giovedì 31 marzo 2011

Normalità dell'eccezionalità


[68]
Oggi ho ascoltato alla televisione tre cantate bachiane, che peraltro conoscevo benissimo, avendone l’edizione completa nella splendida edizione in CD di Harnoncourt e Leonhard. Successivamente è stata la volta del IV Concerto Brandenburghese, sempre sotto la direzione di Harnoncourt. Mi sono venute le seguenti riflessioni:

• Nella sua qualità di Cantor nella chiesa di San Tommaso a Lipsia con l’obbligo di scrivere, allestire ed eseguire almeno una cantata la settimana, più eventuali altre per le feste infrasettimanali e le solennità civili, per Bach questo genere di lavoro, protratto per anni, non poteva che assumere carattere di routine. La cosa stupefacente è che, pur essendo questo evidentissimo all’ascolto, non ne risultano minimamente inficiate la qualità inventiva e la complessità tecnica. Normalità dell’assoluta eccezionalità.

• Altrettanto evidente all’ascolto risulta il carattere non routinier della sua musica strumentale, come per esempio i Concerti brandenburghesi. Qui è stupefacente piuttosto il contrario: come la singolarità di un’opera la cui destinazione profana, volta a intrattenere un’aristocrazia esigente in fatto di originalità inventiva, esibisce questa originalità al massimo grado con la naturalezza di una routine. Eccezionalità in veste di quotidianità.

• Il ‘caso Bach’ come esempio preclaro di coincidentia oppositorum, figlio tardivo del Medioevo, precursore solo di se stesso, sintesi di passato a futuro in un presente senza tempo.

mercoledì 30 marzo 2011

Verità della matematica?

[68] Ancora una riflessione sulla verità dei concetti matematici. Questi sono considerati la quintessenza della ‘razionalità’ e su questo possiamo anche concordare; essendo la ragione cosa nostra, come la matematica, che cosa di impedisce di equipararle?

Diverso il caso in cui considerassimo ragione e matematica ‘obiettivamente’ cioè senza la nostra mediazione –garanzia di verità–. Per ottenere questo dovremmo farne delle forme di conoscenza a priori, cioè senz’altra garanzia che se stessa. Non solo dovremmo quindi attribuire il carattere di verità alla matematica ma presupporre anche la sua raggiungibilità attraverso la ragione.

Più convincente mi sembra però un’altra via, che non raggiunge la ‘verità sul mondo reale’, ma si ferma all’arresto metaculturale, sempre disponibile a spostare indefinitamente la sua barriera. È quanto hanno già fatto Newton e Leibnitz inventando il calcolo infinitesimale. E tutto sarebbe andato bene se non fossero intervenuti i quanti con la loro brutale finitezza

martedì 29 marzo 2011

Costanza e fedeltà

[67] Sono nato e cresciuto in un’epoca in cui costanza e fedeltà alle proprie idee erano considerate un ‘valore’. Oggi penso piuttosto che siano precoci sintomi di demenza senile (Alzheimer).

venerdì 25 marzo 2011

Matematica, linguaggio della fisica?


Se qualcuno mi chiedesse quali sono le due più belle equazioni della fisica, citerei f=ma ed e=mc2.

La prima (forza = massa × accelerazione) la dobbiamo a Newton e ce l’insegnano già al liceo; la seconda (energia = massa per il quadrato della velocità della luce) apparentemente quasi altrettanto semplice, è di Einstein, ma per capirla effettivamente occorrono complessi studi superiori. Io per esempio, che negli anni Quaranta qualche contatto con la teoria della relatività l’ho avuto, non posso dire di aver capito nella sua ‘fisicità’ la famosa equazione einsteiniana. Voglio dire che matematicamente c’è poco o nulla da capire, ma il significato che si nasconde dietro i simboli matematici e le operazioni che li legano tra loro sono ben lontani dall’essermi chiari. Supponiamo che lo sia il concetto di ‘velocità’ (riducibile a un rapporto di spazio e tempo), non lo è certo quello di ‘massa’, definita banalmente come ‘quantità di materia’ (così al meno si diceva ai miei tempi).

Ma non è questo ciò che vorrei che qualcuno mi spiegasse. Molto più in generale:
“Perché il linguaggio della fisica è o dovrebbe essere la matematica?”

