sabato 5 dicembre 2015

Tratta XXXIV.6. – De senectute – Solo per assicurarsi della sua commestibilità


Mentre il confine che separa la vecchiaia dal ‘prima’ è molto sfumato (quando ha inizio la vecchiaia?), quello che la separa dal poi è nettissimo (ma non è determinabile a priori). In altre parole sappiamo che la morte verrà e che sarà tutt’altra cosa dalla vita, ma non sappiamo quando. La domanda è la stessa che per l’inizio della vecchiaia, ma le risposte sono di tipo radicalmente diverso: il ‘quando’ dell’inizio è per così dire ‘spalmato’ su un lasso di tempo più o meno lungo, il ‘quando’ della fine è puntiforme, anche se l’istante del suo verificarsi è probabilisticamente spalmato nel tempo. La differenza dipende dal linguaggio: una stessa struttura logico-grammaticale applicata a due concetti inconfondibili – vecchiaia, morte – non è da meravigliarsi se genera significati diversi.
[Dialogante 2]  Perché dici che vecchiaia e morte sono inconfrontabili? Non solo confinanti, la seconda è preceduta da innumerevoli ‘morti parziali’
[Dialogante 1]  Ma a noi interessa solo la morte della consapevolezza…
[Dialogante 2]  che tuttavia non è riconosciuta come ‘morte dell’individuo’, ne dalla nostra religione ne dalla legge e forse neppure dalla medicina.
[Dialogante 1]  Secondo te, quindi, l’essere vivi o morti dipende da quel che dicono gli altri.
[Dialogante 2]  Sì, ma in senso formale, non sostanziale. Cioè si può essere formalmente morti ma sostanzialmente vivi…
[Dialogante 1]  … o viceversa. L’apporto umano non è per forza di cose chiarificatore…
[Dialogante 2]  … direi che non lo è mai. Gli animali non hanno questo genere di dubbi. Eppure li vediamo spesso esitanti se mangiare o non mangiare una certa cosa…
[Dialogante 1]  … ma non per un dubbio concettuale, solo per assicurarsi della sua commestibilità. È non è un dubbio concettuale anche questo? Possono i dubbi non essere concettuali?
[Dialogante 2]  Una formica che ‘assaggia’ una sostanza prima di portarla al nido non lo fa per farsene un ‘concetto’, ma per confrontarne la struttura chimica con quella delle altre sostanze presenti nel nido.
[Dialogante 1]  Ma questo cosa centra con la vecchiaia?
[Dialogante 2]  Nulla! Perché, dovrebbe?


venerdì 4 dicembre 2015

Tratta XXXIV.5 – De senectute – Con l’aiuto di carta e penna


[È una singolare e felice combinazione – o non è affatto una combinazione – che le facoltà mentali che più si attutiscono con la vecchiaia sono quelle che più facilmente possono essere sostituite dai computer. Così la facoltà di calcolo aritmetico, di cui avverto la pressoché totale sparizione. Fino a qualche mese fa cercavo di escogitare qualche rimedio, soprattutto durante le veglie notturne, imponendomi dei calcoli di astrale difficoltà del tipo 47+35 o 131 – 78, calcoli che mi impegnavano letteralmente delle ore e per i quali mi servivo spesso di audaci semplificazioni come la scomposizioni dei numeri in unità da contare sulle dita. Ma qui subentrava una nuova difficoltà: lungo il conteggio mi dimenticavo quante unità avevo sommato o detratto e mi toccava ricominciare da capo, solo che non ricordavo più i numeri da cui ero partito.
Sono allora passato a operazioni più semplici contenute entro la cinquantina. Per un poco le cose sono andate meglio finché una notte mi sono incagliato sul 27 ± 14, riuscendo dopo aspra lotta a riprendere sonno. Il mattino seguente con l’aiuto di carta e penna ho poi risolto ambedue i calcoli, solo che con altri numeri. Ma non erano solo i miei calcoli numerici a turbare le mie notti. Ci si erano messi anche quelli della logica proposizionale. Anzi questi erano addirittura peggiori degli altri. Finché potevo eseguirli per iscritto, le cose andavano passabilmente, ma, se mi si chiedeva di affrontare il più semplice dei problemi logici a mente libera, la mente perdeva tutta la sua libertà per ritrovarsi nella più angusta delle prigioni. Anche i giochetti logici con cui un tempo amavo infiorare i miei ragionamenti metaculturali mi erano impediti.

