giovedì 30 settembre 2010

Resoconto del 25-30 Settembre


Giorni intensi a Cantalupo ...


Per riassumerlo in due parole:


POSTINI - Abbiamo inventariato i 395 postini preparati sul momento, identificando una decina di argomenti nei quali si raggruppano, almeno in prima attribuzione, la stragrande maggioranza (frammenti filosofici, IMC, natura, ambiente, esperienze ecc.). Boris pensa di scriverne un altro centinaio, quindi siamo al 80%. È emmersa un'opera che mostra collegamenti sia con Metaparole che con Musica-Società. Ci piace!


ESPERIENZE GRAFICO-PITTORICHE DI BASE - Abbiamo rivisto lo sviluppo dei 36 primi progetti, apportando delle correzioni, ecc. - dopodiché è stato deciso di ristrutturare la parte finale, laddove si dà ai partecipante nell'esperienza piena autonomia come compositori. prepareremo a breve una proposta, anche con miglioramenti di impaginazione. Bellissimo libro! Forse quella più trasferibile tra le Esperienze che seguono al nucleo teorico di IMC ...


Inoltre,


- abbiamo dato una levigatina all'Oblò, riprendendo piccoli errori, ecc.


- abbiamo tenuto un'interessantissima conversazione a tre con Valentina sul metodo Feldenkreis. Questa conversazione ha identificato notevoli convergenze con i presupposti e metodologie seguite finora nella pratica culturale di base, in aree assai diverse. Quindi non sembra troppo azzardato ipotizzare una possibile trasferibilità. Sianmo rimasti d'accordo in esplorarla più nel dettaglio, a breve, proprio col canovaccio di alcuna delle esperienze di base già maturate nell'ambito di IMC.


Dulcis in fundo - preparammo e tranguggiammo un'accettabile zabaglione ...

mercoledì 29 settembre 2010

La caduta


Fallen opera di Sascha Geddert y pubblicata in Vimeo.

martedì 28 settembre 2010

Avevo qualcosa d'urgente da fare ...

... proprio da pubblicare in quest'oblò!

Procrastinazione, fantasia grafica prodotta da ism studios e pubblicata in Vimeo.


domenica 26 settembre 2010

NO all’ideologia della superiorità


Quando poi all’ideologia del ‘di più’ si sovrappone quella della superiorità, l’idea che questa superiorità appartenga proprio a noi, incapaci di gestire la nostra stessa esistenza, torna a riapparirmi come uno stolto atto di superbia. Che cosa giustifica questa superbia? L’intelligenza, che sarebbe solo nostra … Anche ammettendo che ciò sia vero, non credo sia dimostrabile che questa nostra esclusiva facoltà garantisca la nostra specie più di quanto l’istinto di fuga garantisca la gazzella dall’attacco del leone. È più facile costruire la bomba H che sopravvivere alla sua esplosione. E noi, intelligentemente, abbiamo imparato a costruirla, anche se non possiamo fare altro che sperare che nessuno, neppure il caso, la faccia esplodere. Nessun animale sarebbe tanto stupido, pur non possedendo l’intelligenza, di esporre sé stesso e gli altri viventi al pericolo dell’annientamento totale.

Qualcuno potrebbe sostenere che proprio in questo consiste la superiorità dello spirito umano sulla natura cieca e irresponsabile: nel poter dire NO a sé stessi e nel sapervi rinunciare. Non mi sembra una gran cosa. Ma, se questa è l’opinione dei più, dimostriamo la sua validità rinunciando al suicidio e a tutto ciò che, stando ai nostri diciannove postini del NO, potrebbe provocarlo.

sabato 25 settembre 2010

NO all’ideologia del ‘di più’

Questi due ultimi postini della serie del NO compendiano in certo qual modo tutti gli altri. L’ideologia faustiana del

Wer immer strebend sich bemüht
Den können wir erlösen

(chi incessantemente cerca il di più,
quello possiamo salvare)

ricava da questo postino una marca negativa che non mi sarei mai aspettato da un cultore di Goethe quale sono da sempre. Ma ciò che in Goethe ha la sua ‘giustezza storica’ non è detto l’abbia ancora oggi. Il suo streben –intraducibile in italiano– non ha comunque nulla a che fare con la ‘crescita infinita’ degli attuali cultori del capitalismo. Da aggiungere il fatto che per Goethe lo streben non è sufficiente e ha bisogno –come il Giuseppe manniano– di una seconda benedizione ‘dall’alto’, nel Faust veicolata da Margherita, piccola peccatrice che proviene ‘dal basso’.

Il NO all’ideologia del di più, come qui l’intendo, non si limita tuttavia agli aspetti più banali del di più, quali la ricchezza, il potere, l’autorità, ma investe l’idea stessa di progresso, di perfezionamento, di superamento. Non vedo in che cosa l’odierno coleottero sia più progredito del Trilobite cambriano, ambedue perfettamente adattati al loro ambiente: vedo la diversità, non il progresso. Se poi considero l’incapacità di homo sapiens di adattarsi al suo, al punto di sovvertire tutti gli equilibri ecologici per tentare di sopravvivere dopo poche decine di migliaia di anni da quando si è staccato dal ceppo degli ominidi, mi domando in che cosa è più progredito dello scarafaggio, rimasto pressoché invariato da centinaia di milioni di anni.

Poi ascolto la Passione secondo Matteo e mi sembra di capire.

venerdì 24 settembre 2010

NO alla concentrazione dei poteri


Il potere è di per sé una concentrazione di opportunità, altrimenti diffuse su più soggetti. Una ‘concentrazione di poteri’ quali si osserva assai spesso in politica ed economia, è indubbiamente vantaggiosa per chi la rappresenta, ma non sempre facile da gestire. Una delle caratteristiche del potere, tanto più della concentrazione di più poteri, è la limitazione della libertà per coloro –e sono la maggioranza– che non ce l’hanno. Stranamente il potere, anche in forma concentrata, non solo è oggetto di ammirazione, addirittura venerazione, ma stimola anche un istinto di sottomissione che giunge fino al totale ottundimento delle normali facoltà critiche. Che cosa produce questa atrofizzazione dell’individualità?

Probabilmente una convergenza di fattori tra cui lo scarico delle responsabilità, la speranza che un domani una fetta di potere possa toccare anche a noi, la costatazione che ogni potere è di fatto corruttibile, e così via. Finché però il potere è più volte suddiviso, come –in linea di principio– nella democrazia, la sua pericolosità è anch’essa parcellizzata e controllabile. Quando ci si avvicina troppo all’anarchia degli estremi –massima concentrazione/atomizzazione individualistica del potere– il NO diventa indispensabile alla sopravvivenza. Credo che un’accettabile condizione di equilibrio vada ricercata nella democrazia, una volta che l’avessimo liberata dalla concentrazione dei poteri sull’economia e sulla finanza. Avverrà mai una tale liberazione? Riusciremo mai a pensare ad altro che non sia il potere e il guadagno?

giovedì 23 settembre 2010

NO alla discriminazione razziale, religiosa, sociale

La questione razziale, fino a poco tempo fa cruciale per l’umanità, sta un poco alla volta perdendo rilevanza. Da un lato il rimescolamento continuo delle popolazioni alla ricerca di migliori condizioni di vita –favorita in questo dalla relativa facilità degli spostamenti–, dall’altro l’affermazione, ovunque ripetuta, dell’unicità della specie umana, stanno liberandoci dall’odiosa piaga del razzismo, sostituita peraltro da quella, non meno odiosa, dell’intolleranza religiosa. Viene da pensare addirittura che questa serva da paravento all’altra, che le stesse religioni altro non siano che forme ritualizzate di odio razziale. Lo scudo della religione, forgiato da una divinità, permette ogni sorta di nefandezze, ogni non meno di ieri, come le guerre tra monoteismi ‘rivelati’ dimostrano.