Tra le risposte possibili (ma nessuna mi sembra convincente):
• “Perché la matematica è il linguaggio della materia come dimostra il fatto che, essendo fatto di materia e spiegandone le leggi, in un certo senso si auto dimostra.”
• “Perché la matematica è, per così dire, il ‘linguaggio macchina’ del pensiero e ne riflette la struttura profonda, al di là della quale non possiamo andare”.
• “Perché il ‘numero’ è l’ente che unisce l’astrazione operata dalla mente alla concretezza dell’esperienza corporea”.

Questa come altre possibili risposte mi sembra non concordino alla lunga con i dati dell’esperienza. Così la fisica newtoniana, considerata fino a molto tempo dopo il suo apparire l’ultima parola sulla conoscenza delle cose, si è infine rivelata inesatta e non è improbabile che lo stesso accada alla relatività, sia speciale che generale. Già oggi alcuni attacchi alla costanza della velocità della luce sono stati mossi e le infinite formulazioni della ‘teoria delle stringhe’, tutte matematicamente plausibili, non trovano riscontro esperienziale. Più che a risposte definitive dovremo –penso– attenerci, come per il passato, al concetto metaculturale dell’arresto.

giovedì 24 marzo 2011

Ma che cosa ho sognato?


Oggi, nel dormiveglia del primo mattino, ho rivissuto un piccolo episodio dei miei vent’anni. Era da poco terminata la guerra (sarà stato il 1947 o 48) e mi trovavo in viaggio verso le Dolomiti, le montagne predilette della mia infanzia. Il vagone su cui ero salito era stracolmo, cosicché stavo passando la notte in piede nel corridoio. Poco prima di Bologna, nello scompartimento vicino al posto dove mi trovavo, notai un certo scompiglio tra i passeggeri. Evidentemente alcuni si apprestavano a scendere. Vidi anche una ragazza, suppergiù della mia età, che mi faceva segno che si sarebbe liberato un posto vicino a lei. Accettai l’invito, anzi, visto che lo scompartimento si andava svuotando, occupai ben presto due posti, accogliendo anche il nuovo invito della ragazza a poggiare la testa sulle sue ginocchia.

Ero effettivamente molto stanco e quasi subito mi addormentai con una sensazione dolcissima, come quando, anni prima, mi addormentavo in grembo a mia madre, quasi rievocando inconsci sonni prenatali.

Mi risvegliai al momento di scendere. Ci salutammo, la ragazza ed io, e contemporaneamente ha avuto fine anche il mio dormiveglia mattutino. Solo che non è mattino ma primo pomeriggio, io sto seduto al mio tavolo da lavoro, davanti a me il quaderno su cui, evidentemente in sogno, ho scritto queste righe.

Ma che cosa ho sognato?

mercoledì 23 marzo 2011

Un merlo


[64] Me ne sto seduto sul terrazzino di casa. Un merlo mi delizia col suo canto nettamente strofico. Ogni strofa è bipartita. La prima parte ha carattere melodico: suoni ben formati, non di rado disposti in brevi sequenze rigorosamente diatoniche. La seconda la si direbbe ‘informale’ o ‘rumoristica’; suoni acuti, stridenti, sgraziati, sembrano emessi da un secondo uccello, assai diverso dal primo. Inoltre le strofe sono tutte diverse, almeno in una delle sue parti, quella ‘informale’. Le parti melodiche talora sembrano ripetersi con minime varianti. Se questi rapporti si riscontrassero in una composizione di autore, ne loderemmo la straordinaria fantasia. I merli, sono dotati di ‘straordinaria fantasia’? Tutti?

martedì 22 marzo 2011

Bullismo (dialogo fittizio)



