martedì 31 maggio 2011

... cammino che ha portato il saggio alla saggezza

La primatologa Jane Goodall, fotografata da Andrew Zuckerman

[105] Le massime e la letteratura gnomica in genere non godono del favore del pubblico. Il lettore non ama sentirsi ammaestrato, soprattutto quando vorrebbe farsi un'opinione sua nella vita che sta vivendo. Se l’autore lo previene o pretende addirittura di giudicare della vita prima ancora che l’altro abbia sperimentato la sua non fa che rinunciare a conquistarne la simpatia. Il lettore infatti ben raramente si preoccupa del cammino che ha portato il saggio alla saggezza.

domenica 29 maggio 2011

Il senso di ciò che si sta dicendo


[104] Ogni tanto è bene interrogarsi sul senso di ciò che si sta dicendo, anche e soprattutto se questo senso non ci è chiaro e potrebbe addirittura configurarsi come quello che in tedesco si dice Lückenbüsser, cioè un riempitivo anche là dove non c'è nulla da riempire. Non è detto che il mondo debba essere fatto di pieni e che i vuoti vadano necessariamente riempiti. È bene tuttavia non confondere gli uni cogli altri e credere che si sta dicendo qualcosa quando in realtà non si sta dicendo niente.

sabato 28 maggio 2011

Filtraggi


[103] Da qualche giorno ho terminato la revisione –con Fernando– della Relazione d’aiuto. Il suo commento è stato: “non ho mai visto un insoddisfatto più soddisfatto”. Ed effettivamente la sua puntigliosa eppur integrata e totalizzante analisi del testo ha capovolto la mia precedente impressione quasi facendomelo sopravvalutare. Il pericolo dello sbandamento in un senso o nell’altro è sempre in agguato. È probabilmente il più ‘aperto’ dei miei scritti ‘chiusi’ –escludendo cioè le raccolte progettualmente aperte come le Metaparole, le Parabole o questi stessi Postini– in quanto rispecchia anche nella forma il rimando a un futuro non programmabile. Mi domando allora quanto siamo consapevoli delle nostre parole, delle nostre azioni se altri le percepiscono così diversamente da noi da farci cambiare opinione su di esse nel giro di poche decine di minuti. È come se per capire il nostro stesso pensiero avessimo bisogno di filtrarlo attraverso il pensiero altrui. Ma chi ci garantisce da altri filtraggi?

mercoledì 25 maggio 2011

Postino e contropostino


[102]
Postino
È strano che si abbia nostalgia per le cose viste, le esperienze vissute. Queste sono nostre, nessuno può togliercele senza il nostro permesso, addirittura la nostra collaborazione. Le cose mai viste e che probabilmente non vedremo mai, le esperienze possibili ma non fatte, per queste è sensato spendere qualche lacrima.
Contropostino
La nostalgia ha senso solo per ciò che è stato nostro e non lo è più. Non posso avere nostalgia per la corona d’Inghilterra che non è mai stata mia o per le Pampas argentine che neppure ricordo, non avendole mai viste.
Oggi però, grazie alle rappresentazioni virtuali, sono possibili situazioni intermedie del tipo rappresentato in apertura al Flauto Magico.
Dies Bildnis ist bezaubernd schön,
wie noch kein Auge je gesehn…

Qui la nostalgia vive e si rinnova a ogni apertura di sipario, anche se solo virtuale.

lunedì 23 maggio 2011

Un futuro non più nostro

Illustriamo questo postino composto da Boris un anno fa con quest'immagine di Paul Hanna sobre le proteste giovanili con epicentro a Madrid, 21 Maggio 2011

