mercoledì 30 aprile 2014

Tratta IX.5 – Le mani avanti


[Mi si rimprovererà certamente, in relazione a quanto appena detto, di aver giocato in casa, pertanto in situazione protetta. Credo però che questo sia normale ogni qualvolta si vuole difendere una posizione. Ed è ovvio che, qui come altrove, il mio progetto è di difendere IMC. Sono anche ben disposto verso chiunque la voglia confutare. Solo che non credo sia probabile che qualcuno voglia farlo: Ciò può significare due cose:
1)             che IMC è inoppugnabile,
2)             che non metta conto neppure provarci.
A voi la scelta!]

[Dialogante 2]  Quanto alla tratta tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa, sono d’accordo nel ritenerla di difficile attuazione. In un certo senso la vicinanza della democrazia partecipativa al comunismo è maggiore di quella tra le due forme di democrazia, il ché contrasta più che favorisce la costruzione di un ponte tra le due.
[Dialogante 1]  Del resto i ponti sono tanto più necessari quanto più profondi sono i baratri su cui vengono gettati.
[Dialogante 2]  Ne concludi che è di maggior importanza un ponte costruito tra un regime socialista e una democrazia di tipo occidentale che uno tra due regimi similari?
[Dialogante 1]  Non pare di ‘importanza’. Tutte le tratte sono importanti. Parlo delle difficoltà di attuazione. E queste mi sembrano oggi minori che quando c’è di mezzo la concorrenza intraspecifica.
[Dialogante 2]  Un tempo forse non era così, e il simile preferiva accordarsi con il simile anziché rischiare l’incognita dell’estraneità.
[Dialogante 1]  Oggi il diverso fa certo meno paura, mentre cominciamo a intravedere i pericoli che si nascondono dietro l’affinità.
[Dialogante 2]  Forse per questo abbiamo messo le mani avanti con l’Unione Europea.

martedì 29 aprile 2014

Tratta IX.4 – 'Tutti d'accordo'

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Einmütigkeit (1911-1913), del pittore svizzero Ferdinand Hodler (1853-1918), nel Comune di Hannover

[Dialogante 1]  Inoltre va detto che l’unanimità dei consensi è più facilmente ottenibile da un regime totalitario che da uno democratico e, quasi per assurdo, più da una democrazia partecipativa che da una rappresentativa. È più facile infatti trascinare un intero popolo che non una minoranza divisa da interessi particolari.
[Dialogante 2]  E l’unanimità è un fatto positivo solo in determinati casi, quando si tratta per esempio di liberarsi da una dittatura che pretende di sostituirsi (e spesso ci riesce) alla molteplicità del pensiero individuale. Normalmente è proprio la molteplicità diversificata la migliore garanzia di sopravvivenza.
[Dialogante 1]  Stiamo dicendo che il ‘tutti d’accordo’ è una condizione sociale pericolosa, non auspicabile; meglio un certo quantitativo di discordia…
[Dialogante 2]  … a patto che la si sappia amministrare praticamente.
[Dialogante 1]  Il problema ‘politico’ sta proprio in questo: nel costruire una società capace di ammettere la diversità…
[Dialogante 2]  … direi di più, di basarsi sulla diversità.
[Dialogante 1]  Ma per arrivare a questo, è indispensabile conservare la diversità, rifuggendo dall’omologazione, forse perfino dell’integrazione…
[Dialogante 2]  … a meno di non riuscire a un modello di società che coniughi diversità e convivenza pacifica, cosa da cui siamo ancora molto lontani.
[Dialogante 1]  Forse bisognerà andare ancora più a fondo nella comprensione della diversità, della pluralità, della globalità…
[Dialogante 2]  … e forse anche della psicologia e della cultura…
[Dialogante 1]  … ma soprattutto di tutto questo e altro in prospettiva meta, capace cioè di riflettere ricorsivamente su se stessa.
[Dialogante 2]  Alludi a IMC?
[Dialogante 1]  Non alludo, sono convinto che ogni analisi priva di un certo grado di riflessività meta culturale sia oggi inutilizzabile sia sul piano conoscitivo sia su quello operativo.
[Dialogante 2]  E tu, hai analizzato meta culturalmente questa tua affermazione?
[Dialogante 1]  Penso di averlo fatto fin dalla prima formulazione di IMC, comunque la catabasi metaculturale non ha fine se non con la pratica dell’arresto, vorrei avvenisse a questo punto.*