Il no nei loro confronti non riguarda le differenze di contenuto, differenze trascurabili per una mente non prevenuta, comunque armonizzabili se non nascondono interessi di tutt’altra natura, economica per esempio o politica. Ad essere emarginate sono soprattutto le minoranze povere. Non sono rari però anche i casi in cui a dominare sono le minoranze occupanti, grazie al potere delle armi o del denaro ricavato dalle ricchezze degli stessi occupati. No quindi al colonialismo in tutte le sue forme compresa la conversione religiosa, compresi gli ‘aiuti ai paesi in via di sviluppo’, concessi in cambio di diritti di sfruttamento – minerario, agricolo, turistico. Un aiuto che sia tale non conta su un vantaggio diretto, ma contribuisce a una riequilibrazione generale di cui beneficerà anche chi lo concede. È idealismo questo, è utopia? Non credo. Ci vedo invece una forma affidabile di realismo.

mercoledì 22 settembre 2010

NO al capitalismo privato - di Stato


Illustrazione di Michael Hacker

Questo titoletto suona irrimediabilmente ideologico e di parte. Se lo tollero in uno scritto tutto sommato ancora legato a IMC, è per due ragioni:

- Perché sul momento ritengo la deriva tardocapitalista estremamente pericolosa per la sopravvivenza,
- Perché non identifico ‘capitale’ con ‘capitalismo’ e considero il secondo come l’anima ideologica del primo e preferisco attenermi alla solidità corporea piuttosto che all’evanescenza dell’anima. Quindi SÌ all’oggetto ‘capitale’ come ‘strumento per …’, NO al capitalismo come principio di vita.

Per molti tuttavia il capitalismo è effettivamente un principio di vita, e semplicemente negarlo non porta a nulla. Bisogna quindi affiancargli altri ‘principi’ che offrano delle alternative appetibili. Tra queste la ricerca occupa uno dei primi posti, se ne riparlerà tra non molto. La ‘relazione d’aiuto’, cui di recente ho dedicato uno studio, è un’altra di queste alternative. Anche il trasferimento del capitalismo dal privato al pubblico nel cosiddetto ‘capitalismo di stato’ –come al suo tempo in Unione Sovietica e oggi, sebbene fortemente meticciato, in Cina– tenta di proporsi come alternativa. Ma questo trasferimento, se ha fatto della Cina un temibile concorrente del capitalismo euroamericano, non ha neppure affrontato i grandi problemi dell’ecocompatibilità, dall’inquinamento alla sovrapopolazione, all’eccesso dei consumi. NO quindi al modello cinese, capace solo di acuire i problemi dell’umanità, non certo di avviarli a una soluzione concordata.

martedì 21 settembre 2010

NO alla sperequazione economica


Ritengo intollerabile il fatto che sul nostro minuscolo pianeta coesistano, spesso gomito a gomito, individui sotto la soglia di povertà, affamati, assetati, divorati dalle malattie e altri (tra cui annovero me stesso), partecipi di un immeritato benessere o addirittura ricchi al di là del immaginabile. Un alieno sufficientemente ingenuo ma non indotto di aritmetica troverebbe subito la soluzione del problema, così come l’aveva trovata l’ideologia comunista, fallendo però nella pratica. Ora si attende con trepidazione il fallimento dell’ideologia contraria: il capitalismo concorrenziale. Che questa non possa essere la soluzione lo dimostra il suo stesso meccanismo. Questo infatti si basa sulla crescita infinita, impossibile su un pianeta finito, impossibile però anche per la concomitante crescita della sperequazione economica che prima o poi porterebbe alla distruzione della nostra specie.

È pensabile una via di mezzo tra comunismo e capitalismo?

Non credo se permane nella società umano lo ‘statuto culturale’ che attualmente la domina. Questo è sostanzialmente esclusivo: o/o. Mentre oggi ne serve uno inclusivo e-e: non un modello culturale dominante come tuttora quello euroamericano, ma una pluralità di modelli coesistenti alla pari. Detta così la cosa ha del banalmente utopistico; non più se riuscissimo a elaborare un ‘supermodello’ immune alla contraddizione. In linea di principio, un tale supermodello è a portata di mano nell’ipotesi metaculturale (IMC), di cui però sono ancora da esplorare molti aspetti pratici e politici. In particolare è da studiare un modello economico in cui la sperequazione tenda asintoticamente a zero.

lunedì 20 settembre 2010

NO al prepotere culturale, politico, religioso


Quanto e forse più degli individui intere popolazioni, addirittura culture –non è facile distinguere ‘popolazione’ da ‘cultura’– hanno dominato su altre, vuoi per numero, vuoi per armamenti, o ancora per la ricchezza dei loro territori.

E questo dominio raramente si è esercitato in forme assimilative –come nel caso di Roma e della Grecia– per lo più manifestandosi come violenza distruttrice –come quando gli Europei sbarcarono nelle Americhe–. Per secoli è sembrato ovvio che il più forte annientasse il più debole. Si pensava che fosse una ‘legge di natura’, osservabile anche negli animali e nelle piante. Oggi però vediamo più in pericolo il lupo dell’agnello e, anche senza l’intervento dell’uomo, l’enorme dinosauro soccombente al minuscolo mammifero di allora.

Ma la lotta e la prepotenza umana non sono analoghe al darwiniano struggle for life che regola l’equilibrio tra specie diverse. Nella monospecie homo sapiens è proprio l’equilibrio interno alla specie a essere messo in forse dall’insorgere di nuove, artificiose differenze, appunto culturali, politiche, religiose.

domenica 19 settembre 2010

Capitale, capitalizzazione, capitalismo



Continuo a seguire l'esortazione a scrivere che mi ripete Boris regolarmente. Come la volta scorsa, ho esposto delle idee ispirate al suo pensiero nella pagina web di Federico Mayor Zaragoza, ex-presidente dell’Unesco e attuale presidente della Fundación Cultura de Paz, convergente con il messaggio ormai pluridecennale di Boris e del Centro Metaculturale.

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Sempre di più sto trovando in tanti interlocutori una resistenza a parlare di “capitale umano” e simili. L’ho condivisa parecchi anni. Difatti, sembrerebbe che tutto ciò che gira attorno alla parola “capitale”, anche se l’addobbiamo con aggettivi più o meno nobilitanti, sia mercificato, reificato, ridotto alla bassa condizione di merce che si compra e si vende, si valuta e si svaluta …

Dopo averne parlato con Boris penso invece che sia possibile proporre un’altra prospettiva.

