lunedì 24 agosto 2009

Evoluzione dell'evoluzione

In questo weblog -e negli scritti di Boris in genere- si cita spesso a Charles Robert Darwin, pensatore e scienziato tanto influente quanto malinterpretato.



Oggi ci colleghiamo con la bellissima pagina di Ben Fry, uno scienziato-artista o artista-scienziato, che ha progettato e realizzato la seguente risorsa per visualizzare/leggere/ammirare l'evoluzione, appunto, del testo seminale di Darwin, L'origine delle specie (1859), attraverso le sue sei edizioni.

Vivissimamente consigliata a chiunque ami non soltanto la scienza, ma anche l'analisi testuale. Nonché le realizzazioni grafiche strabilianti.

Godetevila gente!

lunedì 17 agosto 2009

Zia Ipa

Riportiamo qui questo opportuno frammento della Prefazione di Margherita Hack al libro “Ipazia” di Adriano Petta e Antonino Colavito, indicatoci da Lucia (grazie!).



(Ipazia, figlia di Teone, era nata ad Alessandria d’Egitto verso il 370 d C. Fu barbaramente assassinata l’8 marzo 415, vittima del fondamentalismo religioso che vedeva in lei una nemica del cristianesimo).

Leggere di più ...
Ipazia rappresenta il simbolo per l’amore della verità, per la ragione, per la scienza, che aveva fatto grande la civiltà ellenica. Con il suo sacrificio comincia quel lungo periodo oscuro in cui il fondamentalismo religioso tenta di soffocare la ragione....

Il fondamentalismo non è morto. Ancora oggi si uccide e ci si fa uccidere in nome della religione.

Anche nei nostri civili e materialistici paesi industrializzati ci sono assurde manifestazioni di oscurantismo, come alcuni strati della civilissima America in cui si proibisce di insegnare nelle scuole la teoria dell’evoluzione di Darwin e si impone l’insegnamento del creazionismo.

Su questa strada di ritorno al medioevo si è messa anche la nostra ministro dell’Istruzione (o dovremmo dire della distruzione?) tentando di cancellare la teoria darwiniana dalle scuole elementari e medie.

Perché? Per ignoranza?

Per accontentare una chiesa cattolica che non mi sembra ingaggi più queste battaglie perse in partenza.

Questa storia romanzata ma vera di Ipazia, ci insegna ancora oggi quale e quanto pervicace possa essere l’odio per la ragione, il disprezzo per la scienza.

È una lezione da non dimenticare......
Margherita Hack

Trieste, febbraio 2005

lunedì 10 agosto 2009

Seconda a Thomas


... questa non è una ‘vera’ lettera, di cui, da quando c’è Skype, non abbiamo più bisogno. È un’ ‘epistola politica’, destinata a una, anche se improbabile, pubblicazione. Ha quindi quel tanto di ‘artificiale’ che un genere letterario impone. Tenterò quindi di fare qualche considerazione di carattere politico sul rapporto tra l’attuale società (eterodiretta dal capitalismo mondiale) e la sua parte più giovane, quella da cui un poco alla volta ti stai allontanando.

Leggere di più ...

Nonostante la mia età cerco, per quanto mi è possibile, di conservare quel rapporto, che certamente giova assai più a me che all’altro termine. Al di là dei giovani con cui sono effettivamente in contatto c’è la grande massa di quelli di cui ci informano quotidianamente la tv, i giornali, internet. E non penso tanto alle cronache, ai gossip e agli infiniti pettegolezzi di cui ci giunge notizia, ma soprattutto al taglio che caratterizza l’attuale informazione, a ciò che viene considerato rilevante e ciò di cui non si ritiene opportuno neppure parlare. Così, nel campo di mia specifica competenza, la musica, non c’è giorno che non veniamo informati del numero di dischi venduti dal nuovo gruppo rock o dalla giovanissima cantante emergente. O – in campi apparentemente altri ma regolati dagli stessi meccanismi – a quanto è stato acquistato dalla squadra x il calciatore y. O ancora qual è l’ultima moda in fatto di tatuaggi o di capigliatura. E non è tanto ciò di cui si parla quanto è ciò che si mostra a imprimersi nelle menti impreparate a una ricezione selettiva; perfino ciò che apertamente si condanna diventa stimolo alla passiva emulazione, così l’assunzione di droghe, comprese quelle a effetto letale, la violenza contro le donne, i lavoratori stranieri, i barboni, le insulse prove di coraggio come la guida contromano e così via.