[Eva] Avete letto sul giornale quello che è successo nella media di X?
[Fabio] No, i giornali non li leggo mai …
[Eva] … e non guardi neppure la TV …
[Fabio] … sì, quella sì, le partite … ma non certo i telegiornali … sono cosí noiosi … parlano sempre di POLITICA, che non me ne frega niente …
[Margherita] Bravo furbo! non sai che oggi bisogna vivere INFORMATI, sennò sono gli altri che ti fregano …
[Fabio] Embè, che è successo nella media di X?
Leggere di più ...
[Eva] Che hanno violentato una ragazza.
[Fabio] Se la sarà tirata. Oggi le ragazze ti provocano, poi, quando capita, strillano e piangono … e magari ti denunciano …
[Margherita] … e farebbero bene! Purtroppo però quasi sempre lasciano perdere …
[Fabio] … perché sanno di essere in torto. Un vero MASCHIO mica si lascia prendere per il naso: se lei ti guarda in un certo modo, mica puoi passare per fesso!
[Eva] Ecco, io ti sto guardando in un certo modo …
[Fabio] Che c’entra, stiamo scherzando …
[Eva] Io non scherzo affatto, sei tu che hai paura perché sei solo …
[Margherita] Siete CORAGGIOSI e strafottenti solo quando siete in branco …
[Alberto] Bè, non generalizziamo, ci sono molti ragazzi per bene anche quando sono con gli AMICI …
[Eva] Ma non è una questione di essere ‘per bene’, è questione di bullismo: una MODA anche questa …
[Alberto] … forse perché se ne parla troppo e i bulli pensano di essere qualcuno solo se fanno quelle cose là …
[Eva] Vedi, anche tu non hai coraggio di dire le cose come stanno: VIOLENZA di gruppo da parte di una manica di stronzi.
[Fabio] Alla nostra ETÀ sono molti che vorrebbero farlo, ma da soli non hanno il coraggio …
[Eva] Lo vedi, oltreché stronzi, anche vigliacchi!
[Margherita] Ma perché dici che vorrebbero farlo?
[Fabio] … l’ISTINTO …
[Alberto] No, l’istinto è un’altra cosa … almeno cosí mi hanno detto.
[Eva] Gli istinti ce l’abbiamo tutti, ma ci abbiamo anche la RAGIONE per CONTROLLARLI …
[Fabio] … e perché li dovremmo controllare? gli animali mica li controllano …
[Margherita] … perché hanno altri istinti ancora, che controllano i primi …
[Alberto] … le inibizioni.
[Fabio] Ma noi giovani vogliamo far piazza pulita delle inibizioni e comportarci come ci pare.
[Eva] Ecco, per esempio, l’istinto mi direbbe di darti un pugno sul naso, ma io mi controllo …
[Fabio] … perché hai PAURA …
[Eva] No, perché preferisco usare la testa anziché le mani e non vedo perché dovremmo darcele se nella scuola di X ci sono degli stronzi …
[Margherita] Però il FENOMENO del bullismo si verifica anche nella scuola nostra. Ricordate quando in terza hanno preso di mira quel poverino di Giulio che non si può DIFENDERE?
[Alberto] Certo che me lo ricordo. È una cosa immorale, prendersela con i più deboli …
[Eva] Ma cosa c’entra la MORALE? Qui stiamo parlando di persone, non di principi … se offendo qualcuno, offendo lui, non la morale.
[Margherita] Eva ha ragione, del resto anche i bulli sono soltanto degli imbecilli e se domani saranno dei DELINQUENTI è perché nessuno glielo ha detto con chiarezza: non siete degli eroi e neppure dei normali maschi, siete dei sottosviluppati …
[Alberto] Andiamoci piano con gli insulti … forse anche i bulli hanno BISOGNO di essere CAPITI. Perché un ragazzo, arrivato a un certo punto, decide di fare il bullo?
[Eva] L’ho già detto, per moda ...
[Alberto] Ma la moda, chi la fa, chi la decide?
[Margherita] La SOCIETÀ nel suo insieme: quando per esempio ti dice che devi vincere a tutti i costi, sennò non sei nessuno, o che il futuro è dei forti e che i deboli è giusto che scompaiano …
[Eva] … ma bisogna essere degli STUPIDI per credere a queste sciocchezze: se sei qualcuno, lo sei anche quando perdi, mentre i bulli sono nessuno anche quando vincono.
[Margherita] Bè, mi sembra che un po’ di bullismo ce l’hai anche tu … sempre all’attacco …
[Alberto] Sarà perché sono un ragazzo, ma i bulli mi fanno un po’ pena. Quando ne fanno una delle loro, anch’io come Eva, mi piacerebbe farli a pezzi, magari con l’aiuto di qualche compagno … Poi però, ci ripenso: penso a quanti adulti uccidono solo perché qualcuno gli dice di farlo, o violentano intere NAZIONI in nome di un DIO o di una bandiera. Esistono bulli anche in giacca e cravatta o magari in abito sacerdotale e allora i bulletti della nostra scuola mi appaiono più come vittime che come violentatori e ai più deboli violentati vorrei dire: ricordate ciò che vi è capitato, non per desiderio di VENDETTA e forse neppure di GIUSTIZIA, ma per darvi da fare, quando sarete adulti, affinché l’AUTONOMIA del PENSIERO prevalga sul suo asservimento ad altro pensiero.
– – – – – – –
Abbiamo riportato per intero questo ‘dialogo fittizio’ che è stato lungamente discusso in alcune SCUOLE medie ed elementari. Pensiamo possa essere proposto anche a gruppi di adulti, in particolare di genitori che troppo spesso si rivelano impotenti di fronte a fenomeni giovanili come appunto il bullismo.