[101]
Ho finito di correggere la prima bozza di La relazione d’aiuto che tanto mi ha dato da fare per tacitare la mia insoddisfazione. E non l’ho tacitata ma solo addormentata, senza però prospettiva di risveglio, almeno non da parte mia anche se sono sempre più convinto che non vi sono altre strade e che qualcuno, più giovane e più capace di me, prima o poi –piuttosto prima che poi– s’incamminerà decisamente su questa che ho appena intravisto. E l’abbiamo intravista tutti, quando –è cosa di questi giorni (Maggio 2010)– per salvare l’Unione Europea abbiamo dovuto ‘aiutare’ la Grecia, il cui fallimento si temeva avrebbe trascinato con sé altri stati, compresi quelli più ‘forti’. Ma l’economia mondiale richiederà probabilmente nuovi e più macroscopici ‘salvataggi’ per salvare se stessa, a cominciare dall’Africa tutta, il cui sottosviluppo minaccia già oggi di travolgere altre economie. E lo stesso vale per le secche di sottosviluppo in Medio Oriente o in Asia Orientale e, come si è visto, anche nella ‘ricca’ Europa, dove la “composizione simmetrica delle diseguaglianze” sembra incontrare qualche difficoltà, al punto che si è parlato e si parla ancora di un’Europa a due velocità… Di una ‘crescita a due velocità’ si parla anche all’interno di alcuni stati, come l’Italia, dove le istanze separatiste della Lega (ma anche della Sicilia), del tutto indifendibili dal punto di vista storico-culturale, si capiscono benissimo se si pensai ai soldi, cioè agli egoismi economici.
D’altronde, se la rete dei rapporti internazionali è basata quasi unicamente sull’economia, l’ “asimmetria delle diseguaglianze scomposte” non può che regnare sovrana, e allora ci si domanda che fine fa la democrazia o forse quando inizieremo a praticarla. Gli attuali modelli di convivenza neppure prendono in considerazione gli effettivi problemi legati alla diseguaglianza o ne cercano la soluzione entro l’unico supermodello del capitalismo concorrenziale. Ci stiamo accorgendo che questo supermodello non ci salverà dall’estinzione, ma la ricerca ormai quasi disperata di welfare ci rende ciechi di fronte a un futuro non più nostro, e forse neppure dei nostri figli.

giovedì 19 maggio 2011

...siamo tutti un po’ filosofi...


[100] Come è noto, i bruchi non sanno pensare. Perlomeno non possiedono il pensiero riflesso, perché il loro cervello è troppo piccolo per contenere le circonvoluzioni necessarie. Supponiamo però che sia abbastanza grande da contenerne in numero sufficiente. Come penserebbe un bruco capace di pensare e di riflettere sul suo pensiero?

“Ecco, sto pensando che farei bene a continuare questo mio pasto senza fine perché, se non lo continuasse, finirebbe, e questo non ci è concesso fin quando siamo bruchi. Più tardi, chissà, chi vivrà vedrà.
Ma, se volessi smettere? Non posso, e neppure voglio. E allora perché penso che farei bene a continuare? Pensiero inutile perché necessario. Vuol dire che i pensieri necessari sono inutili? Inutili perché necessari o necessari perché inutili?
Noi bruchi siamo tutti un po’ filosofi, e i filosofi –si sa– non si contentano di pensare, ma vogliono pensare di pensare, di pensare… e così via fino a foglia finita. Ma qui la foglia è metafora del pensiero e –anche questo lo si sa– una foglia tira l’altra e nei casi migliori vien fuori un Platone, non a caso patrono di noi bruchi. Talvolta però ci capita anche di pensare a qualcos’altro che ai pensieri. Per esempio un momento fa pensavo che avrei fatto bene a continuare il rosicchiamento di questa foglia, che ormai non ci e rimasta quasi niente [i bruchi non sono notoriamente dei buoni letterati]. Ma, a pensarci bene, che cosa stavo pensando? alla foglia, al rosicchiamento? No, che ‘avrei fatto bene…’; pensavo cioè a un pensiero, cioè siamo da capo a dodici, o meglio a undici, tanti quanti sono i segmenti del nostro corpo, dipende però da come li si conta. Forse la nostra propensione per i pensieri concatenati dipende dal numero di anelli di cui è composto il nostro corpo. Ecco una nuova teoria filosofica che potrebbe spiegare il nostro stile di pensiero. Ci debbo pensare. E mi debbo pure spicciare prima che il pensiero di tutte queste settimane non se ne voli via come farfalla al vento…”