La proposta sarebbe: consideriamo il 'capitale' come un fatto puramente fisico. Lo si trova in natura. Un genus cumula del capitale genetico, differenziandosi in specie diverse, man mano che la danza tra influenze esterne e mutazioni genetiche consolida capacità e prestazioni che non esistevano prima. Un ecosistema cumula biocapitale, man mano che diventa più ricco e complesso, rendendo più densa la rete dei suoi rapporti interni, creando interdipendenze che producono un valore aggiunto, in termini di resistenza, di stabilità …

Leggere di più ... Anziché parlare di un sostantivo, 'capitale', forse sarebbe più chiaro parlare di un processo, 'capitalizzazione', inteso come accumulo organizzato delle risorse al quale l'organizzazione apporta delle proprietà emergenti che non esistevano quando quelle risorse non arrivavano ancora a una soglia minima. Tendiamo ad assegnare ai sostantivi ‘statici’ un peso quasi definitivo, come se fossero oggetti tangibili. Ancor di più quando questo sostantivo, dai lavori di Karl Marx in avanti, è stato oggetto di veementi discussioni. Ma questo approccio rende rigido l’ipotetico oggetto, e potrebbe portare a malintesi. I sostantivi ‘dinamici’, che parlano di un processo ('capitalizzazione', come 'costruzione' o 'rivendicazione'), non presentano quel medesimo rischio. Dietro al sostantivo dinamico si trova etimologicamente il verbo 'capitalizzare', e i verbi ci avvicinano a tutto ciò che si trova in flusso permanente.

Quando passiamo dalla physis al mondo specificamente umano della cultura (meglio ancora, delle culture), continuiamo a trovare la 'capitalizzazione' in altre dimensioni. Certamente l’invenzione più sofisticata della storia, la scrittura, ha permesso di avviare la 'capitalizzazione' della conoscenza, ormai da diversi millenni. In un certo momento della storia, la 'capitalizzazione' degli eccedenti nell'agricoltura e nell’allevamento ha permesso di creare forme di organizzazione sociale che andavano oltre le capacità delle tribù di cacciatori-raccoglitori, dove ciascun membro doveva lavorare per la propria sussistenza. Già in quel frangente il processo di capitalizzazione ha dimostrato che poteva portare a ben diversi esiti: ha permesso che apparissero gli scribi e gli astronomi, ma anche i militari e i sacerdoti.

Con lo sviluppo delle società moderne e in specie con l’enorme accelerazione indotta dalla rivoluzione industriale, la 'capitalizzazione' prende per la prima volta una strada decisamente pericolosa, e viene utilizzata da alcuni gruppi per consolidare le proprie posizioni di dominanza, e per spingerle fino a limiti assurdi e in ultima istanza pericolosi per la specie, se non per il pianeta. Quella strumentalizzazione interessata dei processi di capitalizzazione ha reso possibili i moderni eserciti di distruzione – ha reso possibili il produttivismo e il consumismo che stanno divorando la terra. I suoi gestori hanno disattivato in modo artificiale (solo temporaneamente) i cicli di retroalimentazione (“feedback” negativo) che li avrebbero potuto stabilizzare. Così, la capitalizzazione senza controllo ha partorito veri mostri. Insieme alla virtualizzazione (finanziaria, informatica ecc.), la quale ha allontanato le leve del potere dal loro supporto fisico, ha generato gli assurdi del mondo contemporaneo. Quando nei prolegomeni della crisi attuale i servi del potere chiedevano fondi pubblici per salvare i giganti finanziari irrimediabilmente malati, argomentavano che essi erano “too big to fail”, troppo grandi per permettere il loro crollo. Qualche vocina critica rispondeva, “se qualcosa è troppo grande per lasciarlo crollare, non sarà che, in realtà, è troppo grande per permettere che esista?”

Vi si intravede lo zampino delle ideologie. 'Idea' e 'ideologia' differiscono poco o nulla nel loro contenuto nominale. Differiscono invece molto nel modo di operare all’interno delle culture. L’ 'idea' propone se stessa con maggior o minore originalità, con più o meno dati che la sostengano … ma sempre da un’ottica relativa, accettando a priori la sua parità con altre idee. Naturalmente, i meccanismi di discussione della società civile, e soprattutto l’evidenza dei fatti, andranno assegnando poco per volta priorità ad alcune idee, in confronto ad altre. 'Idee', in questa visione aperta, sarebbero pure le ipotesi e le teorie, che seguono un ciclo vitale di nascita, progressiva accettazione, e superamento da parte di nuove e successive ipotesi.

L’ 'ideologia', invece, è l’ 'idea' che abbandona quello status relativo, affermando sé stessa in modo assoluto, escludendo tutte le altre. L’ 'ideologia', per propria natura, esige supremazia, poiché non può ammettere nessun confronto relativo. Deve annichilare ed escludere ogni altra ideologia, ogni altra idea, oppure fagocitarle, assolutizzandole, per incorporarle alla propria struttura.

Questo relativismo dell’ 'idea' non è una proprietà da poco: disattiva l’aggressività nelle persone che veramente lo fanno proprio. Nessuno ha dato uno schiaffo per difendere la geometria euclidea – non era necessario, poiché si difendeva da sola, all’interno del proprio universo culturale. Anche se più avanti è stata incruentamente ‘sconfitta’ nell’universo culturale della geometria riemanniana. Sono stati invece commessi crimini orrendi per affermare la supremazia delle 'ideologie'. La loro affermazione assoluta calpesta tutto – potremmo dire che esige calpestare tutto ciò che non gli si sottomette, tutto ciò che osa affermare la propria indipendenza. Infatti basterebbe un soffio di relativismo per finirla con un’ideologia, ridimensionandola all’inoffensivo status di idea. Non lo può permettere, quindi.

Il 'capitalismo' è un esempio eccellente di ideologia – probabilmente, l’ideologia più pericolosa della storia. Il capitalismo ha acquisito quella pericolosità estrema perché non ha esitato a cavalcare per i propri fini le proprietà emergenti del processo di capitalizzazione, la capacità di arrivare a dei livelli e delle concentrazioni di potere senza precedenti nella storia umana. Lo sviluppo tecnologico gli ha permesso di disinnescare –temporaneamente, sottolineo– i cicli spontanei di retroalimentazione negativa che nel passato avevano reso impossibili accumuli di tale portata. Il capitalismo ha divorato persino le discussioni, inizialmente emancipatrici, che erano state avviate da Marx e Engels – ha deformato gli esperimenti sociali alternativi, li ha sclerotizzati in ideologie altrettanto assolutiste, in 'capitalismi di Stato', in produttivismi scadenti che avevano bacato il comunismo già molto prima del suo crollo finale. Oggi, la bomba continua a gonfiarsi: affermando instancabilmente attraverso le sue mille voci che è l'unica via, che solo in lei c’è crescita e prosperità e futuro e salvezza … Forse suona familiare? Peccato che l’evidenza lo contraddica – in esso c’è solo morte, perché la crescita costante dei consumi in un pianeta con risorse finite può soltanto portare al disastro; perché la crescita costante delle diseguaglianze, incrementando la già notevole aggressività della specie, può soltanto avvicinarlo.