lunedì 21 marzo 2011

Spazio progettuale

[63] Dopo avere, nel precedente postino, tentato una breve incursione in un futuro possibile, se non probabile, torniamo ora a un passato, meno problematico perché già sperimentato all’inizio del nostro percorso.

Ho a suo tempo cercato di rendere graficamente l’idea di progetto con una serie di cerchi concentrici, di cui quelli più esterni li ho chiamati ‘spazio progettuale esterno’ e quelli più interni ‘spazio progettuale interno’ (Indagini Metaculturali, Volume III, pag 39).


Questo per significare la collocazione temporale di ogni nostro progetto, legato al prima e al poi, agli antecedenti e alle conseguenze di ciò che progettiamo. Per una buona ed efficace progettazione è infatti essenziale un’approfondita conoscenza di ambedue questi spazi. Quante volte per esempio, nell’ansia di risolvere un problema, non teniamo conto del poi, come nel caso dello smaltimento di rifiuti o della produzione di energia!

Nel grafico degli anelli concentrici, quanti anelli dovremo attraversare per dichiarare affidabile un progetto?

Poiché possiamo pensare come infiniti questi anelli, bisognerà a un certo punto fermarsi per non perderci in UMC (Universo Metaculturale). Ed ecco un altro degli strumenti fondamentali di IMC: il concetto dell’arresto, essenziale per dare correttezza e fattibilità ai nostri progetti. Ma chi comanderà questo arresto? Dovrà farlo lo stesso progetto che ci siamo dati.

Un esempio di quanto appena detto.

Supponiamo di voler costruire una casa su un certo terreno. Per ‘spazio progettuale esterno’ intendo sostanzialmente il piano regolatore, eventuali vincoli paesaggistici o architettonici, le caratteristiche del terreno e dei materiali usati ecc., per ‘spazio progettuale interno’ l’impatto della costruzione nell’ambiente, il suo uso nel tempo, la sua utilità sociale. L’arresto fermerà l’indagine quando il progetto abbia soddisfatto le condizioni imposte dallo ‘spazio progettuale esterno’.

domenica 20 marzo 2011

Riflessioni senza fondo

Quinta da Regaleira (Sintra, Portugal)

[62]
– Mi piacerebbe scrivere un libro dal titolo Riflessioni senza fondo.
– Pensi al titolo prima che al libro?
– Sì, perché in qualche modo il titolo è già il libro, quanto meno me ne dà delle possibili dimensioni, che, non essendo vincolate a un contenuti, potrebbero esaurirsi con il titolo.
– E perché dici che ti piacerebbe? non dipende da te?
– Fino a un certo punto, alla mia età… e il libro, proprio perché senza fondo (come del resto anche questi postini) è una buona scusa per procrastinare quel ‘certo punto’…
– Ma i libri debbono pur finire in un modo o nell’altro…
– Se pensi i libri come ‘opere’, magari anche d’autore. Se invece li pensi come discorso collettivo, come espressione del pensiero umano…
– Sicché pensi i tuoi libri come “espressione del pensiero umano”?
– Se ci togli le virgolette, qualsiasi discorso lo è.
– E di che tratterebbero queste Riflessioni senza fondo?
– Si vedrà.. Per ora mi vengono in mente solo alcuni temi
  • la proprietà,
  • il diritto,
  • la società,
  • il potere,
  • la parola,
  • il pensiero…
– Ma non hai trattato questi temi già nelle Metaparole?
– Sì, ma le ‘riflessioni’ sono appunto ‘senza fondo’ e questo potrebbe essere l’occasione per spingerle un poco più in là.
– Una specie di Metaparole bis…
– Poi ter, quater… se altri verranno incamminarsi per questa strada…
– … che, a quel che vedo, resterebbe aperta ad altri viandanti…
– … anche se pochi accetterebbero di condividere una via che non sia a loro nome.