* Per tutta questa argomentazione vedere L'Ipotesi Metaculturale, nell'omonimo Volume III delle Indagini metaculturali.

lunedì 28 aprile 2014

Tratta IX.3 – Asimmetria politica



[Dialogante 1]  Sarà vero che stiamo costruendo una tratta tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa? La cosa non sarebbe del tutto nuova: si conoscono i consigli di fabbrica, i consigli condominiali, i consigli di classe, d’istituto e di plesso nella scuola, consigli comunali, provinciali, regionali nell’amministrazione pubblica e così via; per quanto numerose le persone chiamate a decidere ai vari livelli organizzativi della società, il numero di coloro che subiscono le decisioni senza parteciparvi è incomparabilmente maggiore.
[Dialogante 2]  È proprio per avvicinare questi numeri che sono stati inventati i partiti e le elezioni, dandoci l’illusione di un potere diffuso, effettivamente partecipato.
[Dialogante 1]  Se è per questo, ci sono anche i referendum, per lo più solo abrogativi, che ti chiedono di dire se una certa cosa non la vuoi, mai però cosa vorresti invece di quella.
[Dialogante 2]  Il ‘no’ è politicamente asimmetrico rispetto al ‘sì’, ma è anche meno responsabile perché si limita a cancellare il problema, mentre il sì obbliga ad accettare integralmente l’offerta comprese le parti eventualmente indesiderate.
[Dialogante 1]  E, dato il significato per lo più abrogativo dei sì, ti costringe a dire ‘no’ quando vorresti dire ‘sì’ e viceversa.
[Dialogante 2]  Chiarissimo! Si capisce perché molto spesso i referendum così posti non raggiungono il quorum, e anche se lo raggiungono, non c’è da stare sicuri della sua veridicità.
[Dialogante 1]  Che ne deduci? Che la democrazia partecipativa è irrealizzabile?
[Dialogante 2]  No, solo che i referendum non le appartengono, non per lo meno se servono solo a ‘correggere’ la democrazia rappresentativa.

venerdì 25 aprile 2014

Tratta IX.2 – Circolarità del tempo?

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[Ho chiuso anche la precedente tratta con un richiamo alle avventure filosofiche di anni lontani. Che sia una conferma della circolarità del tempo?]

