domenica 28 ottobre 2012

Indifferenza?


[468]
Quel che mi stupisce, per non dire che mi spaventa, è l’indifferenza di gran parte del mondo giovanile di fronte a questa condanna punitiva inflittagli da chi a quel mondo non appartiene più da un pezzo. E non mi riferisco tanto a coloro che occupano con pervicacia posizioni di privilegio nelle società, quanto a quelli che sono già in fila per occuparle non appena verranno lasciate libere. È la società che affonderà se stessa senza aver neppure tentato un cambiamento di rotta. Altre rivoluzioni che ci hanno preceduto hanno cercato il rinnovamento a costo di compiere un salto nel buio. Certo, sono fallite, risparmiando però a noi di ripetere gli stessi errori.
La crisi odierna è forse peggiore delle precedenti, ma non sembra essere in grado di produrre ipotesi di uscita che non riproducano stancamente modelli del passato sia di destra che di sinistra.
L’inventiva messa in campo dalle forze politiche di allora, non è oggi che un debole ricordo. Così come sono solo un ricordo le mobilitazioni giovanili di quegli anni e l’entusiasmo con cui ci si buttava in avventure dall’esito quanto meno incerto, le rinunce che si affrontavano pur di non restare ‘al palo’…
[Si raccomanda di riflettere su questo postino congiuntamente al seguente]

sabato 27 ottobre 2012

Condizioni


[467]
 Il ragionamento del precedente postino è tautologico: poiché per sopravvivere non c’è che da volerlo e noi lo vogliamo. Sembrerebbe tutto risolto. Ma ci sono delle condizioni e [non so se è e oppure o]
1)      … noi non crediamo che ci siano
2)      … vorremmo per prima cosa eliminarle
3)      … ci piacerebbe che a pagare per questa eliminazione fosse altri
4)      … confidiamo nella tecnologia
5)      … forse per sopravvivere non basta volerlo
6)      … al precedente ragionamento manca il consenso del nostro pianeta
7)      … per ottenere questo consenso non basta la nostra richiesta
8)      … non siamo disposti a nessun risarcimento
9)      … e a noi tutta questa faccenda della sopravvivenza interessa solo fino a un certo punto, non tanto da far rinunciare coloro che pensano a una frazione del loro benessere, anche se questa rinuncia li toccherebbe solo di striscio, il grosso essendo riservato ai nostri figli e nipoti.

mercoledì 24 ottobre 2012

Se ci servisse a evitare la tragedia...


[466]
Abbiamo così fabbricato un ponte tra ideologia e realtà. Come tutti i costrutti teorici, anche questo ‘ponte’ va considerato come facente parte più della prima categoria che della seconda, più ideologia che realtà. Tuttavia, se il ponte ci servisse a evitare la tragedia di un terzo conflitto mondiale, credo che varrebbe la pena di non andare troppo per il sottile e di dar valore di verità anche a un espediente metodologico.
Ma come, in che senso questa reificazione di un espediente metodologico ci farebbe evitare un conflitto reale? Più che farcelo evitare ci darebbe la possibilità di evitarlo lasciando a noi l’intera responsabilità della scelta.
Conosciamo ormai non solo la conseguenza di un tale conflitto e che nessun guadagno varrebbe a compensarlo; conosciamo il modello di sviluppo che ha come conseguenza, più presto che tardi, quel conflitto; conosciamo le ideologie che sostengono quel modello; sappiamo anche che l’unica ideologia da reificare è ormai la sopravvivenza. Non resta che farlo.

lunedì 22 ottobre 2012

Raggio applicativo del criterio 'sopravvivenza'


[465]
Ammettiamo di veder accettato il ‘criterio della sopravvivenza’ come base ideologica delle nostre azioni, domandiamoci quale dovrebbe essere il suo raggio applicativo, se individuale, esteso all’intera biosfera, addirittura a tutto l’esistente. Negli animali cosiddetti superiori il criterio della sopravvivenza si mantiene in genere entro i limiti della soggettività ‘individuale’, ampliata tutt’al più a una soggettività ‘famigliare’ o ‘di branco’. Tutt’altra cosa nel mondo degli insetti sociali, dove la sopravvivenza individuale può passare in second’ordine nei confronti di quella sociale. L’uomo è probabilmente l’unico animale ad essersi costruito una soggettività specifica, anche se assai spesso è il concetto di specie umana a essere vincente su tutte le altre, anche prese nel loro insieme. Fino a non molto tempo fa si pensava che la nostra sopravvivenza dipendesse solo da noi, quasi che fossimo padroni della nostra specie come delle altre. In un certo senso avevamo anche ragione, giacché è abbastanza facile distruggerle –tutte, compresa la nostra-, assai meno conservarle. Sia come sia, il ‘criterio di sopravvivenza’ è, da quando l’abbiamo preso nelle nostre mani, il principale regolatore dei nostri comportamenti e, tramite i rapporti che ci legano alla biosfera e all’esistente nella sua interezza, l’unico criterio in base a cui assegnare un ‘valore ideologico’ a ciò che succede.

domenica 21 ottobre 2012

Consenso unanime?


