mercoledì 31 agosto 2016

Tratta XL.4 – …popolaresca, priva di sussiego…

 

[Potremmo continuare per pagine e pagine a enumerare carenze e negatività del personaggio – e che di un personaggio si tratti è difficile dubitare. Come infatti sarebbe giunto ad essere il capo del governo, ma soprattutto ad avere un tale consenso elettorale se, a fronte delle sue carenze e negatività, non avesse delle qualità che almeno l’elettore medio percepisce come positive. Vediamo.
Dicono che sia simpatico, anche se il termine è troppo generico per essere significativo. Il suo comportamento appare cordiale e disinvolto, disinibito, quasi inconsapevole del suo ruolo, il suo linguaggio semplice, da tutti comprensibile, spesso infiorato di aneddoti, battute, barzellette, non sempre – anzi, quasi mai – di buon gusto; anche la gestualità non è sempre commisurata alle situazioni, in compenso è popolaresca, priva di sussiego. Quanto ai contenuti dei suoi atti comunicativi, sono in genere tenui, problematici, compiacenti verso l’interlocutore di cui sono convinti di tradurre il pensiero, come nella sua stereotipata invettiva contro inesistenti ‘comunisti’. Elemento di forte attrattiva e la sua straordinaria ricchezza, di cui non fa mistero, che mai reclamizza, ma senza sfacciataggine, quasi che l’esser tanto ricco sia l’ovvia conseguenza del suo talento imprenditoriale. In ogni caso la sua generosità, come già detto, compensa largamente lo squilibrio economico tra lui e la maggioranza dei suoi elettori, che non provengono, come si potrebbe pensare, solo dalla borghesia medio-alta, a quelle legherebbe la comunanza di interessi, ma altresì dal ‘popolo’ che vedrebbe in lui la possibile realizzazione dei suoi ‘sogni proibiti’.
E le donne? Stando a un recente sondaggio tra le giovanissime di un liceo romano, l’ottantatré percento delle intervistate ‘ci starebbero’ per un invito ad Arcore. Se questo è il risultato – ma ho i miei dubbi – allora si spiega anche il successo della persona e l’assenso duraturo ai suoi comportamenti.

Questa assai superficiale analisi del fenomeno Berlusconi va almeno completata da un altrettanto superficiale analisi del comportamento della controparte: come è stato possibile un così tenace a una così evidente mediocrità umana e a una altrettanto evidente nullità di disegno politico?]

martedì 30 agosto 2016

Tratta XL.3 – …'modello comportamentale'…


[Dialogante 1]  E che dire degli ‘scandali berlusconiani’?
[Dialogante 2]  A dire il vero sono assai poco interessato. Anche gli aspetti ‘morali’ del suo comportamento non mi sembrano siano argomenti degni di particolare attenzione, non fosse che per il fatto che siamo costretti tutti i giorni a leggerne sui giornali, a sentirne i resoconti televisivi.
[Dialogante 1]  Però se ne occupa anche, e insistentemente, la stampa straniera.
[Dialogante 2]  Questo è effettivamente un punto su cui riflettere. Che l’Italia interessi il mondo soprattutto per questioni di escort, di spiritosaggini del nostro premier – del tutto sprovvisto, oltretutto, di senso dell’umorismo – è cosa che dovrebbe occuparci, e non tanto per la cosa in sé, ma perché vuol dire che non rappresentiamo più null’altro su cui valga la pena di soffermarsi.
[Dialogante 1]  Non credo neppure io sia la futilità degli argomenti a far occupare le colonne dei giornali o le rubriche dei notiziari televisivi. È piuttosto lo scadimento qualitativo delle nostre agenzie d’informazione a incuriosire ma anche a preoccupare il lettore straniero, consapevole del fatto che la nostra presenza – non secondaria – nell’Unione Europea potrebbe, se l’Italia non fosse più in grado di mantenere la sua posizione, essere un pericoloso fattore di instabilità per tutte le nazioni collegate.
[Dialogante 2]  E la funzione di ‘modello comportamentale’ che, volere o no, inerisce a ogni carica pubblica?
[Dialogante 1]  Non credo che questa funzione si eserciti fuori dai confini nazionali, credo però che essa sia abbastanza forte al loro interno. “Se c’è riuscito lui, o può permetterselo, non vedo perché non posso anch’io.” È un modo di pensare primitivo, che poi agisce ancora nelle nostre menti, acculturate si, ma non per contrastare questo primitivismo di comodo.