[Dialogante 1]  Ti propongo di lasciare perdere le nostalgie filosofiche e di rivolgerci decisamente al tema che abbiamo metaforicamente chiamato tratta ‘ponti’ forse anche con qualche riferimento in più all’attualità.
[Dialogante 2]  Non puoi dire però che la nostra attività di Centro Metaculturale non sia sta rivolta prevalentemente all’oggi culturale e politico, per quanto non nelle abituali forme polemiche e partitiche…
[Dialogante 1]  … forme che –è inutile negarlo– ci sono state fin da principio estranee, perfino fastidi are quando compaiono, esasperate, nei dibattiti televisivi e hanno l’unico scopo di contrastare l’avversario, anche quando dice che 1+1=2.
[Dialogante 2]  Ma non sono solo le forme che ci impediscono di partecipare alla vita politica come la vediamo quotidianamente rappresentata dai mass media
[Dialogante 1]  … è soprattutto il livello analitico del discorso che ipocriticamente si mantiene al di sotto di quello che la situazione richiederebbe.
[Dialogante 2]  O al di sopra se si considerano quelle più basi come fondanti.
[Dialogante 1]  Chiariamoci meglio con qualche esempio: senza crescita economica i paesi vengono dati per spacciati.
[Dialogante 2]  O meglio, lo sono senz’altro, almeno in un mondo basato esclusivamente sull’economia…
[Dialogante 1]  … mentre sappiamo benissimo che la crescita economica ad oltranza non può che portare al fallimento dell’umanità.
[Dialogante 2]  E allora perché?
[Dialogante 1]  Perché nessuno è disposto a rinunciare per primo al welfare. Se sarà costretto, come già oggi molti lo sono, almeno che non sia il solo! “Mal comune, mezzo gaudio.
[Dialogante 2]  Secondo te, il livello fondante della società è, come per Marx, quello economico?
[Dialogante 1]  Non conosco abbastanza Marx, non credo però che lui si riferisse all’utopia di una società comunista, ma alla realtà borghese che vedeva crescergli intorno. Non per nulla il suo modello di società era ben diverso.
[Dialogante 2]  Bel modello! L’abbiamo visto dissolversi come neve al sole.
[Dialogante 1]  Bella metafora! Soprattutto originale!
[Dialogante 2]  Adesso non mettiamoci a litigare tra di noi!
[Dialogante 1]  Quando si parla di politica, lì si va a finire!
[Dialogante 2]  Colpa del modello dialettico e di Hegel?
[Dialogante 1]  Lo so che vuoi provocarmi per vedermi cadere nella stessa trappola, ma dalla storia che non insegna mai nulla, almeno questo avremmo dovuto imparare: che dopo i quarant’anni l’ingenuità è una colpa.
 [Dialogante 2]  Vuoi dire che dobbiamo pensare con la testa nostra e non con quella di un altro, fosse pure di Marx o di Hegel.
[Dialogante 1]  Giusto, ma a scuola ci hanno insegnato a pensare sempre pensieri già pensati da altro…
[Dialogante 2]  … e la chiamano ‘cultura’…
[Dialogante 1]  … mentre i pensieri nostri, in quanto ‘uomini della strada’ valgono tutt’al più l’anonimato di un voto.
[Dialogante 2]  Oggi però le cose stanno cambiano (siamo nel giugno 2011); si parla con insistenza di ‘democrazia partecipativa’.
[Dialogante 1]  Mancano però ancora le strutture. È vero che le opportunità offerte da internet e dai mass media in genere rendono oggi realizzabili con relativa facilità scambi comunicazionali fino a ieri impensabili.
[Dialogante 2]  Se non fosse che di questa nuova opportunità la gente, e soprattutto i giovani approfittano solo per alimentare la parte più superficiale del discorso comune.
[Dialogante 1]  Che intendi per ‘la gente’ e ‘la parte più superficiale’ del discorso comune? Non ti sembra di essere anche tu vittima di un classismo elitario vecchia maniera?
[Dialogante 2]  Non voglio né posso contraddirti. Sono però, anzi siamo, tra coloro che s’ingegnano a fare della democrazia partecipativa un’ipotesi realistica.

giovedì 24 aprile 2014

Potenza

Tratta IX.1 – Discussione tra liceali



[Data l’impostazione parzialmente autobiografica di queste annotazioni, mi trovo quasi costretto a inserire la seguenti parentesi.
Ieri pomeriggio, facendo seguito a una decisione dell’équipe fisioterapica che ce la sta mettendo tutta per tirarmi fuori dal torpore –quasi paralisi– che mi ha colpito alle gambe, ho cambiato l’abituale palestra con una più grande, provvista di cuscini anticaduta che avrebbero dovuto rassicurarmi nei movimenti. Io invece ho piantato la classica grana rifiutandomi a tutto ciò che mi veniva proposto: un rifiuto certo mentale, che però si è espresso con un irrigidimento di tutto il corpo impedendomi di camminare e, quasi, di muovermi. Ho chiesto di tornare a casa, ma tutti i presenti, salvo Paola, hanno cercato di convincermi dell’assurdità di questa richiesta, per loro immotivata. Per me invece si trattava di riconquistare la mia libertà decisionale, sostituita –ormai da alcuni mesi– da una decisionalità esterna.]

[Dialogante 1]  Mi chiedo chi o che cosa dovrebbe limitare la complessità della comunicazione umana. Penso che ogni atto di comunicazione, nella sua infinita complessità, è in grado di limitare l’infinita complessità di un altro.
[Dialogante 2]  Scusa, ma questa volta non ti capisco: due infiniti che si limitano a vicenda?
[Dialogante 1]  E chi potrebbe farlo sennò? Un’entità finita non può limitare una infinita.
[Dialogante 2]  Se non sbaglio, stai riproponendo con altre parole Def. 3 di IMC*, alius, l’onnipotenza dell’intelletto umano, capace di neutralizzare l’infinito…
[Dialogante 1]  … attraverso un altro infinito. Tutto questo mi ricorda le –queste sì infinite– discussioni tra liceali (o anche tra adulti nullafacenti), come tante volte descritte nei romanzi di Thomas Mann…
[Dialogante 2]  … già, l’intramontabile umore della nostra giovinezza.

