostro quadro alimentare, ma dall’anidride carbonica estraggono il principio vitale per eccellenza, l’ossigeno. Tutto bene, se non fosse che per le altre nostre esigenze distruggiamo alacremente proprio il manto verde che, ricoprendo buona parte della superficie terrestre, ci fornisce il gas di cui più di tutto abbiamo bisogno.
[Dialogante 2]   Oggi però non serve più il carbone per produrre energia. Abbiamo a disposizione direttamente la fonte primaria: l’atomo. E tra non molto la quantità di energia ricavabile in un modo o nell’altro da questa fonte sarà illimitata. E non ci resta che dire: ancora una volta, tutto bene, se non fosse che la materia. Sollecitata nel suo intima da mani non sufficientemente esperte, ci sta avvisando sempre più spesso che la soglia che ci separa dall’incontrollabile è ormai vicinissima…
[Dialogante 1]   Siamo troppi e ingordi per giunta, e l’ingordigia ci porta alla cecità.
Sappiamo molto di più di quanto detto in queste poche righe, eppure ci comportiamo come se non sapessimo nulla. Chi ci governa, quale che sia il suo colore politico, ci indica la ‘crescita’ come via di uscita, anche se tutti vediamo in lei la via per l’autoannientamento.
[Dialogante 2]   Forse, se la società globale si riorganizzasse per un moderato welfare di tutti, potremmo sperare in qualche secolo aggiuntivo…
[Dialogante 1]   … o, se la tecnologia evolvesse con rapidità oggi inimmaginabile…
[Dialoganti 1 e 2, congiuntamente]   … potremmo ancora farcela…
[Dialogante 2]   Ma le probabilità si fanno ogni giorno più scarse…
[Dialogante 1]   … tanto più che remano contro, irresponsabilmente, ideologia e religione.
[Dialogante 2]   Un giorno su due sentiamo dalla voce del papa parole sulla sacralità della vita umana fin dalla sua concezione, parole che suonano come una condanna a morte per miliardi di individui.
[Dialogante 1]   Un tempo questa sacralità, proclamata in Africa o in America latina, assicurava ancora per qualche decennio un certo numero di milioni di sudditi alla Chiesa (che di vera e propria sudditanza si tratta); oggi perì che l’informazione, grazie ai mass-media –che per una volta non mi sento di condannare– bene o male circola in ogni parte del mondo, c’è da sperare che tale sudditanza si rompa e che gli uomini –tutti, senza distinzione di razza o di cultura– si disabituiscano alla cecità delle ‘fedi’, e si accorgano di possedere –ancora una volta tutti senza eccezione– un cervello capace di pensiero autonomo e quindi di autonoma decisionalità.
Certo, perché questo cervello funzioni al meglio serviranno ancora tempo e molte cancellazioni ma, se qualche speranza ancora ci resta, è in lui, più che in tutto il resto.

giovedì 30 ottobre 2014

Tratta XX.4 – Siamo troppi!




 [In XX.3 ho espresso la speranza che il titolo di questo scritto fosse ormai definitivo. Ecco invece una nuova formulazione, per cui esprimo la medesima speranza:
Ponti, scambi, incroci, snodi
Metafore ferroviarie per un libro che non scriverò mai]

– – – – –

[Dialogante 2]   Siamo troppi!
[Dialogante 1]   Forse non in assoluto, ma per come siamo distribuiti e organizzati.
[Dialogante 2]   Troppi quelli che vivono al limite della sussistenza.Che muoiono –molti ancora bambini– di fame, di sete, di malattia, di guerra, di incuria, di emarginazione.
[Dialogante 1]   Troppi noi che viviamo di un welfare immeritato…
[Dialogante 2]   … e troppi quelli che vivono nella sovrabbondanza, nella ricchezza smisurata, in un eccesso che la maggioranza degli umani neanche riesce a comprendere.
[Dialogante 1]   Eppure anche costoro fanno due braccia e due gambe, un cuore e una mente come tutti, e non c’è nessuna prova che sappiano pensare o amare meglio degli altri.
[Dialogante 2]   Comunque si voglia intendere la giustizia, una situazione del genere non è giustificabile da nessun punto di vista…
[Dialogante 1]   … a meno che non si voglia abolire del tutto quel concetto, il che ci porterebbe in tempi brevissimi all’autodistruzione…
[Dialogante 2]   … mentre con la giustizia oggi vigente a livello planetario i tempi che ci separano dall’autodistruzione sono solamente brevi, dell’ordine di poche decine, tutt’al più centinaia di anni.
[Dialogante 1]   Se poi volessimo dar retta a ciò che ci dicono le religioni, in particolare la nostra, credo ci converrebbe cominciare da subito far le valige per Marte.