Io però, come il benevolo lettore può costatare, non ho desistito. Ho solo cercato di evitare le trappole del pensiero logico-matematico. Grazie al cielo il nostro cervello, se trova chiuse delle porte, ne cerca delle altre e, se non le trova, dà di mano al piccone.]

giovedì 3 dicembre 2015

Tratta XXXIV.4 – De senectute – Negli spogliatoi di una scuola di danza


I vecchi sono lamentosi.
Sempre meno dei giovani se si sentissero come i vecchi.
I vecchi sono noiosi.
Per i giovani è noiosa anche la Divina Commedia.
I vecchi ripetono sempre le stesse cose.
Lo farebbero anche i giovani se le sapessero.
Molti sono vecchi fin da giovani.
Altri sono giovani anche da vecchi.
Molti vecchi non vedono e non sentono.
Anche molti giovani.
I vecchi sono egoisti e non glielo si perdona.
I giovani sono egoisti e per loro si chiude un occhio.
I vecchi si vuole che ragionino.
I giovani posso anche non farlo.
I vecchi puzzano.
Siete mai entrati negli spogliatoi di una scuola di danza?
I vecchi sono vogliosi.
Poverini!
Vecchi si diventa.
Giovani, o lo si è, altrimenti niente da fare.
A nessuno piace invecchiare, ma tutti vogliono diventare vecchi.
A tutti piace sembrare giovani anche se non lo si è più.
I giovani non conoscono la vecchiaia e hanno ragione di temerla.
I vecchi conoscono la gioventù e non hanno più ragione di temerla.
La gioventù: la lunga attesa della vecchiaia.

La vecchiaia: finalmente!

mercoledì 2 dicembre 2015

Tratta XXXIV.3 – De senectute – Uscire dai binari del possibile




Si dice che la gioventù è portata all’utopia, ai sogni irrealizzabili che l’età si incarica poi di ridimensionare quando non insterilire del tutto. In molti casi è certamente così, ma in molti altri è proprio la vecchiaia che ama fantasticare dell’impossibile, anche perché nessuno le chiederebbe di realizzarlo. Anche a me capita spesso di uscire dai binari del possibile, e fino qualche anno fa ho trovato persone che mi hanno aiutato a rimettermi su quei binari o a tentare l’avventura dell’impossibile. Ora però mi accorgo che i giovani hanno una certa reticenza a darmi retta e quelli di mezza età preferiscono parlare d’altro. Ciò non toglie che, soprattutto nelle prime ore del mattino, quando sarebbe insensato alzarsi, io mi lascio andare a maggiori insensatezze, di cui, salvo eccezioni, non faccio parola con nessuno.
Non escludo tuttavia che, dopo più matura riflessione, io non affidi all’una o l’altra di queste tratte qualcuna delle mie fantasie mattutine. Mi sembra infatti che non è tanto l’immaginazione a venir meno con gli anni, quanto piuttosto la facoltà coordinatrice del pensiero, poco incline a conferirgli consequenzialità logica, anzi ben disposta a lasciarlo vagare dove più gli piace. È forse anche per questo i giovani, più amanti dell’ordine di quanto si creda, tendono ad attribuire a senilità le extravaganze dell’anziano. Questa è almeno la mia difesa di anziano.
Una perdita che non mi riesce di camuffare in alcun modo è quella della memoria, che talora mi assale nel bel mezzo di una frase, impedendomi di concluderla. E così preferisco spesso stare zitto che rischiare, il che in molti casi è anche meglio. Se poi una cosa nessuno riesce a ricordarla, ecco che ci sono io a ricordarla benissimo.
Il vecchio è imprevedibile come lo è il bambino e, come a quest’ultimo, si cerca di non dargli retta, magari per poi scoprire che ha ragione, anche quando è proprio la ragione che sembra essergli venuta meno. Ma, si dirà, i vecchi sono da sempre il simbolo della saggezza.

Il ‘simbolo’ appunto, non la saggezza.