* Def. 3 di IMC: “Data una proposizione p qualsiasi, esiste un universo culturale locale UCLp dove è vera.”

NdR: l' "ieri pomeriggio" cui Boris si riferisce corrisponde alla primavera 2011 – momento di stesura di questa Tratta.

lunedì 21 aprile 2014

Tratta VIII.6 – Una costruzione complessa…



[Dialogante 1]  Una costruzione complessa…
[Dialogante 2]  … forse anche molto di più che non appaia da queste poche parole. Quelli infatti che abbiamo chiamati ‘linguaggi’ sono essi stessi strutture pluristratificate ulteriormente scomponibili probabilmente senza un termine ultime come lo è la realtà e lo sono tutte le sue immagini, siano o no linguistiche.
[Dialogante 1]  Ecco, mi sembra che qualcosa di non del tutto ovvia siamo riusciti finalmente a dirla.
[Dialogante 2]  E sarebbe?
[Dialogante 1]  Che la comunicazione non si contenta di un solo linguaggio, ma ne accorpa parecchi in una sola espressione.
[Dialogante 2]  A dire il vero, è una cosa che abbiamo costatato in un caso solo, quello della IX Sinfonia di Beethoven e nessuno ci autorizza a generalizzare.
[Dialogante 1]  l’istinto ci dice che considerazioni del genere le faremmo per qualsiasi musica, addirittura per qualsiasi espressione non necessariamente artistica.
[Dialogante 2]  Siamo nuovamente prossimi all’ovvietà: essendo noi esseri complessi e tali restando pure nelle nostre esigenze comunicative, è naturale che anche i prodotti che soddisfano questa esigenza abbiano lo stesso grado di complessità.
[Dialogante 1]  Ma chi ti dice che noi e i nostri prodotti comunicazionali siamo di complessità infinita?
[Dialogante 2]  Non potrebbe essere diversamente: perché, chi dovrebbe porre un limite alla loro complessità?

domenica 20 aprile 2014

Tratta VIII.5 – Irripetibile


VIII.5

[Dialogante 1]  Nel numero precedente, in mancanza di argomenti più attinenti il tema, ci siamo lasciati andare –o meglio, il nostro estensore lo ha fatto– a insulse considerazioni stilistiche sulla ‘metafora’ [a riprova di quanto detto nella parentesi quadra di apertura].
[Dialogante 2]  Penso che faremmo bene a trovare di meglio.
[Dialogante 1]  Trovare non saprei; cercare si può sempre.
[Dialogante 2]  È una proprietà del linguaggio verbale quella di aprire contemporaneamente più catene di significati…
[Dialogante 1]  … relativi a UCL* anche lontani l’uno dall’altro…
[Dialogante 2]    suggerendo analogia di struttura su cui gli uomini si interrogano da secoli…
[Dialogante 1]  … quasi che non fossero stati loro a costruirle…
[Dialogante 2]  … come, appunto, si costruiscono i ponti.
[Dialogante 1]  In altre parole i linguaggi, attraverso la metafora, ci permettono di passare da un UCL all’altro per via analogica.
[Dialogante 2]  Non tutti i linguaggi. Per esempio quello musicale non può farlo, per il debole rapporto che intrattiene con la significanza.
[Dialogante 1]  Debole, forse, non nullo. Anche in musica, come nella IX Sinfonia di Beethoven, un ritmo di marcia può costituirsi a metafora della liberazione dell’uomo dalle catene dell’ancien régime.
[Dialogante 2]  … sì ma attraverso la mediazione della parola di Schiller.
[Dialogante 1]  Credo però che anche senza quella parola il messaggio di liberazione sarebbe passato lo stesso, veicolato dal sentimento suscitato dal linguaggio musicale.
[Dialogante 2]  … sentimento, però, generico, che solo le note beethoveniane hanno precisato storicamente…
[Dialogante 1]  … per forza: erano note che non potevano essere state scritte in un altro periodo  storico.
[Dialogante 2]  Quindi il significato di quel linguaggio …anzi di quella singola espressione– può esser considerato come l’unica e irripetibile convergenza di due linguaggi, verbale l’uno, musicale l’altro, più il linguaggio ‘fattico’ della storia e quello sentimentale sovrimpresso dall’uomo.