Il capitalismo ha inquinato tutto. Ovviamente ha contaminato il linguaggio e la comunicazione. Con uno dei suoi voraci tentacoli si è impadronito pure del sostantivo 'capitale'. Con il suo totalitarismo assolutizzante, il 'capitalismo' (ideologia, ripeto), dichiara trionfante, “il capitale è mio”. Altrimenti detto: “il capitale può essere utilizzato soltanto all’interno del capitalismo, è la sua origine e la sua creatura, il suo padre e il suo figlio”. Mentendo … assolutamente. Il capitale (oggetto neutro) esisteva molto prima di essere sequestrato dal capitalismo. E potrebbe continuare ad esistere dopo, a seconda di quali siano le dimensioni della crisi finale del tardocapitalismo. Se in quel futuro sempre più vicino continueranno ad esserci uomini, riprenderanno ad accumulare capitale umano (sperando che abbiano imparato dalla tragica esperienza precedente).

Molte persone sane, profondamente irritate e angosciate dal capitalismo, reagiscono con un rifiuto frontale a tutto ciò che quest’ideologia ha inquinato, incluso il sostantivo 'capitale'. Ovviamente condivido l’essenza di quel rifiuto. Ma possiamo proporre un’alternativa, come questo oblò e molte altri voci stanno proponendo con
sempre maggior insistenza. Un’alternativa non ideologica (se qualcosa ci hanno insegnato gli sfortunati esperimenti comunisti, è che un’ideologia non si può combattere con un’altra ideologia di segno 'contrario' *). Un’alternativa che vada al di là del capitalismo, al di là del confronto tra culture nel quale il capitalismo prospera.

Il recupero e ripristino del linguaggio sarebbe una delle caratteristiche essenziali della rivendicazione non ideologica. Recuperiamo la parola 'capitale', e soprattutto 'capitalizzazione'. È possibile convivere con il capitale – è possibile utilizzarlo in modo umanistico, in modo che affermi la vita. Le nostre reti sociali sono un capitale. Le nostre conoscenze ed esperienze, pure. La nostra capacità di comunicare, naturalmente. La società sana è una grande accumulatrice di capitale –per definizione, è quella forma di organizzazione che va molto al di là della somma degli individui che la costituiscono. L’idea del 'progresso' (sì, fu in un tempo lontano un’idea, prima che il capitalismo la ingoiasse, trasformandola in ideologia) affermava appunto che 'capitalizzando' i nostri contributi individuali avremmo creato un mondo migliore. Cambiamo approccio: il nostro problema non è il capitale. Il nostro problema risiede nel come si utilizza il capitale, nel come abbiamo abbandonato il campo all’ideologia che lo strumentalizza, nel come abbiamo permesso che venissero imprudentemente disattivati i cicli di retroalimentazione stabilizzante.

Vorrei pensare che ogni atto in favore della pace stia contribuendo a creare un 'capitale di pace'. Insieme stiamo capitalizzando le nostre buone volontà, le nostre intelligenze, le nostre convinzioni (persino le nostre insofferenze e i nostri rifiuti, come quelli di cui abbiamo parlato). Continuiamo ad aggiungervi dei granelli. Forse emergeranno da quel capitale delle proprietà che fermeranno il mostro che ci sta rubando il futuro. Se diamo retta al registro geologico, la vita ha saputo contrastare altre minacce pesanti. Un altro mondo è possibile – un mondo dove nessuna cultura, nessuna idea vogliono affermarsi come assolute, dove tutte hanno imparato a considerarsi relative.


* Lucidamente, Pier Paolo Pasolini diceva già negli anni Sessanta che ogni potere è di destra, in quanto potere. Tradotto nel linguaggio di oggi, si potrebbe dire che tutte le ideologie sono convergenti, in quanto ideologie.

sabato 18 settembre 2010

Due anni oggi


Va avanti l'esperimento. Oltre 260 posts ... avviati verso le 9.000 visite ...

Numeri molto molto modesti per i fenomeni comunicativi che si riscontrano in internet - ma certo non stiamo proponendo qualche cosa particolarmente alla moda. Abbiamo fatto incontri interessanti - e ci siamo divertiti. Va senza dire, continuiamo.

venerdì 17 settembre 2010

NO alla crescita infinita



A proposito della stoltezza umana, non penso che sia così grande da non farci capire quanto sia stolto uno sviluppo a oltranza. Eppure tutti si comportano –in particolare le forze politiche, tutte, di qualsiasi tendenza– come se questa stoltezza fosse una dimostrazione della nostra capacità di superare ogni difficoltà, quasi che la vita fosse una corsa a ostacoli e il nostro il cavallo vincente. Quando siamo noi stessi il cavallo, per giunta dopato di tecnologia. Ma no: non siamo a tal punto impasticcati da non renderci conto di ciò che stiamo facendo. Speriamo questa volta di avere ancora abbastanza tempo da non assistere di persona –o nella persona dei nostri figli e nipoti– alla catastrofe cui andiamo incontro. Bella dimostrazione di responsabilità specifica!

Oppure –a non volere essere tacciati di catastrofismo– la nostra speranza va al di là dei figli e nipoti e contiamo veramente sulla salvezza ad opera del progresso tecnologico. Non possiamo escluderla del tutto anche se già oggi i calcoli ci dicono che stiamo intaccando le riserve di energia del pianeta e che, per ricostituirle, avremmo bisogno di un mezzo pianeta aggiuntivo. Ammettiamo pure la responsabilità di rimpiazzare in un tempo ragionevole questo deficit. Fino ad allora ci converrebbe rinunciare a qualsiasi velleità di crescita –e ai concomitanti sprechi– per concentrare tutte le nostre energie, anche economiche, nella risoluzione dei due problemi:

1) Dove reperire e come appropriarci delle necessarie fonti energetiche,

2) Come sopravvivere fino allora.

giovedì 16 settembre 2010

NO all’inquinamento nelle sue varie forme


Credo che la nostra specie sia l’unica cui si possa attribuire l’effettiva responsabilità di ‘inquinare’. E la ragione è ancora una volta il tempo. Non che manchino altri agenti capaci di inquinamento. Per centinaia di milioni di anni l’anidride carbonica prodotta dai vulcani è stata di ostacolo allo sviluppo della vita. Poi questa ‘inventò’ la pianta che dall’anidride carbonica liberò l’ossigeno, dopodiché fu questo a ‘inquinare’ l’atmosfera finché gli animali non impararono a servirsene.

Una grotta potremmo dirla ‘inquinata’ dal guano dei pipistrelli o una latrina dagli escrementi umani. Ma sappiamo benissimo che gli escrementi non inquinano fin quando altri organismi non se ne servono, e le cose sono fatte in modo che questo accade sempre, a meno che non intervenga l’uomo a scompigliarle. E come mai sono fatte così? Per provvidenza divina?

No, per l’azione modellante del tempo: centinaia, migliaia, milioni di anni. Troppi per l’impazienza umana. E così materiali che avrebbero avuto bisogno di tempi analoghi per essere riequilibrati dai naturali processi di trasformazione, eccoli diventare agenti inquinanti. Per l’aria, l’acqua, il suolo. E i viventi non hanno più il tempo per adattarsi alla nuova composizione dell’ambiente. E cominciano a estinguersi. Non è la prima delle estinzioni di massa sul nostro pianeta. La vita però è stata in grado ogni volta di ricominciare da capo. Ma con altre specie. Forse ce la farà anche questa volta. Dubito tuttavia che commetta lo stesso errore: di produrre una specie tanto stolta da distruggere sé stessa ovvero la vita da cui ha preso origine.

mercoledì 15 settembre 2010

NO all’aumento incontrollato della popolazione


Questo no è legato al precedente, non però direttamente ma attraverso una variabile che potrebbe attutire l’impatto immediato del numero. Chiarisco.