[Dialogante 2]  C’è poi il fatto principale: che nell’elenco presentato al primo paragrafo di questa sestina, Berlusconi non è più competente di te e me, né è in grado di sopperire con l’intelligenza alle sue macroscopiche incompetenze.

lunedì 29 agosto 2016

Tratta XL.2 – … dissolto il proprio lavoro…


Siccome non sono competente (non so, non capisco) delle cose di cui nella precedente lista – e in molte altre ancora – , non scriverò il predetto libro ma mi limiterò alla presente ‘tratta’, non potendo purtroppo cancellare quella percorsa dalla nostra gente dalla ‘discesa in campo’ di Berlusconi in poi. O forse dovrei antedatare la tratta a un imprecisato tempo precedente, per esempio agli anni del boom economico (anni Sessanta)? Sarebbe come chiederci quando ha avuto inizio e quando è finito il fascismo o il comunismo. La storia è punteggiata di date ma conosce solo – seppure – i percorsi (le ‘tratte’). E così ‘Berlusconi’ non è che un nome, significa però una tendenza, un modo di pensare già diffuso nella popolazione, non solo italiana. E qual è questo modo di pensare?
Quello centripeto che convoglia ogni interesse su di sé, voglio dire sulla persona che ha quell’interesse. Dicono che Berlusconi sia estremamente generoso di natura; non esito a crederlo, in quanto la generosità si dà a vedere come centrifuga mentre è il suo contrario, sempreché se lo possa permettere senza pregiudizio per la sostanza, che nel nostro caso pare che sia notevolissima.
Qui entra in gioco un mio pregiudizio che riconosco come tale, ma de cui non riesco a liberarmi, anche perché non trovo un alleato sufficientemente forte nella ragione: ritengo le persone troppo ricche (ma quando la ricchezza è troppa?) penalmente perseguibili (non dirò ‘colpevoli’ che implicherebbe un giudizio ‘morale’ in cui non voglio invischiarmi). E la ‘pena’ dovrebbe consistere nel restituire alla società almeno l’80% del patrimonio accumulato: in altre parole una ‘patrimoniale’ secca da corrispondersi in euro o in strutture produttive a compensare le diseguaglianze sociali. Si dirà che nessuno avrà più voglia di essere produttivo per poi vedere dissolto il proprio lavoro nell’anonimato sociale. Ed è qui che occorrerebbe una mutazione culturale. La produzione in quanto tale andrebbe a beneficio della società tutta (non necessariamente limitata ai confini nazionali), che dal conto suo saprebbe a chi dovere tale beneficio. Nulla di nuovo: l’opera di molti artisti, pensatori, ricercatori, scienziati è di questo tipo. Né Mozart, né Kant, né Ariosto[1] né Einstein hanno visto il loro ruolo dissolversi nell’anonimato. Ampliando l’Io fino a comprendere la natura umana e oltre, la soggettività non si perde, addirittura si rafforza[2] uscendo dalle strettoie particolaristiche per respirare un’aria di effettiva, non ideologica libertà.
Non possiamo incolpare Berlusconi di non saper uscire dalle angustie della sua persona. Tutti noi ne siamo incapaci ma evitiamo per questo di atteggiarci a salvatori della politica quando ci interessa di fatto soltanto di serbare noi stessi e ciò che riteniamo sia nostro. E su questo punto, sul concetto di proprietà dovrebbe prodursi la mutazione culturale cui ho accennato.
Ma non abbiamo già assistito a una tale mutazione, con le conseguenze che sappiamo? Forse quelle conseguenze non si debbano tanto alle riflessioni sul concetto di proprietà quanto alla non avvenuta mutazione. In tal modo le conseguenza sono tate imposte – dove è stato possibile – senza che il nuovo stile di pensiero, maturato nella angustia, non di una persona, ma di una buia biblioteca londinese, avesse ricevuto un’adeguata convalida sociale. Diffusa con la forza in una regione, pur vastissima, ma non ancora conquistata dall’ideologia del ‘progresso’, la nuovissima ideologia della ‘parità’ si offriva a tutti gli oppressi come potente strumento di riscatto sociale e al tempo stesso veniva percepita come inammissibile ostacolo sul proprio cammino. La violenza fisica del progresso ha avuto facile ragione della relativa inerzia della parificazione e si è imposta come vincitrice su tutto il pianeta. Non ha però fatto i conti col pianeta stesso e si trova oggi in una crisi che la induce a riconsiderare sotto tutt’altra luce la scontata alternativa di una pregiudiziale parificazione e pacificazione universale, da cui partire per avviare la mutazione (meta)culturale necessaria alla sopravvivenza.
Questa semplice riflessione è inaccessibile al ‘nostro’, o a tal punto contraria ai suoi interessi da fargli perfino di passare por un incapace mentale a veder messa in dubbio la sua ideologia del possesso.]