“Tu non fai che invocare indirettamente una censura che i regimi democratici rifiutano” potrebbe rinfacciarmi qualcuno. Non è certo il ripristino della censura che risolverebbe i problemi di un’informazione sottomessa agli interessi di chi la gestisce. Il discorso è ‘politico’ e va affrontato fuori dalla sfera del ‘ritorno economico’. L’informazione credo non sia mai politicamente neutra. Andrebbe quindi vagliata e diffusa in rapporto
- alla sua pubblica utilità
- alla capacità media dei riceventi di penetrarla criticamente.

Quanto alla ‘pubblica utilità’, quale commissione, come composta, la giudicherebbe? Certo una commissione ‘politica’ ma non legata ai partiti. E’ possibile una politica non partitica? Lascio aperto il problema, per riprenderlo però tra poco.

Analogo, anche se apparentemente di più facile soluzione, il secondo punto: la penetrazione critica del pensiero medio dipende dalla formazione ricevuta. Questa è oggi ancora fortemente ideologizzata anche se la scuola non vuole o non può ammetterlo. La società stessa è ideologizzata nonostante i suoi vertici politici si affannino a negarlo: basterebbe a dimostrarlo l’acritico discorso sui valori –di libertà, democrazia, cristianità ...– che gli stessi vertici, quali che siano i partiti, continuano a fare. E fin quando l’autocritica non raggiungerà i più o meno nascosti presupposti ideologici di ciò che viene detto, l’ipotesi di una politica non partitica resterà perdente. Sappiamo che una tale autocritica è alla portata di tutti, purché indotta da una formazione adeguata. Ma, perché nella società venga praticata una tale formazione, è necessaria una già formata volontà politica, e perché questa vi sia, occorre appunto la stessa volontà politica che la formi. È noto che i bruchi della ‘processionaria’, se avviati lungo il bordo di un vaso circolare, continuano a marciare in tondo fino a che qualcuno cade per esaurimento e il cerchio si rompe ‘liberando’ i singoli individui. Anche noi possiamo ancora sperare nella rottura del circolo vizioso su cui si è incamminata la politica. Il punto è: la rottura avverrà in tempo utile? C’è modo di provocarla? Il circolo vizioso ha avuto inizio nel momento in cui la società mercantile addita se stessa a modello risolutivo per uscire dalla crisi che la sta soffocando e con lei l’intera biosfera. Analoga impasse aveva incontrato il modello comunista, che tuttavia ha avuto ancora a disposizione, come via di uscita, il modello concorrente con il quale tentare, per esempio in Cina, un’improbabile fusione. Al modello nostro non ci sono più alternative disponibili. C’è solo da costruirne una ex novo. Ci sta provando Obama, forte del fatto di non appartenere che in parte alla ‘razza dominante’, responsabile di ambedue i modelli storici. Se questo è il suo progetto –ma ne siamo sicuri?-, riuscirà a realizzarlo contro le gigantesche forze che gli si opporranno?

Tradizionalmente i cambiamenti epocali –e quello che oggi si richiede lo sarebbe sicuramente– avvenivano tramite le grandi rivoluzioni; oggi anche queste, come le guerre, sarebbero troppo pericolose perché potrebbero trascinarci in un conflitto nucleare. Conviene cercare altre vie. ma chi dovrebbe farlo?

Non certo la mia generazione o quella che immediatamente la segue. La cosiddetta ‘generazione di mezzo’ è troppo impegnata e compromessa con il modello consumistico-concorrenziale per rischiare il salto nel buio. Non restate che voi, oggi intorno ai 20-30 anni, voi stessi vittime inconsapevoli del degrado culturale cui la forma estrema del capitalismo mondiale ci ha condotto. Se qualche speranza è ancora possibile, è in voi, o meglio in quelli di voi che usciranno più o meno indenni dal condizionamento omologante della cultura dei consumi. E qui il discorso torna a farsi personale.

Non intendo con questo scaricare su di te delle responsabilità che non ho saputo sostenere. A mia discolpa ripeto a me stesso –ma con scarsa convinzione– che prima c’era bisogno di costruire e sperimentare nella pratica i fondamenti teorici su cui basare una concreta azione politica. Ora penso di averli trovati, questi fondamenti, non più sul versante economico come Marx, ma su quello formativo. Inoltre non credo che ci siano altre vie d’uscita dal pericolo di estinzione se non un cambiamento generalizzato di mentalità, una vera mutazione antropologica che ci faccia transitare, con un minimo di traumi possibile, dall’era delle culture (e delle guerre) all’era metaculturale della pace. Non so se ci riuscirete. La cosa non mi riguarda più ma sono spaventato dall’inerzia che mi circonda. Oggi alcuni strumenti per intervenire ci sono. Appropriatevene, ampliateli, modificateli, ma soprattutto servitevene. Questa non è la paternale di un padre preoccupato per il futuro di suo figlio. È un ‘epistola politica’.