La Terra potrebbe forse sopportare un numero superiore di viventi, anche umani, se questi sapessero contenere lo sfruttamento delle risorse planetarie entro i limiti delle loro esigenze vitali. Per gli animali e le piante in genere l’evoluzione ha prodotto in più di due miliardi di anni una regolazione tale da mantenere un equilibrio –dinamico, non statico– capace di garantire la vita per un tempo dello stesso ordine di grandezza. A un certo punto però è intervenuta la specie umana a introdurre in questo sistema di regolazione un elemento di disordine e turbolenza, la ragione, che in un tempo incredibilmente breve ha portato la vita sull’orlo dell’estinzione.

Oggi non siamo più in grado di sostenere l’aumento incontrollato della popolazione mondiale, ma quel che è peggio, non siamo neppure disponibili a controllare la variabile-cuscinetto: il consumo delle risorse planetarie.

martedì 14 settembre 2010

NO allo sfruttamento incontrollato del pianeta

Il nostro pianeta è estremamente generoso nei confronti della vita. Non ne conosciamo nessun altro che lo sia altrettanto, anzi neppure che lo sia tout court. E la vita non si è fatta pregare per corrispondergli con pari generosità. Ora però dal ramo della vita si è distaccato un elemento sfruttatore all’eccesso, che rischia di distruggere il difficile equilibrio raggiunto in milioni, miliardi di anni. Non siamo noi in quanto esseri viventi a rappresentare un problemi per la Terra e i suoi abitanti, tra cui noi stessi; lo siamo in quanto sfruttatori molto al di là di quanto ci serve per vivere. Nessun’altra specie animale o vegetale consuma neppure lontanamente le risorse che la Terra gli offre tanto quanto l’uomo. I suoi coinquilini comunque la arricchiscono con il proprio corpo mentre noi tentiamo di sottrarlo, per fortuna con scarso successo, perfino ai germi della decomposizione. E giudichiamo questa sottrazione come un atto encomiabile, ‘pio’, segno di una più alta concezione della vita, mentre non è che un furto ai suoi danni.

Certo, siamo in troppi, ma soprattutto ci comportiamo come se fossimo gli unici meritevoli di vivere e quindi in diritto di fare della nostra casa celeste ciò che ci pare. Se anche gli altri suoi inquilini e la casa stessa fossero d’accordo, non avremmo altri obiettori che i limiti imposti dalle cose. Ma non sono d’accordo e preferiscono estinguersi piuttosto che assecondare la nostra voracità. Quanto poi alla casa, mostra chiari segni di insofferenza con l’aumento della temperatura, il ‘buco dell’ozono’, i cambiamenti del clima … Tutte cose –si dirà– avvenute innumerevoli volte nel corso dei millenni … Sì, ma nei tempi ‘fisiologici’ del pianeta e non in quelli compressi e arbitrariamente decisi da noi. E, nei processi di trasformazione, la variabile ‘tempo’ è decisiva così come decisivo è il suo controllo. Anche l’uomo lo esercita nello sfruttamento pianificato del pianeta, ma il suo controllo ubbidisce alle accelerate esigenze dello sviluppo umano e la Terra non lo riconosce. Come uscire da questa reciproca incomprensione? Semplicemente adottando i suoi tempi evolutivi o perlomeno avvicinandoci ad essi.

lunedì 13 settembre 2010

Tutto quello che sappiamo della guerra è sbagliato



Una pausa breve nei postini del "no" ... per lasciare la parola a Nicolai Lilin ...

venerdì 10 settembre 2010

NO al guadagno illimitato

Perché limitarlo e come?

Alla prima metà della domanda non è difficile rispondere: siccome la produttività del nostro piccolo pianeta e di conseguenza il reddito che possiamo trarne sono limitati, deve esserlo anche il guadagno della singola persona. Più problematico rispondere alla seconda metà: come contenere questo guadagno entro limiti politicamente accettabili e controllabili. Una ripartizione egalitaria non è riproponibile dopo il fallimento del modello comunista. L’accumulo capitalista è parimenti fuori discussione per l’impossibilità di localizzare inequivocabilmente i capitali. Anche la loro permanente fluttuazione nel limbo della concorrenzialità scontenta pericolosamente ampi strati della società, che da un momento all’altro si vedono precipitare nel sottosviluppo mentre piccoli gruppi di potere accrescono i loro guadagni oltre ogni limite.

Avvertiamo tutti la necessità di ridisegnare questi limiti in modo da ridurre progressivamente i dislivelli economici che il guadagno illimitato ha prodotto. Non tocca a noi, che ne saremmo del tutto incapaci, progettare un modello di sviluppo che preveda un contenimento dei guadagni entro quei limiti.

Ma –si domanderà qualcuno– quei limiti ci consentiranno ancora di parlare di ‘sviluppo’? Forse bisognerà includere nella progettazione del modello anche la ridefinizione del concetto di sviluppo. Fino a oggi la versione ‘moderna’ di questo concetto è quasi esclusivamente economica. Altre modalità di sviluppo vengono intese tutt’al più come concomitanti (sviluppo del pensiero, delle capacità critiche, della creatività, della consapevolezza, della solidarietà planetaria, ecc.). A fronte di queste ‘altre’ modalità di sviluppo la concentrazione su quella economica appare eccessivamente riduttiva e soprattutto inadatta anche solo a porsi il problema della sopravvivenza nei termini perentori richiesti dalla situazione attuale. La produttività della mente umana penso sia tale da risolvere anche questo problema come tanti altri ne ha risolti nei corso dei secoli. La particolare difficoltà cui oggi ci troviamo esposti è –così credo– il superamento della crescita unilateralmente economica attraverso l’apertura metaculturale della mente.

giovedì 9 settembre 2010

NO alla corruzione

Mappa sulla percezione internazionale della corruzione nel 2009 (elaborazione Wikipedia, dati Transparency International)

Se già il privilegio risulta a dir poco sospetto, che ne sarà del ‘privilegio ottenuto per corruzione’?

Il discorso tende a farsi moralistico – e di questo mi scuso con i destinatari. Poiché tuttavia questi postini non vanno esenti da preconcetti culturali, dichiaro la mia preconcetta antipatia per il privilegio e la corruzione, non tanto per ciò che rappresentano sul piano morale, quanto per lo squilibrio che producono socialmente a svantaggio di tutti gli altri.