[1]             Parva sed certa mihi.
[2]             Vedi Ich hoch sechs, Parabole.

domenica 28 agosto 2016

Tratta XL.1 – Se fossi…



[Se fossi competente di economia
se fossi competente di finanza
se fossi competente di politica
se fossi competente di manageriato
se fossi competente della cosa pubblica
se fossi competente del privato
se fossi competente del commercio
se fossi competente dell’industria
se fossi competente del lavoro
se fossi competente di diritto
se fossi competente dell’organizzazione sindacale
se fossi competente dell’organizzazione statale
se fossi competente dei rapporti internazionali
se sapessi bene che cos’è una banca
se sapessi se le banche sono strutture pubbliche o private
se sapessi che cosa sono le banche centrali
se sapessi che vuol dire la ‘moneta unica’
se sapessi la differenza fra federazione e confederazione
se sapessi perché alcuni sono ricchissimi e molti poverissimi
se sapessi che vuol dire ‘democrazia’
se sapessi che vuol dire ‘Italia’,
mi piacerebbe scrivere un libro dal titolo:

Silvio Berlusconi
ovvero
il fallimento della democrazia in Italia]

lunedì 15 agosto 2016

Tratta XXXIX.6 – … un posto nell’Olimpo…


[Dialogante 2]  È piuttosto improbabile che qualcuno ci dia retta se insistiamo nella denigrazione della condizione culturale a cui noi uomini siamo specificamente legati e a nessun costo sapremmo rinunciare.
[Dialogante 1]  Non si tratta infatti di rinunciarci, ma di innalzarla di livello, di portarla cioè ad un grado di consapevolezza che chiamiamo ‘metaculturale’, ma che non è esterna né superiore a nessuna cultura, anzi probabilmente resterà per qualche tempo al di sotto delle nostre capacità culturali, così come l’istinto vince spesso sulla più approfondita delle riflessioni.
[Dialogante 2]  Ma allora perché insistiamo tanto nella critica al concetto di ‘cultura’?
[Dialogante 1]  Per impedirne la cristallizzazione ideologica, per salvarla dall’ipostatizzazione che ne segnerebbe la fine.
[Dialogante 2]  Una fine prematura, quando non ha ancora sviluppato neppure le sue stesse premesse.
[Dialogante 1]  Allora anche tu pensi che la condizione di riflessività metaculturale sia un’ulteriore tappa dell’evoluzione umana?
[Dialogante 2]  Sì, a patto che a questa come alle altre tappe non attribuiamo una marca di valore crescente. Non credo che valiamo più dei dinosauri e neppure più dei radiolari.
[Dialogante 1]  E Dante, Michelangelo, Bach?
[Dialogante 2]  Noi uomini abbiamo tutti i diritti di assegnare loro un posto nell’Olimpo che abbiamo creato, ma non penso che questo Olimpo culturale abbia il diritto di essere riconosciuto fuori dall’UCL[1] entro cui l’abbiamo creato.
[Dialogante 1]  Anche l’arte quindi, il pensiero non conoscono gli assoluti?
[Dialogante 2]  Certo che li conoscono! E noi con loro, perché sappiamo nominare l’UCL di riferimento. Ma perché mi fai ripetere per l’ennesima volta cose che sai benissimo?
[Dialogante 1]  Repetita iuvant. Siamo didattici!