martedì 28 ottobre 2014

Tratta XX.3 (ix) – Uguaglianza



[Dialogante 2]  Parola senza riscontro alcuno nella realtà. Non esistono due oggetti, due persone, due pensieri uguali.
[Dialogante 1]  Si parla per approssimazione: di due oggetti, persone, pensieri simili al punto che possiamo dirli quasi uguali.
[Dialogante 2]  E, se nel confrontarli ci interessasse proprio il punto di quel quasi?
[Dialogante 1]  Certo in quel punto non sarebbero uguali.
[Dialogante 2]  E come facciamo a sapere se il punto che andiamo a toccare non è quello della diseguaglianza?
[Dialogante 1]  Non possiamo.
[Dialogante 2]  E allora non ci converrebbe considerare i due oggetti, persone, pensieri caratterizzati da diversità anziché da eguaglianza?
[Dialogante 1]  L’uguaglianza è in grado di ‘caratterizzare’ alcunché?
[Dialogante 2]  Forse sarebbe più ‘logico’ vedere nella diversità la norma e nell’uguaglianza l’eccezione…
[Dialogante 1]  … cosicché a essere caratterizzante sarebbe piuttosto quest’ultima.
[Dialogante 2]  Diversità e uguaglianza (come anche similitudine, affinità ecc.) non sono comunque proprietà individuali, predicabili ciò di un solo individuo:
Marco è simile –
Quel sasso è uguale (diverso, affine…) –
Nessuno le possiede da solo, ma sono rilevabili soltanto nell’inverificabile spazio del ‘confronto’ tra oggetti, persone, pensieri…
[Dialogante 1]  Quindi non hanno una propria ontologia, ma dipendono da quella altrui.
[Dialogante 2]  Eppure a esse fanno capo ideologie che hanno segnato il destino di interi popoli…
[Dialogante 1]  … a riprova della stoltezza umana…
[Dialogante 2]  … dì piuttosto della stoltezza delle ideologie e della labilità della mente umana, disposta a ogni alitar di vento a rinunciare alla propria autonomia.
[Dialogante 1]  Ma, se non possiamo attribuire certe proprietà ai singoli individui, come possiamo attribuirle ai loro raggruppamenti?
[Dialogante 2]  Infatti non lo facciamo e, quando diciamo che bianchi e neri sono diversi tra loro, non abbiamo ancora affermato o negato nulla su di loro, e così quando predichiamo la loro uguaglianza o diversità.
[Dialogante 1]  Allora, anche quando peroriamo la causa della fratellanza universale, parliamo del vuoto? O forse dell’ovvio, che non richiede alcuna perorazione?
[Dialogante 2]  E anche ammettendo che in qualche modo ‘uguaglianza’ e ‘diversità’ servano a ‘distinguere’ –la prima– e a ‘equiparare’ –la seconda–, è del tutto insensato istituire una ‘gerarchia’ che faccia emergere l’una o l’altra.
[Dialogante 1]  Questa gerarchia non può che essere una sovrimpressione a priori, e non ci dice nulla neppure sugli oggetti, persone, pensieri cui si applica. Di conseguenza sarebbe bene, soprattutto se vogliamo servircene per istituire una graduatoria, fare a meno dai concetti di uguaglianza e diversità e considerare tutti e uguali e diversi allo stesso titolo.