B.

Cantalupo 10-8-09

sabato 1 agosto 2009

Alla Donna


Epistola Politica n° 45, dedicata a Donna Claude Cazalé-Bérard

La Bibbia si deve essere sbagliata. Perché creare prima l’uomo, che da solo sarebbe rimasto sterile, e poi la donna per rimediare alla deficienza di quello? Forse, se avesse creato prima te, il buon dio si sarebbe accorto che bastava così e che dell’uomo non c’era nessun bisogno. Ma è andata come è andata, e ti tocca convivere con un animale ottuso e violento che ha finito per guastare anche te ...

.......
Leggere di più ...

No, non penso così, non ho un’opinione così negativa della specie umana con il sesso maschile solo ottuso e violento e quello femminile irrimediabilmente guastato. Né credo in una gerarchia tra i sessi con l’uno dominante sull’altro. Ma neppure credo nella loro uguaglianza che li svaluterebbe entrambi. Le cose stanno bene come stanno, solo che il buon dio non c’entra niente. Mettiamo pure che qualcosa come un dio esista. Tutt’al più potrebbe aver dato una spintarella iniziale, aver disequilibrato qualcosa che prima era in equilibrio, al resto ci ha pensato Darwin, o meglio l’evoluzione come lui l’ha intesa. E ora, noi che ci stiamo a fare? Forse a cercare di ristabilire l’equilibrio perduto? Ma per questo dobbiamo farci da parte, autodistruggerci. Ed è ciò cui stiamo alacremente lavorando. Non è possibile un’altra strada? Per esempio quella di creare un nuovo equilibrio o, meno presuntuosamente, di reinserirci in quello, dinamico, che gli altri viventi hanno costruito in un paio di miliardi di anni. Può darsi che sia proprio questo equilibrio così faticosamente raggiunto a reclamare la sparizione di Homo sapiens, nel qual caso la via che stiamo attualmente percorrendo sarebbe proprio quella giusta, anche se il prezzo da pagare per gli altri viventi sembra essere troppo alto. La sparizione della nostra specie implicherebbe infatti la contestuale sparizione di tutte o quasi tutte le altre, e non so se Gaia potrebbe sopportarla. Il rischio di vedere fallito l’intero progetto ‘vita’ per colpa di una sola sua specie è tale che converrebbe ad ambedue, Gaia e l’umanità, venire a patti. Nel qual caso le trattative sarebbe bene le conduceste voi, donne, visti i pessimi risultati ottenuti nei millenni di predominio maschile. Ma non è solo questione di rappresentanza, è il concetto stesso di ‘predominio’ che va eliminato.

.......

Ho aperto questa ‘epistola politica’ indirizzata a te con una piccola ‘fantasia allegorica’ fin troppo trasparente della situazione in cui ci troviamo. Anche l’auspicio finale –che a fare il grande tentativo di rappacificazione tra i popoli e con la terra siate voi donne– rappresenta un trend degli ultimi decenni: ne fa fede la crescente presenza dell’elemento femminile nei Parlamenti e negli organi di governo di molti stati. Siamo ancora lontani da una condizione di equilibrio, ma il processo sembra avviato. C’è però un fattore limitante che ha fatto sì che questo processo non abbia finora prodotto i frutti sperati: la ‘mascolinizzazione’ della partecipazione femminile.