[1]             Universo Culturale Locale

domenica 14 agosto 2016

Tratta XXXIX.5 – … che ci costringa a ripensare tutto il pacchetto…



[Dialogante 2] In definitiva stai dando la colpa del dissesto biologico in cui viviamo alla cultura, di cui noi uomini andiamo così orgogliosi… 
[Dialogante 1] … e a cui dobbiamo la rapidità del progresso che ci sta conducendo alla fine.
[Dialogante 2] Pur essendo io d’accordo con questa diagnosi, vedo nella cultura l’unica forza che possa farci cambiare rotta. 
[Dialogante 1] Sì, se saprà anche riconoscersi in questo suo aspetto distruttivo, se cioè saprà riflettere su se stessa metaculturalmente, quasi uscendo momentaneamente dalla condizione culturale…
[Dialogante 2] … ma questo, almeno secondo IMC, è impossibile… 
[Dialogante 1] … e per questo ho detto ‘quasi’.
[Dialogante 2] E come pensi ci possa riuscire? 
[Dialogante 1] Appunto autoriflessivamente e relativizzando ogni tappa del suo percorso.
[Dialogante 2] Cioè? 
[Dialogante 1] Evitando di considerarle punto di arrivo, ultima soluzione del problema.
[Dialogante 2] Scusa, ma vedo due possibili direzioni: 
1. da un lato parli di una ‘momentanea’ uscita dalla condizione culturale mentre prevedi un percorso a infinite tappe, 
2. se le tappe sono infinite, non riusciremo mai a percorrerle tutte.
[Dialogante 1] Ad ambedue le direzioni rispondiamo con il concetto di ‘arresto’, che conosci benissimo, ragion per cui che ritengo solo ‘didattiche’ le tue obiezioni.
[Dialogante 2] Ogni tanto abbiamo bisogno anche noi di rinforzarci a vicenda sulla nostra ipotesi, IMC, in quanto è ancora prematuro che un rinforzo possa giungerci dall’esterno.

[Dialogante 1] Comunque, dopo tanti anni un rinforzo non sarebbe male che ci raggiungesse, magari anche negativo, che ci costringa a ripensare tutto il pacchetto, a cominciare dall’ipotesi fondante.

sabato 13 agosto 2016

Tratta XXXIX.4 – … passa da una generazione all’altra.


[Dialogante 1]  No, i poveri coleotteri – e i molti altri insetti – se ne vanno senza aver capito neanche il perché. Le cellule ‘per capire’ si sono sviluppate in altri animali e non in loro.
[Dialogante 2]  Così almeno pensiamo noi, che ci reputiamo gli unici capaci di capire veramente…
[Dialogante 1]  mentre ci accorgiamo ad ogni passo che al passo precedente non avevamo capito niente e bisognava ripensare il tutto.
[Dialogante 2]  Gli animali invece, piccoli o grandi, hanno capito tutto quello che gli serviva di capire e del resto non si preoccupano.
[Dialogante 1]  Li diremmo ‘saggi’ per questo?
[Dialogante 2]  La saggezza è una prerogativa di chi saggio non era ma ci è diventato…
[Dialogante 1]  … e gli animali, per sopravvivere, hanno dovuto esserlo fin dall’inizio, e quindi dovremmo trovare per loro un altro aggettivo…
[Dialogante 2]  … per esempio ‘adattato’?
[Dialogante 1]  Ma è molto strano che uno nasca ‘adattato’ piuttosto che adattarsi un po’ alla volta.
[Dialogante 2]  Forse il processo di adattamento non è individuale ma riguarda tutta la specie.
[Dialogante 1]  Vuol dire che l’informazione necessaria per adattarsi passa da una generazione all’altra.
[Dialogante 2]  Intravedo due vie: o questa informazione viene ‘comunicata’ dagli individui di una generazione a quelli della successiva, come facciamo noi uomini, o viene ‘trasmessa’ per via genetica, cioè viene ricevuta misteriosamente alla nascita, come viene ricevuto il colore degli occhi o la forma del piede.
[Dialogante 1]  In quest’ultimo caso credo che l’adattamento sia molto più lento perché il passaggio dell’informazione richiede molto più tempo, il tempo che passi l’intera generazione che la trasporta.
[Dialogante 1]  Quindi intravedo un conflitto tra le due modalità di trasmissione, e alla lunga uno squilibrio in chi usufruisce di tutt’e due, cioè nella specie umana sopratutto…
[Dialogante 1]  … che però è in grado, grazie alla trasmissione inter-individuale, cioè ‘culturale’ di destabilizzare tutto il sistema biologico del pianeta.