E mentre pensava queste cose, una capinera di passaggio mise fine all’alto volo del novello Platone.

lunedì 16 maggio 2011

Evoluzione


... una mutazione prima, ricordo che le prendevano con i denti ...

giovedì 12 maggio 2011

Paura


[99] Si era mosso da casa di buon ora, come era solito fare in montagna anche per una modesta passeggiata. Così quel giorno, in cui si era proposto di raggiungere un’altura distante non più di un’ora di cammino. Benché la giornata fosse splendida, i villeggianti evidentemente preferivano il tepore del letto ai caldi raggi del sole mattutino. La strada era deserta, solo si udiva il cinguettio degli uccelli e un abbaiar di cani in lontananza. “Proprio come piace a me” –mormorò tra sé e sé, inspirando voluttuosamente la fresca aria ancora primaverile– “e a tutti questi animali.” Vedeva infatti un branco di cinque o sei cani che si erano staccati dalla vetta come per corrergli incontro. La distanza era però considerevole, inoltre non c’era ragione che quei cani ce l’avessero con lui. Non amava i cani, secondo lui troppo asserviti alla specie umana per potersi fregiare di dignità canina, ma neppure li odiava. Gli erano indifferenti, come del resto aveva scarsa simpatia per tutti gli animali che avevano patteggiato la loro indipendenza per un pasto giornaliero assicurato. “Forse a questi gli è scaduto il patto del pasto” pensò abbozzando un sorriso di soddisfazione per il gioco di parole. Frattanto quelli si erano sensibilmente avvicinati e sembravano anche cresciuti di numero e di dimensioni. Erano grossi cani da pastore di razza maremmana, addestrati a proteggere le pecore dai lupi –così al meno gli avevano detto–, ma qui non c’erano né lupi né persone né altro essere vivente eccetto gli uccelli. Vuol dire che ce l’avevano proprio con lui e il loro continuo latrato non prometteva nulla di buono. Recentemente aveva letto di un villeggiante aggredito da due cani… Questi però erano almeno otto o dieci. Che fare? Tornare indietro non poteva, avrebbe dovuto correre, ma quelli erano certo più veloci di lui. Ripari non ne vedeva, e poi, a che sarebbero serviti. Fu preso dal panico e si mise a correre scompostamente, proprio incontro ai cani. Inciampò e cadde. Alcuni non riuscirono ad evitarlo e lo urtarono e, sempre abbaiando, lo scavalcarono. In un paio di secondi lo avevano sorpassato e li vide saltare festosi intorno a una bambina che stava salendo, non vista, dietro di lui.