[464]
Non illudiamoci che il consenso possa essere unanime, ci sarà sempre una frangia di delusi della vita che, almeno a parole, non accettano la sopravvivenza come criterio valutativo principe dei nostri comportamenti. Molte, troppe sono le ideologie che contrastano perfino l’elementare istinto di sopravvivenza. Del resto anche a livello istintuale, una formica ‘guerriera’ lascerà che le strappino la testa anziché aprire le mandibole, una volta che si siano richiuse su un –vero o presunto– nemico. Le valutazioni vanno intese in termini statistici, non va quindi ricercata per esse una formulazione che impieghi più di tanto la nostra coscienza. Affermazione –questa– che verrà forse giudicata superficiale e moralmente indegna, ma che, in nome dello stesso criterio di sopravvivenza, appare meno pericolosa di una che peschi più a fondo nella nostra ‘interiorità’.

venerdì 19 ottobre 2012

Caratterizzazione


[463]
Non è tanto una valutazione e tanto meno una gerarchizzazione dei modelli cui penso si dovrebbe tendere, quanto una loro caratterizzazione il più possibile oggettiva. Sappiamo tuttavia benissimo che il criterio dell’oggettività è sostenibile solo in relazione a un modello di riferimento. Dove trovare un tale modello in assenza di un’ideologia di una religione che ne si faccia garante?
La risposta democratica è: nel consenso.
E dove trovare un termine, una proposizione che ottenga un numero sufficiente di consensi anche fuori dai comandamenti ideologici e religiosi?
Quasi tutti ci teniamo, se non singolarmente, almeno a livello di gruppo, a sopravvivere in una forma o nell’altra. Diamo quindi –arbitrariamente e in mancanza di meglio– statuto ideologico di ‘valore assoluto’ alla sopravvivenza, comunque intesa, e misuriamo le nostre azioni, le nostre parole su questo valore: quanto più parole a atti gioveranno alla nostra (di tutti) sopravvivenza, tanto più alto il ‘valore’ che gli riconosceremo. Non siamo però neanche a metà strada del percorso che ci siamo prefissi (si vedano i postini seguenti).

mercoledì 17 ottobre 2012

Esplorarne in parallelo più di uno


[462]
A parziale correzione della domanda posta a chiusura del postino precedente, più che tollerare o promuovere l’insegnamento politico come disciplina autonoma nelle scuole di tutti, converrebbe piuttosto praticare una riflessione politica ‘metaculturale’ sulle implicazioni politiche in tutte le discipline curricolari ed extracurricolari presenti nelle scuole. E allora, perché non fare lo stesso anche per le religioni? Anziché concentrarsi su un determinato modello, esplorarne in parallelo più di uno, anche tra quelli non praticati nella regione in cui si trova la scuola in questione. Lo stesso si potrebbe fare con i modelli politici, non necessariamente partitici, e allora lo stadio comparato, basato essenzialmente sulle loro conseguenze pratiche sull’economia, i rapporti famigliari e comunitari, le pratiche sociali e la morale corrente. Anche se di tutto questo non si vuol fare una disciplina autonoma, sarà bene che le università istituiscano dei corsi specifici per la formazione di operatori (meta)culturali, in grado di svolgere un delicato percorso formativo che metta in rilievo sia le affinità che la peculiarità che legano tra loro o differenziano i vari indirizzi ideologici e religiosi.

martedì 16 ottobre 2012

Perché non?