venerdì 12 agosto 2016

Tratta XXXIX.3 – (Storiella evoluzionistica per chi non ne sa proprio niente)


[Dialogante 2]  Questa faccenda dell’occupazione del tempo da parte della nostra specie, credo che dovremmo pensarla meglio.
[Dialogante 1]  Hai ragione. Per cominciare mi sembra che questa occupazione sia cominciata molto prima della comparsa dell’uomo.
[Dialogante 2]  E quando?
[Dialogante 1]  Dalla comparsa della vita, cioè della duplicazione cellulare, quando la singola cellula era al tempo stesso garanzia di un secondo tempo occupato da un’altra cellula nel futuro.
[Dialogante 2]  Occupato sì, virtualmente, come il biglietto di uno spettacolo occupa preventivamente il posto assegnato al suo possessore.
[Dialogante 1]  Ma la semplice duplicazione, non facendo che riprodurre sempre lo stesso modello, non garantiva la vita contro attacchi, non alla singola copia, ma al modello.
[Dialogante 2]  E chi avrebbe potuto attaccarlo se la vita non disponeva che di quell’unico?
[Dialogante 1]  Ecco che, col tempo (qualche centinaio di milioni di anni) gli errori nella riproduzione avevano prodotto altri modelli capaci di duplicarsi. Ma la situazione, con tutti quei modelli rigidi, insidiati da modelli altrettanto rigidi, era troppo statica per sfidare il tempo. E allora la vita ha cominciato a rovistare all’interno delle cellule, differenziando unità più piccole – i geni – combinando e ricombinando le quali ha raggiunto quella variabilità che le permetteva di far fronte ad ogni evenienza.
[Dialogante 2]  In particolare si è accorta che alcune cellule, molto somiglianti tra loro salvo che per alcuni geni, erano molto inclini ad accoppiarsi e ad accrescere così la variabilità delle coppie stesse. E questo supermodello ‘a due’ si è rapidamente imposto eliminando un po’ alla volta tutti i concorrenti con pochissime eccezioni.
[Dialogante 1]  La sua carta vincente è stata proprio l’affidabile occupazione di larghe porzioni di tempo.
[Dialogante 2]  Ora però quest’affidabilità sta venendo meno e la vita dovrà inventare altri meccanismi per sopravvivere alla sua stessa prorompenza.
[Dialogante 1]  Ma fermiamoci un momento qui, alle soglie del futuro. Siamo proprio sicuri che tutto è cominciato con la vita, con la duplicazione cellulare? Prima di duplicarsi ci doveva ben essere qualcosa da duplicare.
[Dialogante 2]  Certo, la ‘materia’.
[Dialogante 1]  ‘Materia’ è una parola che non ci dice nulla dell’oggetto così chiamato. Chi ci dice poi che sia un oggetto come il tavolo su cui, o la penna con cui scrivo?
[Dialogante 2]  Lo diciamo noi, i padroni del linguaggio…
[Dialogante 1]  … ma non delle cose che il linguaggio nomina, perlomeno non di tutte.
[Dialogante 2]  La ‘materia’ è ciò di cui le cose sono fatte.
[Dialogante 1]  Non quindi una cosa, ma una variabile della quale non possiamo dire altro che è diversa per ogni cosa.
[Dialogante 2]  Questo sarà stato vero un tempo, oggi conosciamo delle costanti – materiali o energetiche – comuni a tutto ciò che esiste.
[Dialogante 1]  ‘Costanti’ tuttavia che tali non sono e che ogni generazione di studiosi descrive a modo suo e in forma assai diversa da quello che gli ‘uomini della strada’, quali siamo, pensano siano proprie della materia.
[Dialogante 2]  Non è da escludere tuttavia che, a furia di pensarla diversamente, un bel giorno capiremo una volta per tutte.
[Dialogante 1]  Il cielo ce ne scampi!
[Dialogante 2]  Ma come, non vorresti arrivare a ‘capire’?
[Dialogante 1]  A capire che cosa?
[Dialogante 2]  Tutto quello che c’è da capire.
[Dialogante 1]  Dopo di che non ci resterebbe che scomparire, come oggi i coleotteri.
[Dialogante 2]  … Avessero già capito tutto loro?


[Vedi Musica-società 266. Der Mensch kommtzu sich selbst per collegarci con il pensiero già espresso lì].