mercoledì 11 maggio 2011

Riflessioni conclusive


[98] Che vuol dire essere genitore, padre? È una proprietà che ci è connaturata o che si acquista? È permanente o temporanea? Dipende dalla natura o dallo stato civile? È la stessa o analoga alla proprietà di essere madre? È la stessa o analoga nei confronti di un figlio o di una figlia? Si risolve tutta nell’affettività? La razionalità vi ha una parte? Si dice che accresce il nostro ‘senso di responsabilità’: che vuol dire? E si la scuola risultasse inadeguata o non corrispondente alle nostre aspettative cambieremmo queste aspettative o cercheremmo un’altra scuola? Pensiamo di avere il diritto e la capacità di decidere che cosa è meglio per i nostri figli? Se non fossimo sicuri di questo, ci rivolgeremmo a un aiuto esterno? Per chi: per noi o per loro? La società ci propone dei modelli: come ci orientiamo tra le varie proposte? Ne sceglieremo uno per seguirlo pedissequamente? Faremo del tutto di testa nostra? Se i figli volessero fare di testa loro, ci opporremmo o li appoggeremmo o ci limiteremmo a elargire consigli? La famiglia spesso considerata anche come depositaria di venerabili tradizioni: indurremo i figli a seguirle? E se quelli le rifiutassero, accetteremmo il loro rifiuto? Che vuol dire un’educazione liberale? Che ognuno fa quel che li pare o che dovrà seguire regole comuni? Anche se non le condivide? Se per esempio un giovane sviluppasse idee –politiche, religiose, civili, morali– non conformi a quelle dei genitori, come pensate che questi si debbano comportare? Che vuol dire discutere? Chiudersi nel cerchio delle proprie opinioni o renderle disponibili al confronto con quelli degli altri? Che succede quando le ‘opinioni’ si trasformano in ‘ragioni’ e queste in ‘articoli di fede’? Le ragioni del ‘competente’ godono del principio di autorità anche fuori del loro contesto specifico? L’autorità è una componente essenziale delle relazioni sociali? Posto che una società voglia farne a meno, con che cosa le sostituirà? E se volesse rinunciare anche al concetto di ‘verità’ ritenete possibile un processo formativo che non si appoggi ad esso? Che si contenti, tanto per dire, del concetto di ‘ipotesi’?
Questi sono alcuni degli interrogativi che mi avete posto tu, Thomas e molti bambini, ragazzi ed ora adulti con cui avuto la fortuna di incontrarmi. Ora ve li passo, questi interrogativi, quasi come li ho ricevuti.

Fine della settimana di Th.S.

martedì 10 maggio 2011

Thomas. Viaggi


[97] Degli anni della prima giovinezza so molto poco, sostanzialmente ciò che voleva che io sapessi. Durante la sua infanzia eravamo stati buoni compagni di lettura e di giochi. In seguito abbiamo riservato, di comune accordo, due o tre settimane estive ai viaggi per l’Europa dedicati in parte alla conoscenza (Bildungsreisen nel puro stile ‘romantico’), in parte ancora maggiore alla cattura di coleotteri, cui anche Thomas, seppure moderatamente, era interessato.
Ricordo in particolare il giro delle catedrali gotiche francesi, Amsterdam, Delft e i Paesi Bassi in genere, il Montenegro, i coleotteri della Camargue e dei Pirinei, quelli della Slovenia e da ultimo quelli della Sila e dell’Aspromonte. Frattanto non ero più io a trasportare lui, ma lui a trasportare me per le strade di Europa…
Siamo sempre stati ottimi compagni di viaggio: mai un disaccordo, mai un’insofferenza né quando era ancora quasi un bambino, né in seguito, lui trentenne e io ormai vecchio e debilitato. Sono mai stato per lui un vero padre? un vero amico?
Forse né l’uno né l’altro. So solo che con lui sono stato bene, mi sono divertito e ho capito cose della vita che prima di lui mi erano rimaste sconosciute.

lunedì 9 maggio 2011

Aardvarkino mio del cuore...


Così impossibilmente brutto da diventare strepitosamente bello, nato pochi giorni fa...

Thoma. Arte e letteratura


A Deaf Piano, di Markus Gradwohl

[96] Ho già detto degli inizi con Mahler e Mozart, in un certo senso inizio e fine (o meglio il contrario) del periodo ‘classico’ della musica europea. Per alcuni anni i nostri ascolti sono continuati, da un certo punto in poi accompagnati dallo studio del pianoforte e dell’improvvisazione ‘informale’. Poi ci fu il rifiuto, improvviso e totale, della musica. A stento sono riuscito a nascondergli il mio disappunto, ma credo di esserci riuscito. Appena un poco consolidata la conoscenza del tedesco (ero il unico a parlarglielo, ma pressoché esclusivamente) ho preso a leggergli tutti i giorni poesie e racconti da Goethe a Kafka, da Eichendorff a Thomas Mann. Ci davo giù pesante senza riguardo per la giovanissima età dell’ascoltatore, che dal canto suo sembrava accettare di buon grado questa quotidiana iniezione di alta letteratura per lui probabilmente incomprensibile.
Intorno ai dieci anni cominciò a osservare, poi a imitare l’attività grafico-pittorica della madre, ma con risultati assai diversi, che si sarebbero detti ‘promettenti’. Poi la scuola e le priorità della crescita e della cultura locale cancellarono tutto.

domenica 8 maggio 2011

Thom.