lunedì 27 ottobre 2014

Tratta XX.3 (viii) – Partecipazione



[Dialogante 1]  Se ne parla nelle più diverse situazioni:
  partecipazione alle spese, ai guadagni
  partecipazione alla discussione
  partecipazione a un dolore, una gioia
  partecipazione al governo, a una responsabilità
………
[Dialogante 2]  Il termine è oggi centrale nella politica, in particolare per caratterizzare un tipo di democrazia in opposizione alla democrazia rappresentativa, tuttora dominante.
[Dialogante 1]  Nominalmente, il comunismo avrebbe mirato a una democrazia partecipativa con i soviet, i consigli di fabbrica, di quartiere ecc.; nei fatti non è riuscito neppure a instaurare una democrazia…
[Dialogante 2]  C’è però da domandarsi: c’è qualcuno veramente interessato a una partecipazione diretta ai momenti decisionali, quando si tratta di mettersi in gioco come persone…
[Dialogante 1]  … con le proprie convinzioni, il proprio status sociale, i propri averi?
[Dialogante 2]  Non è molto più comodo delegare ad altri le decisioni, anche le proprie, riservandosi il diritto, se le cose vanno male, di cambiare la delega?
[Dialogante 1]  Penso che il successo della democrazia rappresentativa sia dovuto in massima parte proprio alla propria deresponsabilizzazione, ma è anche vero che, data la complessità dello stato moderno, con le divergenti esigenze dei suoi abitanti, i giganteschi interessi da gestire, la pressione della concorrenza da equilibrare, il governo di ognuno di questi stati richiede un insieme di competenze che il comune cittadino non possiede. È quindi necessario ripartire queste competenze entro un team di ‘esperti’, capaci di indirizzare il governo del paese nella direzione più favorevole al suo sviluppo. Ecco, quindi le ‘Camere’.
[Dialogante 2]  E gli eletti dal voto popolare sono effettivamente all’altezza del loro compito?
[Dialogante 1]  Che domanda! Ovviamente no.
[Dialogante 2]  E, nel considerare la “direzione più favorevole” allo sviluppo del proprio paese, si tiene conto anche al benessere degli altri?
[Dialogante 1]  Che domanda! Ovviamente no.
[Dialogante 2]  E, nell’individuare la “direzione più favorevole”, si tiene conto anche di ciò che è ‘favorevole’ alla conservazione del pianeta entro i limiti della vivibilità?
[Dialogante 1]  Che domanda? Ovviamente no.
[Dialogante 2]  E alla vivibilità di domani, ci si pensa?
[Dialogante 1]  Che domanda? Ovviamente no.
[Dialogante 2]  E allora che ci stanno a fare i nostri rappresentanti?
[Dialogante 1]  Dì piuttosto: che ci stiamo a fare noi tutti se deleghiamo ad altri le risposte a queste domande?

domenica 26 ottobre 2014

Tratta XX.3 (vii) – Gerarchia



[Dialogante 1]  È una delle più nefaste implicazioni del potere.
[Dialogante 2]  Non ti sembra di esagerare un po’? In fin dei conti la gerarchia diluisce il potere distribuendolo su più gradi.
[Dialogante 1]  Non lo diluisce, lo molteplica. La somma dei vari sottopoteri supera di gran lunga il potere del primo, perfino nelle dittature.
[Dialogante 2]  Perché tutti si allineano con il primo.
[Dialogante 1]  D’altronde, se non si allineassero, se cioè ciascuno aspirasse a una piena autonomia, ne nascerebbe un generale disorientamento, il caos.
[Dialogante 2]  È appunto a salvaguardia del caos che si autogiustificano il potere e la gerarchia.
[Dialogante 1]  Il rimedio peggiore del male.
[Dialogante 2]  Se non ti sapessi critico dell’autonomia quanto del potere, gerarchizzato o no, direi che ti sei buttato acriticamente in braccio all’anarchia.
[Dialogante 1]  E diresti male. Non nego qualche residuale simpatia per il pensiero anarchico, ma non vado al di là di questa. La radicata antipatia per il potere, anche e soprattutto nella sua declinazione gerarchica, credo mi derivi dalla infantile esperienza del fascismo con la sua militarizzazione di tutti gli aspetti della vita associata.
[Dialogante 2]  Tra le conseguenze della gerarchizzazione che anch’io non sopportavo c’era, non tanto la sottomissione al superiore di grado, quanto la tracotanza di questo, che pretendeva di estendere la sua ‘superiorità’ molto al di là della fascia che portava al braccio.
[Dialogante 1]  Mi viene il sospetto che la mia, la nostra avversione per la gerarchia nasca da amor proprio offeso, sentimento che alla stupidità unisce il ridicolo.
[Dialogante 2]  Come sempre, vai al di là del segno.
[Dialogante 1]  Preferisco la tracotanza alla suscettibilità.
[Dialogante 2]  Da quando siamo usi a dichiarazioni di principio?
[Dialogante 1]  Potere e gerarchia le meritano.
[Dialogante 2]  Sai che cosa ti manca?
[Dialogante 1]  Che cosa?
[Dialogante 2]  Un pizzico di relativismo metaculturale.

