mercoledì 18 ottobre 2017

Tratta XLV Farfalle – Papilionidi – XLV.3 – Un Parnassius apollo


A quattro chilometri a nord di Cortina d’Ampezzo il torrente Boite forma una piccola piana alluvionale circondata da monti relativamente alti in località Fiames. Anzi, secondo la leggenda si sarebbe combattuta in tempi lontani una furibonda battaglia tra i Fanes, bellicosa tribù guidata dalla principessa Dolasilla [1], è un’alleanza di altre tribù dolomitiche. La battaglia aveva visto la sconfitta dei Fanes e la morte di Dolasilla avenuta con il concorso di fonte magiche.
Oggi di questa magia restano solo la bellezza del luogo e le macchie rosso sangue dei Parnassius apollo, volteggianti tra i fiori della piana. Avrò avuto dodici anni quando vidi per la prima volta questo splendido papilionide, diffuso nelle catene montuose di tutta Europa e oltre a un’altezza tra gli 800 e i 1.600 metri. Più in alto è sostituto, sulle Alpi, dal congenere Parnassius phoebus, poco più piccolo ma altrettanto vistoso. Una terza specie, il Parnassius mnemosyne, si trova, non rara, anche sugli Appenini: è priva delle macchie rosse e a prima vista può essere scambiata per la Pieride del biancospino (Aporia crataegi) dalle ali biancastre, soffuse di nero. Mi è capitato più volte di vederla sul Terminillo a pochi chilometri da casa.
Anche il bruco di tutte e tre le specie è notevole per il colore nero vellutato e una serie laterale di macchie rosse (giallastre nel Parnassius mnemosyne).
Una particolarità del genere Parnassius è lo sphragis, singolare struttura con cui il maschio sugella, dopo l’accoppiamento, l’orificio genitale della femmina all’evidente scopo di assicurarsi la paternità dei nascituri. Noi uomini, non potendo disporre dello sphragis, ci siamo arrangiati per qualche tempo con la ‘cintura di castità’, poi sostituita da catenacci legali, meno ingombranti, o morali, penosi per l’anima, molto meno per il corpo.
I Parnassius, privi come sono di anima, sono rimasti alla ‘cintura di castità’, lo sphragis, di cui però le femmine non si sono mai lamentate. 



[1]           CBP-IIa:8, Dolasilla. Eine Dolomitenlegende. Per soli (soprano, tenore, baritono), coro (soprani, alti, tenori, bassi), voce recitante, due flauti, due oboi, due fagotti, tre trombe, percussioni (due esecutori), archi, e organo. 16.VI.07. Testo liberamente tratto dalla tradizione popolare dei Fanes (in Dolomiten Sagen di Karl Felix Wolf, Tyrolia Verlag 1981).

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