[461]
La domanda posta nel precedente postino è, per così dire, a risposta pagata: la frontiera tra ideologia e religione non permette una separazione netta. In molti casi –per esempio sulle interpretazioni fondamentaliste dei credo religiosi– vi è una quasi identificazione, frequente causa di conflitti particolarmente cruenti perché alimentati da cieco fanatismo.
La domanda suggerita da quest’altro postino: se tolleriamo, addirittura promuoviamo nella scuola l’insegnamento religioso, perché non facciamo altrettanto con l’insegnamento politico?

lunedì 15 ottobre 2012

Valore doppio


[460]
Non penso che le società tutte, in particolare la democrazia, abbiano guadagnato granché dal suffragio universale, e non certo per l’estensione del voto alle donne –che anzi a mio parere dovrebbe avere valore doppio perché meno inquinato da ideologismi irriflessi–, ma per non essere accompagnato da alcun tipo di formazione politica. Anzi, quando una tale formazione c’è stata –per esempio sotto regimi totalitari– ha avuto sempre carattere settorialmente partitico. E la formazione religiosa, tuttora vigente nella maggior parte dei paesi, può dirsi politicamente neutra o indifferente?

domenica 14 ottobre 2012

Raffica di domande


[459]
È abbastanza ovvio che la consapevolezza politica non è un tutt’uno con l’adesione anche solo ideale a un partito. È buona l’adesione a un’ideologia politica che abbia dato cattiva prova di sé nella storia?
Che vuole dire aver dato cattiva prova di sé? Come si valuta la prova che un’ideologia avrebbe dato di sé? Con il numero di vittime prodotte per la sua realizzazione? Con i benefici che questa avrebbe portato localmente? Che estensione ha quel luogo? E cosa è successo fuori da quel luogo?
Chi valuterà le ideologie e come?
La valutazione di un’ideologia politica è giusto che si basi sui fatti che ne sono conseguiti?
È giusto che un’ideologia politica venga giudicata sulla base di un’altra ideologia, per esempio religiosa?
Nel valutare un’ideologia, contano le azioni?
Nel valutare la azioni, contano le ideologie per cui sono state compiute?
[Domande di questo genere potrebbero essere discusse nella fase metaculturalmente riflessiva di un qualsiasi percorso formativo, disciplinare o meno.]

venerdì 12 ottobre 2012

Differenziazione


[458]
Quale potrebbe essere un modo per rendere la democrazia più rappresentativa del pensiero politico degli elettori?
·        La qualificazione del voto attraverso il censo o la casta del votante.
·        La differenziazione del voto attraverso la pluralità dei partiti.
·        La differenziazione interna del voto articolandolo in forme di indagine conoscitiva.
·        La regionalizzazione dei votanti in relazione a tematiche legate al territorio.
·        L’istituzione delle Regioni (o di organismi equivalenti).
·        La riduzione (abolizione) dei periodi di campagna elettorale.
·        L’inclusione della politica tra le discipline formative.
·   L’inclusione di una fase metaculturalmente riflessiva in ognuno dei percorsi formativi, così da accrescere la consapevolezza politica degli elettori.
[Va da sé che la mia opinione va in direzione dell’ultimo modello. Non escludo che ve ne possano essere di migliori, ma sul momento non me ne vengono in mente altri.]

giovedì 11 ottobre 2012

IMC e democrazia


[457]
Considerazioni cavillose del tipo qui riproposto a livello ontologico sono possibili anche in politica, in particolare entro una cornice per molti versi analoga a quella metaculturale, qui adottata: la cornice democratica. Credo sia la prima volta che mi avventuro in un parallelismo a dir poco osé, tra IMC e democrazia. Un neologismo a fronte di un modello politico plurimillenario! Al di là della dignità anagrafica, sarebbe interessante individuare convergenze, se vi sono, tra il venerando modello politico ateniese, la sua versione moderna e la neonata Ipotesi Metaculturale. Qualificando ‘neonata’ IMC si commette una vistosa scorrettezza. Nulla infatti di nuovo è possibile rintracciare in IMC né a livello etimologico né a livello di contenuto, come più volte si legge in questi postini e negli altri numerosi scritti sull’argomento. Dato per scontato che nulla di radicalmente nuovo vi sia in IMC, resta il fatto che la sua riformulazione al giorno d’oggi e soprattutto le sue conseguenze sul piano formativo e, come si vede, anche su quello culturale-politico la rendono degna di attenzione più di quanto immediatamente intuibile.
Quali sono, allora i legami tra democrazia e IMC?
Occorre prescindere da possibili rapporti diretti in quanto né i rappresentanti italiani dell’era democratica hanno mai mostrato il minimo interesse per IMC, né l’ipotesi stessa ha mai chiaramente esplicitato un legame genetico con quell’area. Alcune affinità sono tuttavia evidenti, tanto però quanto lo sono certe discrepanze, prima fra tutte la permanenza, in democrazia, di ‘valori assoluti’, per esempio la ‘democrazia’ stessa. Si obietterà che anche IMC ha di primo acchito l’aria di una proposizione assoluta se non fosse che il termine ‘ipotesi’ esclude questa interpretazione. Come detto ormai decine di volte, IMC ammette gli assoluti, purché localizzabili. Tanto poco ‘democrazia’ aspira alla localizzazione che, lì dove non c’è, si tenta di imporla con la forza. Molte sono però le convergenze che permettono di associare il pensiero metaculturale alla democrazia come suo strumento mentale privilegiato: così la frantumazione d’un potere assoluto centrale in una pluralità di ‘voci’ paritarie da integrare nell’unicità di una voce risultante ottenuta per via automatica, per mano del calcolo. Solo che, riducendosi il ‘voto’ a una minuzia puramente statistica, la componente critica, argomentativa va completamente persa, o meglio affidata a una minoranza teoricamente preparata –i ‘politici’–, ma strettamente legata a interessi economici e di potere, quindi assai poco atta a rappresentare il pensiero variegato –e irriducibile a unità– di una moltitudine. 