martedì 1 dicembre 2015

Tratta XXXIV.2 – De senectute – Un semplice ammasso di cellule





Credo che, se i cosiddetti acciacchi dell’età si fossero presentati tutti assieme, non li avremmo sopportati. Ma la natura benevola ci da, per ogni nuovo acciacco, un tempo di assuefazione che ci permette di convivere con esso. E così anche la perdita di facoltà che consideravamo permanenti e di conseguenza la cessazione di attività che ci apparivano vitali risultano alla fin fine meno gravose di come avevamo pensato. Così un poco alla volta ho smesso la mia attività di compositore (che ritenevo irrinunciabile per la vita stessa), ho cessato la raccolta di coleotteri (mai interrotta dal 1940), ho coscientemente avviato l’oblio della lingua materna (ho parlato prima il tedesco che l’italiano); ho perso in buona parte l’udito, la vista, il gusto, l’appetito sessuale, eppure eccomi qua, seduto sul balcone di casa immerso nel verde cangiante di confluenti chiome di tiglio, robinie, vite e alloro, che scrivo queste tratte, sbirciando a volte con soddisfazione ai libri delle Indagini metaculturali che si vanno accumulando alle mie spalle. Vivo una vecchiaia fortunata che non tutti hanno in sorte, posso dire che a questa vecchiaia, forse inconsapevolmente, mi sono preparato – o è stata la vita stessa a prepararmi – ed è questo che voglio ripetere ai giovani e meno giovani: non aspettate che la vecchiaia sia conclamata, essa comincia a venti anni, così come la gioventù non conosce un limite superiore. Non so se la vita sia un processo unitario e coerente, ormai penso piuttosto che sia plurimo e discontinuo, conviene però immaginarlo come un tutt’uno, la cui coerenza è a nostro carico, sempreché vogliamo riconoscerci, da quando nasciamo a quando moriamo, come individui e non come un semplice ammasso di cellule. La nostra identità è costruita, durante il corso della vita, dal cervello, e questo resta se stesso fino alla fine, compensando le proprie perdite coll’introiezione di sempre nuove diversità. Da un lato quindi ci conviene alimentarlo a dovere fin quando gli chiediamo di sostenere la nostra esistenza, dall’altro dobbiamo stimolarlo fin dall’inizio a mantenersi costantemente disponibile ad accogliere l’imprevisto.


mercoledì 3 giugno 2015

Tratta XXXIV – De senectute – XXXIV.1



[Non sono particolarmente interessato agli aspetti autobiografici della vecchiaia quale la sto vivendo da parecchi anni. Posso solo dire che, almeno nella forma in cui mi si è presentata, è tollerabile. Di più, è a tratti piacevole, anche se non credo per chi mi sta intorno. Non per Paola per esempio, su cui grava più che su di me il peso dei miei anni. Che in realtà non sono poi molti, stando allo straordinario allungamento della vita media verificatosi negli ultimi anni. E non è tanto l’allungamento in sé il fatto positivo quanto il miglioramento della qualità di vita che l’attuale medicina e farmacologia consentono alla vecchiaia di oggi rispetto a quella del passato. Anche i servizi assistenziali e l’attenzione che la società presta all’anziano gli rendono questa fase estrema dell’esistenza, tutto sommato, forse meno ostile delle precedenti. Sottratto al pungolo degli obblighi, alla pressione della concorrenzialità, alle responsabilità verso gli altri e verso se stesso, l’individuo assapora qualcosa come la libertà fittizia di chi non può più nulla e, se qualcosa ancora conta, è solo per ciò che ha fatto. Da lui non ci si aspetta nulla se non che muoia. Per alcuni è una condizione pesante di frustrazione, per altri di leggerezza insostenibile, alcuni infine vi si accomodano senza problemi. Penso che, perdurando, addirittura aggravandosi la situazione economica mondiale, i problemi saranno per chi verrà dopo di noi, figli, nipoti, pronipoti. A questi il nostro egoismo di cittadini ‘arrivati’ non ci ha pensato ne ci vuole pensare. La nostra vecchiaia trascorre ancora sull’onda di un passato welfare. Si è garantiti a sufficienza dai tracolli futuri. Ha chiuso gli occhi davanti a chi non poteva garantirsi, e oggi assiste, protetta, ai primi di quei tracolli. I vecchi di oggi portano la responsabilità di quello che sarà domani il fallimento biologico di Homo sapiens. Anch’io sono tra quelli.]