sabato 25 ottobre 2014

Tratta XX.3 (vi) – Ricchezza



 [Dialogante 1]  “È più facile che un cammello…” con quel che segue , anche se –come mi è stato detto– si tratta di una traduzione errata. Fatto sta che le religioni aversano in genere la ricchezza, forse –dicono i maligni– perché vogliono tenerla tutta per sé.
[Dialogante 2]  Anche la morale corrente guarda con sospetto la ricchezza, soprattutto se la vede in tasca d’altri.
[Dialogante 1]  Per non parlare poi della giustizia, che vi vede un ottimo terreno d’indagine.
[Dialogante 2]  Come mai allora la ricchezza sembra essere in cima ai desideri umani?
[Dialogante 1]  Semplice, la ricchezza è l’equivalente di ogni desiderio. Il ricco ha a sua disposizione l’universo del desiderabile, al punto che non val più la pena desiderarlo.
[Dialogante 2]  Basta la ricchezza in sé, che in alcuni casi assume l’aspetto di un incubo e diventa un’ossessione.
[Dialogante 1]  Quindi non da neppure il piacere che promette quando non v’è.
[Dialogante 2]  Se poi si considera che la ricchezza, quale può darla la finitezza del nostro pianeta, si riequilibra con la povertà in qualche altra parte, non è da meravigliarsi se c’è chi la considera come un furto.
[Dialogante 1]  Talvolta capita anche a me di considerare ‘ladro’ chi ha troppo, ma dove comincia il troppo? Mi guardo intorno nella mia casa di benestante: e se avessi già oltrepassato il confine? Appartenessi anch’io alla categoria dei ladri?
[Dialogante 2]  Probabilmente vi apparteniamo tutti il che annulla la categoria.
[Dialogante 1]  Inoltre non la metterei sul moralistico.
[Dialogante 2]  Domandiamoci piuttosto: così come siamo, siamo eco- o sociocompatibili? E la domanda che Kant, mutatis mutandis, poneva a fondamento della morale?

venerdì 24 ottobre 2014

Tratta XX.3 (v) – Concorrenza



[Dialogante 1]  La concorrenza è diffusa in tutta la biosfera. Le piante bisognose di luce concorrono per un posto al sole, le altre per un posto all’ombra.
[Dialogante 2]  Ancora più evidente è la concorrenza nel mondo animale. La televisione ci mostra pressoché quotidianamente le lotte intraspecifiche per il predominio nel branco, per le priorità di accesso al cibo, ‘il diritto’ all’accoppiamento, quelle interspecifiche per il possesso di un territorio, addirittura tra ordini e classi, come un tempo lontano la concorrenza tra rettili e mammiferi per il dominio del pianeta.
[Dialogante 1]  C’è da domandarsi perché, vista una così larga diffusione, proprio a noi uomini, i campioni della concorrenzialità, è venuto in mente (solo ad alcuni per la verità) di ridurre, se non di abolire la concorrenza, almeno tra conspecifici.
[Dialogante 2]  In realtà questa idea era già venuta in mente ad api, formiche e termiti e, seppure in forma assai meno radicale, anche ad alcuni vertebrati.
[Dialogante 1]  In qualche modo gli stessi uomini hanno costruito delle barriere ideologiche –pietà, fratellanza, uguaglianza– per arginare la furia devastante della concorrenza.
[Dialogante 2]  Oggi poi, che il potere distruttivo dell’energia atomica ha messo in forse la nostra stessa sopravvivenza, quella, che da Darwin in poi è stata considerata una legge generale del vivente, credo, crediamo vada sottoposta al controllo della mente.
[Dialogante 1]  E, al punto in cui siamo, questo controllo deve spingerci fino all’abolizione…
[Dialogante 2]  … direi piuttosto alla sostituzione col principio, altrettanto diffuso, della sinergia, come quella tra funghi e alghe nei licheni…
[Dialogante 1]  … che, guarda caso, vivono anche loro sulla superficie di allori a pietre…
[Dialogante 2]  … come noi che viviamo sulla superficie del nostro pianeta.