domenica 7 ottobre 2012

Ricorsività


[456]
Sarebbe comunque non meno dogmatico il rifiuto di un pensiero ancorato a ‘valori non negoziabili’. Chi pensasse così avrebbe probabilmente in mente valori effettivamente caduchi; pochi infatti ammetterebbero il ritorno a sistemi coercitivi medievali e quasi tutti ci dichiareremmo d’accordo per la loro definitiva soppressione. Non sarebbe sensato né coerente con un’impostazione metaculturale del pensiero respingere gli assoluti solo quando non ci troviamo d’accordo per poi chiudere un occhio quando sono di nostro gusto. Questo ci pone di fronte a difficoltà superabili solo relativizzando a sua volta la stessa IMC. È quindi possibile una dogmatizzazione anche di quest’ultima, da cui unire attraverso la riproduzione ricorsiva dello stesso procedimento. IMC ha una sua assolutezza nella ricorsività. E qui sta a noi, al nostro arbitrio, decidere se accettare un’assolutezza ottenuta attraverso questo procedimento oppure no. Se l’accettiamo, come per esempio la Chiesa ha accolto alcune dimostrazioni dell’esistenza di Dio, è una prevaricazione ideologica pretendere che altri l’accettino. Lo stesso vale ovviamente per ogni analoga pratica da parte di altre religioni.

sabato 6 ottobre 2012

Debole, non paralizzato


[455]
Senza escludere, se necessaria, un’interpretazione disciplinare della politica, riservata a certe professionalità, non nascondo la mia preferenza per la visione orizzontale, inter– o transdisciplinare della stessa. Questo per la mia incompetenza specifica, comune però a molte altre persone che non per questo declinano ogni responsabilità e neppure rinunciano al diritto di pronunciarsi in materia. Oggi solo in pochi casi i principali avvenimenti politici mondiali vengono discussi nelle scuole e, quando lo sono è quasi sempre in un’ottica di parte, ideologica. È come se il concetto di politica non potesse che essere partigiano. Forse, se sapesse liberarsi di questa ipoteca, il dialogo politico sarebbe più produttivo. Altri dicono che, senza una netta distinzione ideologica, senza chiari ‘valori’ in cui credere e da difendere, il pensiero resterebbe debole e come paralizzato. Quanto al primo aggettivo, sono d’accordo, a patto di intendere ‘debole’ come relativistico, non dogmatico; quanto alla quasi identificazione di ‘debole’ con ‘paralizzato, mi appare decisamente fuori luogo, perché a essere paralizzato vedrei piuttosto il pensiero dogmatico, ancorato a ‘valori non negoziabili’.