sabato 19 marzo 2011

Una riflessione cherubica



[61] Cerchio e punto sono tra le più amate metafore dei mistici e anche Angelus Silesius* ne fa largo uso. Nel Viandante cherubico le si incontra nelle più diverse forme e contesti... Il tema ha ovviamente a che fare con Dio e l’uomo, ma non è sempre chiaro che cosa corrisponda a che cosa: se Dio al punto e l’uomo al cerchio o il contrario. Siccome però nei mistici gli opposti coincidono al limite, la questione è irrilevante.

(dall’originale tedesco del 2002)

*[Nota su Angelus Silesius, al secolo Johannes Scheffler.]

venerdì 18 marzo 2011

Y e XY


[60] Era di nuovo un’epoca di divinità personalizzate in cui, quando si diceva o scriveva “Dio mio” o “mio Dio”, si intendeva effettivamente un Dio proprio, distinto da tutti quelli altrui. Che poi le cose stessero così o che questa pluralità confluisse da ultimo in un unico Dio dai mille volti non è stato sinora chiarito, ma non è neppure necessario saperlo. Perlomeno non interessava il signore Y, che faceva capo alla divinità XY.

Questi era stato abituato fin da piccolo a ringraziare ogni sera XY per il solo fatto di essere nato. Nei primi anni tutto andò bene e i ringraziamenti di Y erano motivati e convinti. Poi, con la scuola, erano cominciati i primi screzi:
“Perché mi hai fatto interrogare proprio oggi che non ero preparato?” o “Ma che ti è venuto in testa di far perdere il Genoa due volte di seguito?”
Qualche anno dopo:
“Fa almeno che oggi si accorga di me!”

Ciononquanto i ringraziamenti serali continuavano. Fino a che XY cominciò a dubitare che si trattasse solo di una routine, di un’abitudine acquisita ma ormai priva di un vero significato. Per mettere alla prova la sincerità di Y, XY lo sottopose a dure prove, cui Y non resse a lungo. Non era più questione della preghierina serale, ma sempre più rare erano le manifestazioni di gratitudine di Y verso XY, anche perché sempre più rare erano le occasioni che avrebbero potuto motivarle.

Fu così che il sodalizio di Y e XY si indebolì fino a scomparire del tutto. Il primo a scomparire fu XY, non più sorretto dai ringraziamenti di Y, poi fu la volta di Y, di cui però ben pochi si accorsero. Il fatto comunque si ripetè miliardi di volte, per ognuno degli Y viventi, e questo portò alla sparizione anche di un ipotetico X, uno o plurimo che fosse.

giovedì 17 marzo 2011

L'ultima definizione


[59] Riprendiamo la definizione di IMC, anzi l’ultima definizione, perché altre, almeno sul momento, non ve ne sono.

DEFINIZIONE 3
Data una qualsiasi proposizione p, è sempre possibile trovare o costruire un UCLp che la rende ‘vera’.

È un po’ il reciproco di DEFINIZIONE 1. La sua equivalenza con quella è facilmente dimostrabile. Infatti per la logica a due valori (vero, falso) l’unico caso in cui p risulta comunque falso è quello in cui p è auto contraddittoria, ma questo caso non ci deve preoccupare perché, per DEFINIZIONE 2, il principio di non contraddizione è sospeso, se non altro in UMC, che è appunto l’UCL in grado di rendere sia vera che falsa l’autocontraddizione.

DEFINIZIONE 3 esprime, possiamo dire, l’onnipotenza dell’intelletto umano, capace di fondare, come di negare qualunque ‘verità’. È come aver capovolto UMC, la cui ‘debolezza’ diventa ora il massimo raggiungibili di un pensiero ‘forte’.

Con DEFINIZIONE 3 si chiude l’esposizione del fondamento di IMC. Può darsi che al lettore di questi postini IMC, più che incomprensibile, risulti oziosa e inutile. Spero che tra qualche postino cambi idea. Se ciò non dovesse accadere, gli auguro di trovare lui stesso una via che, meglio di IMC, ci porti alla pace e, per essa, alla sopravvivenza.