Ti chiedo scusa per quanto appena detto, che non vuole essere una critica a quanto state facendo o tentate di fare, ma la constatazione di un’evidente difficoltà cui vi trovate di fronte. L’intera rete mondiale di rapporti culturali, economici, finanziari, rapporti dominati dall’idea del Potere, è stata costruita nei millenni dall’elemento maschile, di cui conserva l’impronta competitiva. Nella maggior parte dei mammiferi (classe a cui apparteniamo) la funzione sessuale del maschio è quella di selezionare i gameti con maggiore probabilità di sopravvivenza (questo ci dicono i biologi). Per raggiungere tale scopo i maschi hanno istituito forme di lotta, più o meno ritualizzate, dalle quali uscirà vincitore il più forte, il più dotato fisicamente, il miglior garante di capacità riproduttive. Anche in altre classi animali la competizione sessuale è affidata soprattutto ai maschi, cosicché il meccanismo stesso è risultato vincente su larga scala. Nella specie umana, come già in certe forme associative dei mammiferi, la competizione sessuale si è estesa a competizione per il Potere, e da questa è nata un poco alla volta una strutturazione sociale basata sulla supremazia del maschio, violenta quindi e altamente competitiva a tutti i livelli ... Di qui la guerra, la conquista, la sopraffazione culturale; di qui il governo esclusivamente maschile della cosa pubblica, religione compresa. Essendo siffatta la società umana, non ti è restato altro, quando ti sei avvicinata ai luoghi del Potere, che assumere per quanto potevi un habitus maschile. E questo hai per lo più fatto, anche nel momento in cui sopra questo travestimento maschile hai pensato di gettarne un secondo, di femminismo coatto.

Non credo sia questa, nuovamente competitiva, la via più tua, la via che potrebbe –forse, chissà– sottrarre la specie umana alla precoce fine cui l’ha condannata la competitività maschile. Penso lo sia piuttosto un passaggio di consegne dall’uomo alla donna, o meglio dalla mascolinità alla femminilità. Sappiamo infatti che, in termini biologici, la separazione fra i sessi non è così drastica come certi orientamenti culturali vorrebbero far credere. In ogni individuo è riscontrabile una mescolanza di mascolinità e femminilità in varia percentuale, cui partecipano attivamente anche gli ormoni. E il sesso emergente non è neppure detto sia quello biologicamente dominante. I caratteri sessuali secondari, pure evidentissimi, possono non essere indicatori sufficienti di eterosessualità. Il ‘passaggio di consegne’ di cui sopra potrebbe non riguardare la sessualità manifesta, ma la componente femminile, quale che ne sia il portatore. Il problema non è tanto biologico quanto culturale. È possibile spostare l’asse della culturalità umana dal maschile al femminile?

In altre parole: il Potere al femminile?

Penso non sia neppure questo. Vedo il concetto di ‘potere’ strettamente legato a quello di ‘competizione’. Se nessuno lottasse per il potere, questo non sarebbe tale e coinciderebbe tutt’al più con una ‘funzione interna’ alla società come l’hanno le ‘regine’ tra le api e le formiche o i ‘soldati’ tra le formiche e le termiti. Nessun particolare ‘potere’ in queste società di insetti, se non quello rappresentato da tutto il corpo sociale, ma utilizzato solo da alcune specie nei confronti di specie diverse (come se noi l’utilizzassimo solo nei confronti di gorilla e oranghi, cosa che peraltro facciamo anche questa). È quindi possibile –visto che c’è– una società perfettamente anarchica là dove il regolatore supremo dei rapporti sociali è l’istinto, o meglio la programmazione genetica. Dove invece all’istinto è subentrata la ragione, alla programmazione la libertà di scelta, la complessità è tale che l’anarchia non è più un’opzione proponibile. Il concetto di ‘potere’, anziché abolito, va quindi ripensato; va ricercato per lui un modello che non sia quello disegnato dalla competitività maschile. E a ridisegnarlo sarebbe bene fosse la componente femminile della nostra specie, chiunque, uomo o donna, voglia metterla a disposizione.

Ho aperto questa ‘epistola politica’ con una ‘fantasia antropologica’. Vorrei ora chiuderla, simmetricamente, con una seconda ‘fantasia’, cui prego il lettore o la lettrice di non dare maggior credito che all’altra. Tutte e due non vogliono essere che una finzione letteraria buona tutt’al più per indurre qualche riflessione.

Nell’inseguire le conseguenze di IMC –ipotesi metaculturale– mi è capitato di immaginare la storia della specie umana come divisa in due fasi: la prima dal suo affacciarsi –non si sa bene quando– sulla scena biologica fino ad oggi o poco oltre, ed è la fase che possiamo chiamare ‘culturale’, dominata dallo scontro tra popoli, culture diverse e nemiche; la seconda che ancora non conosciamo, basata sulla coesistenza pacifica di popoli e culture diverse. Chiameremo questa seconda: fase ‘metaculturale’. Così come la fase metaculturale non cancella i preesistenti elementi culturali, così questi contenevano già in precedenza l’enzima metaculturale non ancora riconosciuto.

Vedrei la ‘fase culturale’ determinata dalla componente maschile; auguro alla ‘fase metaculturale’, se mai riuscirà a istaurarsi, di essere determinata dalla componente femminile.
B.
Cantalupo, 1–VIII–09