Non ho mai osservato direttamente fatti di corruzione. Ne ho però appreso abbondantemente dai giornali e dai mass media. Suppongo che i responsabili di tali fatti sappiano come giustificarli di fronte alla giustizia, ai danneggiati e alla propria coscienza, anche se queste superiori istanze dovessero non accettare le loro giustificazioni. Quali che esse siano e quanto riconosciute, a nessuno piace sentirsi gravare addosso colpe che non ritiene tali. I mezzi per scrollarsele di dosso si trovano sempre, mentre è molto difficile ritrovarle, una volta che abbiano toccato terra.

mercoledì 8 settembre 2010

NO al privilegio

Cesso in oro solido di 24 k, valutato in 7,7 milioni di dollari USA, Hang Fung Technology Show, Hong Kong

È un no assai condiviso a parole, da cui è tuttavia altrettanto facile dissociarsi se il privilegio riguarda noi. Neppure le società comuniste ignorano il privilegio, anzi lo coltivano con amore per i propri correligionari. I guai legati al privilegio sono particolarmente rilevanti quando si passa dal singolo alla classe sociale, a tutto un popolo, che diviene così portatore di una superiorità da nulla giustificata se non da una sconfinata presunzione. Esempi anche recenti dovrebbero metterci in guardia dai ‘popoli eletti’ come dagli ‘inviati dal destino’, eppure se ne incontrano ancora, così come si incontrano persone disposte a credere negli uni e negli altri.

È, come sempre, una questione culturale: si può avere stima, ammirazione, amore per una persona cui riconoscere anche qualche eccellenza in uno o più campi, ciò non implica tuttavia privilegio economico, sociale. Anzi in un certo senso un individuo già favorito dalla selezione naturale nelle sue capacità di pensiero e di azione sarebbe bene rinunciasse ad altri privilegi, mettendo a disposizione della società i vantaggi conseguiti senza merito.

martedì 7 settembre 2010

NO all'invasione culturale della mente


Che cosa intendo con questa singolare espressione?

Forse più di quanto ci si aspetterebbe. Un bambino cui insegniamo che 2+2=4 o che Parigi è la capitale della Francia subisce un invasione della mente?

Sì, se queste ‘nozioni’ non entrano nella sua mente senza che lui sappia correlarle ad altre in un abbozzo di quadro complessivo. Una nozione irrelata non promuove il pensiero ma lo lega a sé come farebbe un cappio. Una molteplicità non integrata finirebbe per paralizzarlo. Ma anche un’integrazione forzata, per esempio da un’ideologia, sarebbe non meno invasiva; è questo uno dei grandi problemi psicopedagogici che la scuola si trova ad affrontare senza esservi preparata, gravata com’è dai contenuti che la società le impone. E sono appunto questi, i contenuti culturali, a invadere la mente, sia che si presentino in forma parcellizzata, additiva, sia che la loro integrazione sia precostituita entro un ‘sistema funzionale a un qualche tipo di potere’.

Che fare allora, se il no riguarda ambedue le forme?

Così posto, il problema si concentra nuovamente sul contenuto. Come svincolarlo da questo e contemporaneamente dalla forma, libera o integrata?

Spostando l’attenzione sul soggetto agente, nel caso della scuola sull’allievo, che deve essere messo in grado di scegliere sia i contenuti che la forma, giacché non sono né questa né quelli a ‘invadere’ la mente, ma le scelte precostituite.

Certo, tutto il sistema formativo va ripensato dalle sue basi, se si accetta il principio dell’autonomia. (Ricordo che questi postini non si dichiarano ‘metaculturali’ bensì ideologici, come del resto sarebbero anche se si dichiarassero ‘metaculturali’).

Non è questo il luogo per trattare di tale ripensamento, né sarei capace di aggiungere alcunché alle cose che vado dicendo ormai da parecchi anni. Sono peraltro ancora convinto della necessità di questo ripensamento per rispondere a un concetto di ‘democrazia’ non più legato al modello capitalistico ma in grado di costruirne uno nuovo in piena autonomia.

NO alla fame


Ci si può sfamare se un altro ha fame?

Certamente. Ogni animale ci riesce benissimo e anche noi uomini non abbiamo difficoltà, se, pur sapendo della fame altrui, non la vediamo con i nostri occhi. Oggi peraltro ce la mostrano dal vivo, ma così come ci mostrano un’infinità di finzioni indistinguibili dalla realtà e a noi conviene non distinguerle. Ancora una volta non ci vengono in aiuto né la nostra animalità, né la coscienza umana. Eppure la sopravvivenza di noi tutti dipende dalla sazietà raggiungibile dalla specie. Se la Terra non fosse più in grado di mantenere tutti i suoi abitanti (non quindi la sola specie umana), le cose si metterebbero assai male, come ci suggerisce la ragione. Ma la ragione è, delle nostre facoltà, la meno ascoltata e quindi, finché la fame non colpirà la maggioranza di noi individualmente, c’è poco da sperare nella fame degli altri.

Il discorso, purtroppo, non è cinico, ma oltremodo realistico.

lunedì 6 settembre 2010

Arterie



Facciamo un piccolo alto nella sequenza dei diciannove postini del "no" .... ma stanno capitando degli eventi che meritano riflessione.

Si è svolta in questi giorni (2-5 settembre) qui a Cantalupo l’annuale manifestazione di Arterie, una vera e propria rassegna di gruppi culturali, sia di base che a vario titolo professionali, provenienti da molte regioni italiane, i quali hanno attirato nel piccolo paese sabino centinaia , forse migliaia tra partecipanti e spettatori. L’offerta, tutta a titolo gratuito, è stata assai più ricca che nelle precedenti edizioni e spaziava dalle più diverse forme di teatro – sia per adulti che per bambini – alla musica ( etnica, popolare, jazz, elettronica….), alla danza, alla lettura poetica, alle arti figurative. Nuova, rispetto agli altri anni, è stata la presenza di laboratori – sempre per adulti e per ragazzi di scuola – dedicati a varie attività manuali e di fantasia , tra cui, particolarmente interessanti, momenti di documentazione e riflessione interna, confluenti in un reportage filmico proiettato a chiusura del festival.

Leggere di più ...Personalmente le mie condizioni di scarsa mobilità mi hanno impedito di partecipare, anche da semplice spettatore, all’evento, di cui peraltro sono stato direttamente informato già durante il suo svolgimento. Degno di massima lode ritengo il piccolo staff organizzatore di Arterie, tra cui vorrei nominare in particolare i fratelli Eva e Riccardo Serena per l’ inventiva messa in atto nella complessa strutturazione dell’evento e nel puntuale controllo del suo svolgersi. Accanto ai due protagonisti va ricordato l’appoggio fornito da Centro Metaculturale, dal suo presidente Angelo Bernardini e da singoli operatori, nonché l’attenzione con cui il Comune di Cantalupo, il suo Sindaco e i suoi Assessori hanno facilitato il lavoro degli organizzatori.

Per concludere, qualche considerazione da parte di chi non è nuovo a tali iniziative. Non entro nei particolari non avendoli osservati io stesso, penso però che la presenza quasi simultanea di molti microeventi non abbia favorito il giusto apprezzamento di quelli più meritevoli. Lungi da me un discorso di élite, ma nel momento in cui la “base” viene coinvolta in una operazione culturale esterna ai normali canali commerciali, credo che il controllo di qualità divenga, non tanto esteticamente quanto “politicamente”, “formativamente” essenziale. Senza pregiudizio per la quantità, mi sembra sia giunto il momento che la qualità si unisca ad essa. Ma se il numero definisce la quantità, cosa definisce la qualità?

domenica 5 settembre 2010

NO alla violenza


È una generalizzazione dei postini precedenti o quelli non sono che una specificazione di questo.