Ho ripercorso in questi postini l’itinerario già compiuto all’inizio del terzo volume delle Indagini metaculturali. Arrivato a DEFINIZIONE 3, non ho trovato di meglio che ripetere quasi alla lettera quanto scritto nel 1999 e già ripetuto. Perché questa ridondanza? Perché diversi sono i contesti in cui sono inserite e diversi potrebbero essere i lettori. Qui ritroviamo le tre definizioni di IMC in compagnia di testi in prevalenza –ma non esclusivamente– scherzosi, quasi a sottolineare la sottigliezza del confine tra il serio e il meno serio.

mercoledì 16 marzo 2011

Quanto è lungo un lombrico?



[58] La domanda non ammette una risposta se non si specifica l’istante della sua misurazione. Infatti la sua lunghezza varia di continuo e anche se si volesse assumere come suo valore la misura ottenuta nell’istante x, tale valore non potrebbe essere verificato in nessuno degli istanti successivi, salvo il caso che il lombrico sia morto. Diremo allora che il lombrico ha un’effettiva lunghezza solo se non è vivo? E se lo è –non essendo possibile determinarne la lunghezza– semplicemente non può essere lungo?

Lo stesso discorso potendosi fare per la sua grossezza –per il diametro cioè del suo corpo– diremo che un lombrico vivo non ha dimensioni?

Ma un qualsiasi corpo non può non avere dimensioni. Quindi un lombrico riceve un corpo solo da morto. Finché vive è puro spirito.

martedì 15 marzo 2011

Vita di merlo


Illustrazione di Paola Bučan

[57] Il merlo fece un volo e tornò al nido.

Il merlo fece un volo, mangiò un verme e tornò al nido.

Il merlo fece un volo, incontrò una merla, fece con lei quattro chiacchiere e tornò al nido.

Il merlo fece un volo, incontrò di nuovo la merla e le disse:
- Vogliamo mettere su famiglia?
- Sì - rispose lei, e tornarono al nido.

Il merlo fece un volo di rifornimento mentre la merla covava tre uova. Raccolse nel becco alcuni vermi e qualche insetto, non ne inghiottì nessuno, e tornò al nido.

Il merlo fece un volo di rifornimento per la merla e i tre piccoli. Strada facendo fu attaccato da uno sparviero. Riuscì a evitarlo gettandosi a terra e anche lo sparviero a malapena evitò di schiantarsi contro un sasso.

Poi tornò al nido.

Il merlo fece un volo dimostrativo. I piccoli lo guardavano dal nido e sbattevano le ali. Il merlo li chiamò da un ramo di fronte, quelli però non vennero. Poi tornò al nido.

Il merlo fece un volo con la merla e i tre piccoli, che ormai erano grandi come lui. Poi tornarono al nido, lui e la merla.

Il merlo fece ancora molti altri voli per sé, la sua merla e per molti altri piccoli.

Il merlo fece un volo ma non tornò più al nido.

lunedì 14 marzo 2011

Sospensione del principio di non contraddizione ...


[56] Alcuni postini fa ho interrotto l’esposizione –in realtà una ripresentazione– di IMC per non annoiare il visitatore con un sovraccarico di teoria, anche se questa non credo risulti particolarmente gravosa. Sia come sia, vorrei ora fare qualche passo avanti che ci permetta di renderci meglio conto delle caratteristiche epistemologiche di questa ipotesi.

IMC ha infatti –almeno quando cerchiamo di definirla– una componente culturale che è bene riconoscere per non restarne travolti. E qual’è questa componente?

Il sistema comunicazionale (linguistico, concettuale, ideologico) nel quale IMC è stata formulata. Poiché, in qualità di ‘ipotesi’, IMC non è in grado di difendere sé stessa e si colloca probabilmente al punto più basso del cosiddetto ‘pensiero debole’, propongo una sua seconda definizione, più stringata e precisa:

DEFINIZIONE 2
IMC coincide con la sospensione del principio di non contraddizione.