* UCL : universo culturale locale.



giovedì 17 aprile 2014

Tratta VIII.4 – Significatività 'metaforica'



[D’abitudine non rileggo ciò che ho appena scritto. Se mi capita è quando non lo ricordo o sono molto incerto sul suo contenuto. È il caso di ieri, ed effettivamente ho riscontrato un pensiero confuso, adirezionale. Provo sempre maggior difficoltà a controllare la mia scrittura, sia nella manualità (eccessiva piccolezza), sia nel pensiero che dovrebbe comunicare. Forse la cosa potrebbe essere ancora corretta in corso d’opera (tra poco credo che sarà impossibile), ma, mi domando, a quale scopo? Penso che ciò che avevo da dire l’ho detto e ridetto molte volte. Se qualcosa di non detto è rimasto, è proprio la mia crescente incapacità di ragionare coerentemente e con precisione. È un’esperienza negativa che tuttavia merita di essere fatta nella maggior consapevolezza possibile e forse anche di essere documentata nel suo farsi. Questo perché è tra le ultime nostre esperienze e vale la pena affrontarla con cognizione di causa.]

[Dialogante 2]  Ti confesso che la parola ‘ponte’* non mi piace perché molto usurata nei contesti metaforici e per ciò stesso, poco significativa.
[Dialogante 1]  La significatività ‘metaforica’ di una parola dipende infatti da più fattori non necessariamente in sintonia:
  la parola deve essere di uso normale fuori di metafora;
  l’immagine evocata dal suo uso normale deve accordarsi intuitivamente con quello metaforico
  l’uso metaforico deve essere abbastanza estraniato da quello consueto da stimolare ancora la reattività linguistica del destinatario;
  è bene tuttavia che questa estraneità non superi una certa soglia per non disturbare il destinatario dal significato intenzionato.
[Dialogante 2]  Nel nostro caso la parola ‘ponte’ risponde anche troppo bene a questi requisiti. tanto da infastidire per la sua banalità.

* In origine queste tratte si chiamavano ponti e l’indecisione su quale fosse il termine adatto è durata parecchi mesi.

mercoledì 16 aprile 2014

Tratta VIII.3 - Fugace contatto



[Dialogante 1]  Anche se le tratte materiali non sono una prova di intenzioni pacifiche, quelle simboliche vale la pena di costruirle tra culture, stili di pensiero, abitudini diverse. Oltretutto si arricchiscono così i quadri mentali di ambo le parti.
[Dialogante 2]  Nessuno ci perde, ognuno ci guadagna, eppure è opinione diffusa che il contatto con la diversità offuschi l’immagine della propria identità…
[Dialogante 1]  … che deve essere assai debole se basta il fugace contatto con l’altro da se per metterla in crisi.
[Dialogante 2]  Secondo te, quindi, non è l’altro in quanto tale ad attentare alla nostra stabilità, anzi è questa ad avere bisogno di lui per rafforzare se stessa.
[Dialogante 1]  Comunque non basta una tratta a consolidare il terreno.
[Dialogante 2]  Stiamo parlando di tratte simboliche, e queste possono dimostrarsi assai più solide di quelli di cemento.
[Dialogante 1]  Infatti un solo modello mentale basta per produrre un numero qualsiasi di esempi reali.
[Dialogante 2]  Vuoi dire che il mentale è incomparabilmente più potente del reale?
[Dialogante 1]  Come se il mentale non fosse altrettanto reale, e forse più, del reale stesso!
[Dialogante 2]  Per non parlare delle tratte simboliche (di cui  invece stiamo parlando), la cui realtà è in nostro potere estendere mentalmente a qualsiasi oggetto.
[Dialogante 1]  Quel che voglio dire è che il concetto di tratta può, se opportunamente riflesso, farsi centrale del pensiero meta culturale, tanto quanto i concetti affini di ‘convergenza’ e ‘trasferibilità’[1].
[Dialogante 2]  Su questo punto tuttavia le riflessioni sin qui condotte non sono sufficienti…
[Dialogante 1]  … e conviene che ci torniamo ma con maggiore attenzione[2].


[1]             Vedi [23] Convergenza e trasferibilità, di Rigoberto Van der Mispel, nelle Indagini metaculturali.
[2]             Vedi oltre.