venerdì 5 ottobre 2012

Transdiscipline


Isabella Sforza e Federico da Montefeltro
[454]
Accatastando postini su postini, mi ritrovo spesso a riprendere argomenti già trattati in precedenza magari da tutt’altro punto di vista e pensando a considerazioni in apparenza opposte. Talora l’opposizione è però reale e sono i casi, più interessanti, di effettiva autocontraddizione, e allora questa è indizio di un più o meno radicale cambiamento di pensiero, indotto da esperienze o letture intervenute nel frattempo, o anche da sopraggiunte nuove riflessioni. In generale tuttavia l’opposizione è appunto solo apparente: così quando a breve distanza di tempo ho parlato della politica come di una specifica disciplina analoga alla storia e alla geografia, o come una sorta di transdisciplina, trasversale a un certo numero di esse. Considero infatti le transdiscipline come aventi un doppio statuto, disciplinare l’uno in quanto proprio di una determinata disciplina, transdisciplinare l’altro in quanto in comune con altre. Per esempio molte musiche recenti esibiscono strutture grammaticali endomusicali e al tempo stesso strutture regolate da rapporti matematici. Così anche la pittura di Piero della Francesca ubbidisce a criteri rinascimentali che interpretano la verosimiglianza in termini di proporzioni numeriche.
In questo senso la ripetitività, indubbiamente criticabile in questi postini, in altri casi potrebbe addirittura essere un fattore costitutivo caratterizzante una particolare forma pittorica, espressa in maniera straordinariamente convincente nelle due teorie parallele di vergini e martiri lungo la navata centrale di S. Apollinare in Classe a Ravenna.
Più in generale si può avanzare l’ipotesi che ogni espressione artistica di una certa complessità sia analizzabile secondo vari sistemi parametrici. E le conseguenti valutazioni non possono che essere diverse, perfino opposte. Al conservatorio parlavo in questi casi di servizio a due padroni!

martedì 2 ottobre 2012

Il più ampio consenso possibile


[453]
Come molte altre parole, forse tutte, ‘politica’ è di significato indefinito finché non la qualifichiamo in qualche modo: politica agricola, industriale, estera, interna, sociale, economica ecc. C’è però il significato più usuale del termine, riferito ai rapporti di forza elettorale – in sostanza al numero dei votanti l’uno o l’altro dei partiti o schieramenti in competizione.
Credo sia proprio questo il significato più labile di ‘politica’, tanto è vero che cambia spesso dalla sera alla mattina e, se in caso non cambia, sarebbe meglio lo facesse. Non è una svalutazione a priori del numero, cioè delle persone conteggiate –infine della democrazia– ma solo della effettiva rappresentatività di questo numero in relazione alla complessità dei problemi della convivenza pacifica nella diversità (perché di questo si tratta in ultima istanza). L’ho già detto altre volte, anche nei postini. Non penso che il numero sia da svalutare, quanto piuttosto da rivalutare un adeguato esercizio del pensiero. E da chi e come questo esercizio dovrebbe essere promosso?
Non certo da quelli che oggi vengono considerati i ‘politici’ di professione, cioè i rappresentanti di partito, ma da studiosi dei veri aspetti della convivenza e dell’interazione sociale. Il tutto rapportato a un livello ‘di base’ e successivamente esteso verso livelli di maggiore competenza specifica. Più che aggiungersi alle discipline già presenti nelle scuole, la ‘formazione politica’ –ripeto: non partitica– dovrebbe essere connaturata al concetto stesso di ‘formazione’, come certo avveniva nella polis ateniese. Così concepita, l’azione del ‘formare’ non si ridurrebbe al riempimento di un vuoto e neppure allo stoccaggio di vasi così riempiti, ma risponderebbe a una funzione basilare della vita associata: la costruzione autonoma degli strumenti conoscitivi, analitici e decisionali per aiutare la sopravvivenza nostra e di tutta la biosfera. A questa autonomia sarebbe bene associassimo, democraticamente, il più ampio consenso possibile.

lunedì 1 ottobre 2012

Compromesso


[452]
Quindi, la parola d’ordine dovrebbe essere ‘compromesso’ coûte que coûte, per non rendere effettivo il conflitto. ‘Modulazione’ non equivale tuttavia a compromesso, non almeno entro IMC. Non si tratta di concessioni fatte all’avversario perché lui ne faccia altrettante a noi (magari con un piccolo margine a nostro favore). È piuttosto una comune disponibilità a rivedere l’intera immagine dell’oggetto in un’ottica nuova, che rende compresenti più di un punto di vista. Modulazioni del genere –che, anziché ‘culturali’ amo chiamare metaculturali– non sono vere in ambito scientifico, dove anzi quasi mai una teoria ne sceglie un’altra per incompatibilità, ma assai spesso ne ridefinisce, magari riducendolo, l’ambito di validità. Non ripeterò qui il notissimo esempio della doppia interpretazione della luce come fenomeno ondulatorio o corpuscolare. Anche nel caso delle espressioni artistiche, l’ambiguità di certe opere, non solo recenti, esige degli approcci bi-, addirittura poli-valenti, per cui appare oggi insignificante –si direbbe politicamente insignificante– l’attribuzione a questa o a quella corrente stilistica. Klee: figurativo o astratto? L’ultimo Webern: dodecafonico o neoclassico? Romanzi di Eco: storici o inventati?