Non è di immediata evidenza la coincidenza di DEFINIZIONE 1 e DEFINIZIONE 2. Basta pensare tuttavia che DEFINIZIONE 1 ricade nel dominio di sé stessa, va cioè relativizzata alla cultura che l’ha prodotta (in altre parole: vale entro i limiti di quella cultura). E questo vuol dire che DEFINIZIONE 1 potrebbe essere valida in un UCL e non valida in un altro. Conviene quindi ‘sospendere’ il principio di non contraddizione almeno fin quando non si sia precisato l’UCL (Universo Culturale Locale) di riferimento. [Ricordo che il principio di non contraddizione –"non può essere contemporaneamente che A sia uguale e diverso da B” – è il più tenace principio della logica classica].

DEFINIZIONE 2 non dice di abolire quel famoso principio, nel qual caso precipiteremmo nel baratro nullificante di UMC (Universo Metaculturale), ma solo di ‘sospenderlo’, lasciandoci sempre aperta la scappatoia del rifondarlo quando serve (cioè quasi sempre). IMC si propone appunto la ‘rifondazione’ di quel principio, ma a certe condizioni, chiarite e esplicitate.
Ancora una volta, temo di aver inviluppato il malcapitato visitatore in una rete di considerazioni che gli appariranno oziose e inconcludenti. Spero anche, se la sua ostinazione sarà pari alla mia, finirà per cambiare idea. Per fargli riprendere fiato, il nuovo postino parlerà di tutt’altro.

giovedì 10 marzo 2011

Amicizia


[55] Per più di mezzo secolo sono stati grandi amici. Per l’uno dei due l’altro si può dire che sia stato l’unico vero. Che cosa li legava?
Si sarebbe detto la musica, visto che tutti e due erano musicisti. Ma erano troppo diversi i modi di pensare e di capire, e la musica, si sa, non è che una forma di pensiero, così almeno pensava l’uno, mentre per l’altro la musica era intuizione irriflessa. Ma non sempre pensiero anch’essa?

Certo, difficile negarlo, e l’optimum si raggiunge solo quando i due ‘stili di pensiero’ si unificano in un solo individuo. E non era questo il caso loro. Musicisti ambedue, sì, ma altro era il collante della loro amicizia. Quale? Indubbiamente la passione per i coleotteri che li avrebbe accompagnati per tutta la vita, ma più ancora lo erano le erbe primaverili, i sassi lungo la strada, il volo alto di un falco, l’osteriola che li accoglieva accaldati dal sole meridiano, gli anni che li ritrovavano uniti nelle stesse emozioni dell’anno passato, il tempo, il tempo, ancora e sempre il tempo…

mercoledì 9 marzo 2011

Un altro dialogo


[54] Composizione di Charis Tsevis per la rivista Time
  • Ieri hai lasciato l’ultima parola al ‘caso’: un ritorno al darwinismo prima maniera? Oggi conosciamo i meccanismi di azione del ‘caso’, possiamo quindi accomodarlo alle nostre esigenze, come quando selezioniamo le razze canine o gli OGM.
  • Non mi è chiaro se accomodiamo il caso alle nostre esigenze o, viceversa le nostre esigenze al caso.
  • Comunque, esigenze e caso trovano un punto d’incontro e questo è ciò che conta.
  • Già, il ‘mondo della vita’.
  • Ma perché ‘miracolo’? Non avrebbe potuto essere diversamente.
  • Non ti conoscevo determinista.
  • Non sono io a essere determinista, è la logica.
  • Dipende da come la usi.
  • Perché, che cosa c’è che non va nel mio ragionamento?
  • Il fatto che ciò che dici tu avrei potuto dirlo io.
  • Qualcosa di non insolito nel mondo politico di oggi.
  • Dev’essere per questo che non ci si capisce, specialmente quando si dicono le stesse cose.

martedì 8 marzo 2011

Un dialogo

[53]
  • Nel tuo ultimo libro, la relazione d’aiuto ovvero la composizione simmetrica delle diseguaglianze, proponi di sostituire il modello sociale della ‘crescita infinita’, oggi vincente in tutto il mondo, con quello espresso dal titolo del libro. Pensi in tal modo di indurre i paesi ricchi ad aiutare quelli poveri senza una contropartita?
  • Non sono tanto ingenuo. So benissimo che ricchezza chiama ricchezza, una condanna cui è difficile sfuggire.
  • Ma perché la chiami ‘condanna’? Non mi dispiacerebbe una condanna del genere.
  • Ed è per questo che la chiamo ‘condanna’. Chi è condannato alla ricchezza vive temendo, per assurdo, di non vederla più crescere. Mentre chi vive in una rete di relazioni di aiuto non ha ragione di temere la crescita, né della rete, né della ricchezza. Questa infatti viene subito ridistribuita in quella, consentendone la simmetria.
  • Ma la simmetria senza lo stimolo dell’asimmetria non ci garantisce la sopravvivenza!
  • All’asimmetria lasciamo che ci pensi il caso!