Una tigre sgozza un’antilope. È violenza questa?

Un uomo sgozza un suo simile. È violenza questa?

Molti risponderebbero sì in entrambi i casi anche giustificando la tigre, che
- ‘deve pure mangiare’,
- ‘uccide specie diverse dalla sua, come noi che per mangiare uccidiamo un pollo’.

Per l’uomo non varrebbe comunque questa giustificazione; anche perché non siamo usi mangiare i nostri simili. E se lo facessimo?

E la tigre maschio, quando uccide i piccoli non suoi per accoppiarsi con la loro madre; è violenza o no?
- ‘È violenza giustificata dall’istinto riproduttivo. Si tratta pur sempre di animali!’

Per altri l’unico capace di vera violenza sarebbe l’uomo, perché provvisto di ‘coscienza’. E la coscienza ci permetterebbe di uccidere il ‘nemico’ in guerra, il ‘colpevole’ anche in pace e qualsiasi altro animale per solo diletto! Dove comincia, dove finisce, anche per l’uomo la violenza?

Come si fa ad opporle il nostro rifiuto se neppure sappiamo che cos’è?

La ‘natura’ non può in alcun modo venirci incontro nel rispondere a questa domanda. Dobbiamo sbrigarcela da soli con o senza l’aiuto della nostra coscienza, essa pure troppo incerta e contraddittoria per essere affidabile. C’è però la ‘morale’, ci sono le ‘leggi’, c’è la ‘cultura’ che ci informano su cosa s’abbia da intendere per ‘violenza’ e sui suoi limiti di tollerabilità.

Quindi il NO alla violenza, come del resto la violenza stessa, sono qualcosa di specificamente umano che sta a noi, al nostro ‘libero arbitrio’, riconoscere o disconoscere.

Credo che l’attuale situazione –che la nostra coscienza non meno della nostra ‘animalità’ hanno contribuito a creare– richieda decisamente questo NO a difesa nostra e della vita che ci circonda. Se l’animalità non è sufficiente e neppure la coscienza lo è, rivolgiamoci alla pura e semplice ragione: se ammettiamo la violenza, siamo spacciati. Ma è possibile un’opposizione non violenta? Sta alla cultura inventarla.

Alla fin fine, cosa siamo?

Bolle nel vento!



Buona domenica a tutti!

sabato 4 settembre 2010

NO agli armamenti e al traffico delle armi

Riproduzione a scala di "Fat Man", l'ordigno al plutonio fatto esplodere a 503 m d'altezza su Nagasaki alle 11:02 (ora locale) del 9 Agosto 1945, la cui resa venne misurata in all'incirca 21 kT

Gli armamenti e il traffico delle armi presuppongono che delle armi si voglia farne uso. Basterebbe quindi il no alla guerra per tirarsi dietro quest’altro no. Eppure il secondo potrebbe accordarsi con il primo per mantenere viva una fonte di guadagno. “Per parte mia rinuncio alla guerra, ma tu, continua pure; se hai bisogno di armi, ci sono io a fabbricarle e a vendertele, così come le vendo al tuo nemico. Capirai, gli affari sono affari. Finché continuerete ad ammazzarvi tra di voi, non c’è bisogno che lo facciamo noi. In ogni caso, se doveste smettere, avremo ancora sufficienti scorte per attaccarvi, magari accusandovi di fabbricare armi clandestinamente. E la ‘guerra preventiva’ che ne nascerebbe sarebbe pienamente giustificata dal nostro desiderio di mantenere la pace.”

Più che della guerra, degli armamenti e del traffico di armi c’è da temere dell’umana ‘volontà di pace’ che, quando incontra una ‘non volontà’, non trova di meglio che dichiarargli guerra; e, in previsione di un incontro del genere, pianifica nuovi armamenti, scudi spaziali e roba del genere.

venerdì 3 settembre 2010

NO alla guerra

La città di Dresda, fotografata da Richard Peter dalla torre del Comune. In primo piano, l'allegoria della Bontà.

Perché ‘no alla guerra’ quando da che mondo è mondo gli uomini si può dire che non hanno fatto altro che intramezzare le guerre con l’accumulo di ragioni per farne delle altre. Se è vero che le guerre hanno seminato morte e distruzione, è anche vero che hanno prodotto ingenti guadagni e progresso civile e tecnico. E nessuno, pur dichiarandolo ai quattro venti, ha mai pensato seriamente di proscrivere la guerra. Se non altro a titolo difensivo tutti i popoli l’hanno sempre ammessa e non è mai convenuto a nessuno distinguere chiaramente tra difesa e offesa. Cito spesso il testo di un madrigale di incerta origine:

Distingui offesa da difesa.

Se questa offende, è pur legittima,

perché così la vuol chi si difende.

Abbiamo esempi recentissimi di guerre ‘difensive’ del tutto indistinguibili da quelle ‘offensive’. Neppure Hiroshima e Nagasaki sono stati un deterrente bastevole a farci rinunciare alla soluzione bellica dei conflitti. Eppure dovremmo rinunciarvi, se vogliamo sopravvivere. E non starò qui a ripetere il perché.

I diciannove del "no"

Eva Hesse, Repetition Nineteen III, 1968, fibra di vetro e poliester

Questo titolo così ... cinematografico ... annuncia una serie di postini, appunto diciannove, che Boris ha preparato recentemente e che presenteremo in successione a partire da oggi.

Il potere del "no" espresso con decisione è ben conosciuto - esprime rivendicazioni, concentra energie ... Ad esempio, in alcuni seminari di difesa personale si insegna, davanti ad una possibile aggressione, a confrontarsi con l'attaccante e urlare "no" con decisione, accompagnando l'urlo con gestualità molto decisa.

Ma lascio che sia Boris a presentarvi la serie ... e a cominciare da oggi pubblicheremo questi diciannove interventi.

Premessa

Dò qui inizio a una serie di postini che trattano brevemente di tutto ciò che vorrei non ci fosse nel mondo e che invece non solo c’è, ma viene spesso esibito con soddisfazione. Dico subito che questi postini sono fortemente connotati ideologicamente e che per questo non dovrebbero comparire in una raccolta a sua volta inserita in un insieme di scritti di impostazione metaculturale. A parziale scusante dirò subito che, oltre a non pretendere (come è ovvio) a nessuna verità, i postini sono fortemente soggettivi e quasi sollecitano il dissenso, purché motivato, come del resto questi stessi tenteranno di darsi una motivazione. Il numero diciannove non ha altra ragione che quella di rispondere al numero di righe disponibili sulle pagine del quaderno su cui sono stati scritti. È quindi possibile –anzi me lo auguro- arricchire la serie di tutti quei postini che i riceventi vorranno inviarci.

mercoledì 1 settembre 2010

Identità e ... identitarismo


Boris insiste regolarmente affinché io scriva. Oggi mi permetto di presentarvi qualche idea –evidentemente molto ispirata al suo pensiero, persino alle sue espressioni– che si è consolidata al seguito dei recenti dibattiti in Germania (caso Sarrazin) e in Francia (espulsioni del governo Sarkozy). Ho avuto l’occasione di esporle nella pagina web di Federico Mayor Zaragoza, ex-presidente dell’Unesco e attuale presidente della Fundación Cultura de Paz, convergente assai con il messaggio ormai pluridecennale di Boris e del Centro Metaculturale.