[95] Ormai di cose ne aveva capito molte, ma più andava avanti, più gliene restavano da capire. Parlava tre lingue con una certa disinvoltura e aveva anche assimilato i relativi modi di pensiero, al punto che riusciva a esprimere in italiano una mentalità tedesca o in tedesco una mentalità slava. Ma non si sentiva perfettamente di casa in nessuna delle tre lingue. Non per nulla sceglierà più tardi Berlino come resistenza stabile, città multiculturale, multietnica, poliglotta.
Ma per ora viveva ancora, da scolaro delle medie, nel piccolo paese dove aveva trascorso la prima infanzia con i genitori, croata di formazione social-comunista la madre, borghese italo-tedesco il padre, ambedue musicisti ‘classici’ di professione. È ben comprensibile che con una così indistinta identità culturale il ragazzo non si riconoscesse pienamente in nessuna delle culture in cui stava vivendo la sua fase formativa. Inoltre ciò che in famiglia era considerato un ‘valore’ non lo era per nulla tra i suoi compagni, il ché rendeva difficile una completa integrazione, anche di una personalità aperta e disponibile come quella del futuro berlinese di adozione.

sabato 7 maggio 2011

Tho.



[94] Poi, lentamente, cominciò a distinguere. Ma ecco una nuova difficoltà: i suoni che ‘parlavano’ non erano di un tipo solo ma di due, se non tre. Aveva cominciato a capire a che cosa servivano: servivano infatti a sostituire gli oggetti che si vedevano o si toccavano. Ma come li sostituivano? Non con altri oggetti che si vedevano o toccavano ma con delle sensazioni che si provavano con le orecchie, solo che le sensazioni non erano sempre le stesse. Più tardi avrebbe capito che appartenevano a tre ‘lingue’ diverse: italiano, tedesco, croato. Per ora era solo un gran pasticcio. Ma lui non si chiedeva perché le cose fossero così difficili. Gli animali –aveva cominciato a distinguerli dagli esseri umani– parlavano anche loro, ma in modo più semplice, almeno così sembrava. E anche le cose parlavano, ma solo se le si toccava. Alcune ripetevano sempre gli stessi suoni, altri ne avevano a disposizione parecchi, altri infine producevano insieme suoni e immagini. Il mondo era terribilmente complicato e ci sarebbero voluti anni per capirci qualcosa.

venerdì 6 maggio 2011

Th.



[93] L’aria era piena di suoni. Non era chiaro da dove venissero né chi li producesse. Ma l’idea che, visto che c’erano, doveva esserci anche qualcuno che li producesse, quest’idea non l’aveva ancora. Né poteva avercela, anche se gli occhi gli si muovevano come per cercare l’origine –se non la causa– di quella sensazione di benessere che talora, anzi spesso, lo invadeva.
Erano i suoni della Seconda Sinfonia di Mahler, II tempo, che effettivamente sembravano occupare lo spazio un poco alla volta fino a riempirlo tutto. Suoni dolci, nostalgici che gli insegnavano il ricordo prima ancora della conoscenza, e lui li amava senza sapere di che parlassero…
Poi c’erano il “Nein, nein” di tre dame volanti –ma lui non sapeva che volassero– e il ragazzo piumato –ma lui non vedeva né il ragazzo né le penne– che cantava: “Der Vogelfänger bin ich ja”. Per lui, Th., la musica parlava tedesco, con o senza parole, anche se non distingueva ancora chiaramente i suoni che parlavano da quelli che semplicemente risuonavano.

giovedì 5 maggio 2011

T.