lunedì 7 marzo 2011

Religione naturale


[52] F., un bambino di otto anni, famiglia cattolica di sinistra, un tempo la si sarebbe detta vicina alla Chiesa non meno che al PCI. Frequenta la scuola pubblica, integrandolo con lo studio privato del Catechismo.

Il padre è pianista e insegnante del Conservatorio. Ambedue i genitori seguono con molta attenzione ma senza forzature lo sviluppo mentale dei sue figli (F. ha una sorellina di quattro anni).

Un giorno il tema dell’ora di Catechismo era stato evidentemente la Creazione – F. così ha commentato la Sacra Scrittura (testuale!).

“Per me è tutto un grande imbroglio (F. ha l’erre moscia). Hanno inventato un Grande Mago e lo hanno messo lassù; ma è mai possibile che in sette giorni abbia costruito il mondo con tutte le cose che ci stanno dentro? (Poi, dopo qualche secondo di silenzio) Ne ho discusso ancora con l’insegnante, ma quello ha parlato, parlato, scivolando –come dite voi– sullo specchio…
Io resto dell’idea che è tutto un grande imbroglio.”

venerdì 4 marzo 2011

Un muraglione di ex-voto


[51] Roma, 1943. Mura aureliane. Edicola con effige della Madonna.
Qualche ex-voto.
Nella notte: bombardamento del quartiere San Lorenzo,
centinaiai di morti.
Le settimane seguenti:
gli ex-voto aumentano fino a ricoprire il muraglione
per decine di metri.
Interpretazione possibile:
“Grazie Signore che hai fatto crollare il palazzo accanto e non il nostro”.

giovedì 3 marzo 2011

Spazio sconfinato


[50] Occhio su uno spazio sconfinato,
ma anche –da fuori–
occhio sul limite di uno spazio ristretto.
Domanda:
quale spazio si disegna sulla superficie dell’oblò?

mercoledì 2 marzo 2011

Ancora la scelta


[49] Come vedete, sto dedicando ben due postini –uno spazio enorme– al problema della scelta, del quale riassumo in quattro punti il cammino:
1. Analisi della situazione che richiede una scelta.
2. Ricerca delle alternative che la situazione offra, con particolare riguardo per quelle che qualcuno qualcosa potrebbero occultarci.
3. Analisi delle alternative individuate in rapporto alla finalità che ci siamo prefissi.
4. Scelta.
Quest’ultimo e definitivo punto –la scelta vera e propria– è per così dire l’inverso del primo. Esso cancella infatti tutte le alternative (punto 2) che l’analisi (punto 3) ha scartato come inidonee a soddisfare la situazione data (punto 1). Queste quattro operazioni, facili a elencarsi in sede progettuale, non lo sono affatto al momento dell’attuazione. A prescindere dagli ostacoli di natura ‘politica’ –e non solo ‘partitica’– che inevitabilmente si frappongono tra noi e la scelta, altri vene sono che siamo noi stessi a fabbricarci come conseguenza di altre nostre scelte cui vogliamo o dobbiamo mantener fede. Non dimentichiamoci che ogni nostra scelta è inserita in una catena di scelte pregresse e che questa catena non è per nulla detto che abbiano una comune origine o siano dirette a un medesimo fine.
Non vedo che le cose che ho detto possano effettivamente facilitare a chicchessia le scelte che incontrerà nella vita. Almeno però potranno mettere un po’ di ordine ‘procedurale’ ai pensieri che si affollano nella nostra mente ogniqualvolta la vita ci chiede di prendere una decisione. Non ci indicherà necessariamente quella giusta, ma ci aiuterà a decidere.

martedì 1 marzo 2011

Panico del futuro


"A semplice vista, sembra pace sociale, ma è panico del futuro"