N.B. Stile di pensiero, relazione d'aiuto e composizione delle differenze sono termini che acquistano un senso specifico nelle opere di Boris Porena, dove sono stati sviluppati dettagliatamente. Anche la citazione d'Orazio è stata utilizzata in diverse occasioni in queste opere. 'Prendere consapevolezza per agire, agire per prendere consapevolezza' rispecchia trasparentemente il poreniano analizzare per comporre, comporre per analizzare.

Quando due culture entrano in contatto reciproco, si influiscono a vicenda (Grecia capta Romam cepit, osservò non del tutto senza sagacia un ‘conquistatore conquistato’ più di venti secoli fa). Gli arrivati e/o conquistati (oggigiorno, la conquista per eccellenza è la mescola di sfruttamento economico ed emarginazione sociale) si dibattono tra due pulsioni contrastanti. Da un lato, pulsione verso l’integrazione (bisogna dire l’ovvio – se non ne esistesse almeno in ragionevole misura, non sarebbero venuti). Da un altro, pulsione verso l’identità.

Risulta spiegabile che le nostre società si concentrino sulla parte problematica, che è chiaramente la seconda. Davanti ad essa, ci sono alcuni anni che stiamo provando con una combinazione di paternalismi di facciata e, sotto la loro copertura, delle bastonate dell’accidente). Ma è chiaro che questo cocktail non funziona e spazia – non aiuta l’integrazione, non riduce le diseguaglianze. E davanti alle bastonate l’identità semmai si rinforza – proviamo a chiederlo ai guerriglieri di tutte le epoche.

Con ciò, il senso di identità si sclerotizza e comincia a diventare identitarismo. (Costruisco questa parolaccia con la desinenza –ismo perché denota un’ideologia, che pretende di avere valore assoluto). Questo fenomeno non avviene soltanto nei margini radicali del gruppo bastonato; l’identitarismo salta, come vero virus ideologico, i tenui confini tra culture, e modifica il ‘DNA culturale’ del gruppo dominante. Genera uno stile di pensiero che, senza prendere consapevolezza di questa retroalimentazione negativa, si lancia a proporre politiche identitariste (talvolta tesi, come quelle di Sarrazin in Germania, talvolta azioni, come le espulsioni attuate dal governo Sarkozy).

Leggere di più ... Cosa propone concettualmente questo identitarismo dominante? Al mio parere, sono tre le sue linee d’azione. Primo, diffonde dati sprovvisti di contesto e strutturati secondo stereotipi (‘i musulmani costano di più al nostro sistema di protezione sociale’, ‘gli zingari rubano’ e così via). Secondo, rifiuta i paternalismi dell’odierno apparato sociale. Terzo, non solo non denuncia le corrispondenti bastonate ad hoc ma persino chiede che si rinforzino.

Come combattere questo virus? Non penso che valgano repressioni né tanto meno censure politicamente corrette. Neanche vale rincarare la dose di politiche di dimostrata inefficacia. Forse valga la pena, invece, adoperare uno stile di pensiero lucido, relativizzante, orientato alla realtà, che scommetta decisamente per la pace.

Davanti alla prima proposta identitarista, bisogna fornire informazioni e situare nel contesto appropriato i dati divulgati. Mi si permetta un esempio sarcastico: senza contesto, potremmo anche affermare che i residenti di Buchenwald ne uscivano scheletrici (i sopravvissuti, si intenda bene) e che probabilmente questi anoressici privi della più elementare gratitudine erano afflitti da un gene che gli impediva di metabolizzare il salutare brodo di pietre che ivi gli veniva generosamente offerto, assieme a un’ampia gamma di attività fisiche all’altezza della miglior palestra. Senza contesto, potremmo anche affermare che gli immigrati fanno affondare il nostro sistema sociale, oppure che gli zingari rubano. Siamo liberi di farlo, ma non solo descriveremmo in modo storpiato la realtà, ma anche danneggeremmo le nostre speranze di pace.

La seconda proposta dell’identitarismo merita applauso parziale, anche venendo da dove viene. Il paternalismo non ha nulla a che vedere con l’aiuto all’integrazione, come non ha nulla a che vedere con l’educazione. Il paternalismo finge la pace presente ma non fa nulla per prevenire la guerra futura. Ma non basta con denunciare il paternalismo: bisogna progettare ed eseguire un’azione di aiuto non paternalista che rispetti la dignità di quello che riceve l’aiuto e di quello che lo porge. L’obiettivo della relazione d’aiuto sarà la composizione armonica delle differenze, che sono relative; non può essere pretestuale, misericordia di uno ‘che vale di più’, che spinge qualche tozzo di pane secco nella mano di un altro che ‘vale di meno’ per tranquillizzare la propria coscienza, evitare sommosse … e giustificare le bastonate che continua ad amministrare in parallelo.

La terza proposta deve essere denunciata. Non serve rinforzare la pioggia di bastonate sui già bastonati. Serve invece rinforzare il principio di legalità, senza eccettuarne nessuno –so che in italiano suona sovversivo–. Questa legalità deve consolidarsi nell’ambito dello Stato, per tutti coloro che vi abitano. Successivamente, deve emanarsi e propagarsi verso la comunità degli Stati, come legalità internazionale. Solo attraverso la legalità diventa possibile una pace vera e duratura.

Prendere consapevolezza per agire, agire per prendere consapevolezza. Appunto perché non consideriamo positivo il senso assoluto dell’identità –in modo fondato, poiché è pericoloso per la pace– non possiamo combatterlo con un identitarismo di senso contrario, ugualmente assolutista.

L’affermazione assoluta dell’identità, assieme alle disuguaglianze economiche e sociali, e al disastro ambientale, sono le tre grandi minacce per la pace. Oggi, le minacce per la pace hanno implicazioni senza precedenti nella storia dell’umanità. Sono diventate minacce per la specie, se non per l’intero pianeta, dovuto alla straordinaria densità che abbiamo raggiunto, e ai mezzi tecnologici disponibili per fare la guerra – purtroppo le bastonate, che già in ambito sociale sono più che metaforiche, in ambito planetario rischiano di diventare ‘megatonate’, letteralmente, se la discordia ci scappa di mano, a furia di avvivare il fuoco degli identitarismi.

Prendere consapevolezza è un processo a 360°. Le identità che vengono affermate come assolute non si trovano soltanto ‘fuori’ dalle nostre società, incarnate in individui di pelle oscura, vestiti diversi, abitudine strane. Esistono altre identità assolute che si affermano in modo altrettanto insidioso dentro alla nostra cultura, come sono i nazionalismi, i gruppi di potere religioso, politico, ideologico, economico, … chi più ne abbia più ne metta.

Dobbiamo prendere consapevolezza della minaccia molteplice. Se non interveniamo urgentemente e decisamente per relativizzare le identità, tutte le identità; per ridurre le disuguaglianze; per proteggere l’ambiente che è casa di tutti … si annunciano tempi brutti, molto brutti. Per tutte le identità e per i loro portatori.