[92] Lo caricammo sulla macchina con somma attenzione, quasi pezzo prezioso e fragile di una collezione Venini, e un’ora dopo lo depositammo nell’abitazione che già da nove mesi era sua, ma lui non lo sapeva, e, se anche lo avesse saputo, non gli sarebbe importato niente, giacché non aveva sviluppato ancora il senso di proprietà e persino il piede che vedeva agitarsi davanti ai suoi occhi –neppure lo vedeva– era certo di qualcun altro, che suo non poteva essere, altrimenti non si sarebbe agitato a quel modo, senza scopo e senza controllo come tutto ciò che gli si muoveva intorno, forme indecifrabili, adirezionate, entro uno spazio che condividevano con altre forme, anch’esse insensate e in frenetico movimento, e il tutto non era affatto chiaro se lo riguardasse oppure no, tanto che lui provò a strillare con quanto fiato aveva in gola…

mercoledì 4 maggio 2011

Rompendo... i palloni

martedì 3 maggio 2011

"Questa mi è riuscita bene"


[91] Ho tolto i precedenti tre postini sulla riflessione da un mio studio di qualche anno fa (La funzione formativa nell’era della globalità, 2006). Mi capita ogni tanto di rileggere e riconsiderare cose scritte in altri momenti e, seppure di rado, di commentare come il buon Dio il settimo giorno della creazione: “Questa mi è riuscita bene.” (Poi si è visto che sbagliava). Non nego che mi piacerebbe che anche altri leggessero e commentassero. Questi postini per esempio dovrebbero servire a sollecitare la curiosità dei lettori per lavori più consistenti e l’interesse delle case editrici per occuparsene.
Questo non tanto per vanità d’autore o per speranza di ritorno economico (è un po’ tardi per pensarci) ma perché sono effettivamente convinto che una diffusa meditazione su questi temi accrescerebbe le nostre probabilità di sopravvivenza in condizioni accettabili per tutti.

lunedì 2 maggio 2011

La riflessione metaculturale


[90]
Per riflessione metaculturale intendo il motore interno alla cultura (a tutte le culture) che le permette di adeguare i suoi modelli ai nuovi campi osservativi, in altre parole che le permetti di trasformarsi. Laddove possiamo immaginare la riflessione culturale come svolgentesi su un piano –quello dell’UCL momentaneo– la riflessione metaculturale riguarda una direzione perpendicolare a quel piano, facendoci rendere conto e delle premesse culturali che hanno portato all’UCL in cui ci troviamo e delle conseguenze che dobbiamo aspettarci se ci attardiamo in esso. Come un organismo umano possiede tutte le vitamine che gli servono per crescere e mantenersi, ma non sempre in maniera sufficiente, tanto che le si integra con apporti esterni, così la componente meta è connaturata alla cultura, ma oggi in quantità non più sufficiente a farle tenere il passo con i tempi accelerati del progresso tecnico e informatico. Occorre quindi non solo incrementare questa funzione meta, ma renderla del tutto consapevole all’individuo come alla collettività.

domenica 1 maggio 2011

La riflessione culturale


[89] Come vengono definiti i contesti virtuali in cui inseriamo l’oggetto delle riflessioni?
In genere ce li costruisce la cultura e il nostro lavoro consiste nel trarre le conseguenze di questo inserimento. A seconda dei contesti offertici dalla cultura variano le conseguenze e dal loro confronto “capisco meglio”. Il crollo di un palazzo come conseguenza di un urto o di un incendio viene inserito in una catena di causa-effetto su modello fisico newtoniano: supponiamo che le conseguenze calcolate non coincidano con quelle osservate e non consentano un’adeguata comprensione del crollo. Attraverso la riflessione lo inseriamo in un’altra catena causale con altri presupposti da quelli dell’urto e dell’incendio, poi, se serve, in altre ancora. Il confronto tra i vari risultati ci farà meglio comprendere l’accaduto. In questo caso i contesti virtuali ci vengono forniti dalle nostre conoscenze in campo fisico e queste rispondono ai modelli culturali che ce le hanno prodotte, qui la meccanica newtoniana, eventualmente ‘corretta’ dalla termodinamica.