mercoledì 20 maggio 2015

Tratta XXXIII.6 – Cerchiamo di non essere ipocriti





[Dialogante 2]  Se le cose che ci stiamo dicendo diventassero di pubblico dominio, molti ci accuserebbero di presunzione, di incompetenza, di ideologismo. E noi avremmo ben poche armi con cui difenderci.
[Dialogante 1]  Credo che dovremmo riuscirci anche senza armi.
[Dialogante 2]  E qui che si annida l’ideologia: nell’usare il pensiero come arma…
[Dialogante 1]  … mentre non dovrebbe uscire dai propri limiti, che sono quelli di non essere null’altro che pensiero tra altri pensieri…
[Dialogante 2]  … in libera concorrenza?
[Dialogante 1]  No, tutt’al più sottoposti a selezione darwiniana, indipendente da qualsiasi ‘volontà’ concorrenziale.
[Dialogante 2]  Cerchiamo di non essere ipocriti. Anche se manca la volontà, non manca la convinzione o per lo meno qualche buona ragione per proseguire sulla strada intrapresa.
[Dialogante 1]  Direi che questo rientra ancora nella normalità di chi lavora su ipotesi e non su certezze. IMC ha lo statuto di ipotesi ma proprio in forza di esso chi l’assume è in certo qual modo tenuto a considerarla certezza fin quando non ne venga dimostrata l’inconsistenza.
[Dialogante 2]  Nel caso di IMC l’inconsistenza è dimostrata dal suo rapporto anomalo con la contraddizione, il che ci deve rendere ancora più prudenti nel proporla come strumento risolutivo delle crisi.
[Dialogante 1]  D’accordo, ma con tutte la cautela possibile dobbiamo pur sperimentarne il funzionamento che oltretutto, come sappiamo, non modifica la culturalità degli oggetti cui si applica, ma la porta a consapevolezza, nel contempo relativizzandola.
[Dialogante 2]  Semmai è proprio quest’ultimo punto, la ‘relativizzazione’ che incontrerà le maggiori difficoltà. IMC cominci con il relativizzare se stessa.
[Dialogante 1]  Già fatto. Provvedono ora gli altri assoluti a fare lo stesso.
[Dialogante 2]  Una trappola?
[Dialogante 1]  Veda un po’ il lettore.


martedì 19 maggio 2015

Tratta XXXIII.5 – Eppure i problemi di cui si discute in sede politica sono tutt’altri…





[Dialogante 1]  La soluzione darwiniana non riguarderebbe nel nostro caso le persone, ma le culture, o forse ancora le persone, ma attraverso le culture…
[Dialogante 2]  … anzi altro lo stadio culturale tout-court in opposizione a uno metaculturale. E non siamo assolutamente in grado di calcolare statisticamente quanto tempo ci vorrà perché la transizione sia compiuta…
[Dialogante 1]  … anche perché non sappiamo:
                         a. se sia effettivamente cominciata
                         b. se stia procedendo con un incremento annuale significativo
                         c. se stia procedendo uniformemente in tutte le culture del pianeta
                         d. qual’è la probabilità che vi siano fasi più o meno lunghe di riflusso culturale
                         e. qual’è il tempo che ci resta perché la tecnologia raggiunta il suo punto critico
                         f. se il pianeta ci concederà ancora questo tempo.
[Dialogante 2]  Se poi consideriamo che non è affatto detto:
                                 g. che lo stato metaculturale sia di nostra soddisfazione
                         h. che sia sufficientemente stabile a garantire la nostra sopravvivenza per un tempo ragionevole
                         i. il che vuol dire che il pianeta sia in grado di sostenerlo, ne consegue che il nostro rapporto con la vita in generale e con la Terra è fortemente instabile…
[Dialogante 1]  … e la sopravvivenza di tutto questo complesso assai poco probabile. Eppure i problemi di cui si discute in sede politica sono tutt’altri. E non solo da noi, ma in tutto il mondo, anche in quei paesi che, più assai del nostro, mostrano di essere consapevoli del problema dei problemi.
[Dialogante 2]  Il fatto è che la consapevolezza non basta a modificare comportamenti radicati culturalmente. La consapevolezza deve raggiungere il livello antropologico della metaculturalità, cosa che è ancora lontana dal fare.
[Dialogante 1]  Manca del tutto una volontà formativa in questo senso. Mancano anche gli strumenti formativi che solo ora si cominciano a studiare.

lunedì 18 maggio 2015

Tratta XXXIII.4 – Spesso una parola tira l’altra…





[Dialogante 2]  Dopo tanto parlare siamo rimasti al palo: non sappiamo distinguere un prodotto inquinante da uno che non lo è.
[Dialogante 1]  Ricordiamoci di IMC e proviamo a pensare metaculturalmente.
[Dialogante 2]  Tanto per cominciare: non ha senso attribuire a oggetti o pensieri la qualifica di ‘inquinante’ o ‘neutri’ o ‘corroboranti’, se non si specifica il termine di riferimento. ‘Noi’ come individui, come società, come specie, come viventi, come enti. A seconda di dove imponiamo l’arresto, potremmo avere risposte anche antitetiche.
[Dialogante 1]  Ne conseguirebbe che il concetto di ‘inquinamento’ è fortemente relativizzabile?
[Dialogante 2]  Perché ‘fortemente’? È relativizzabile e basta.
[Dialogante 1]  Hai ragione. Spesso una parola tira l’altra, come le ciliege.
[Dialogante 2]  Anche questo è vero. Ma andiamo avanti!
[Dialogante 1]  Se il concetto di inquinamento è relativo come qualsiasi altro, cerchiamo di definire l’UCL per cui è valido.
[Dialogante 2]  Ma prima ancora di definire, se possibile, questo UCL, chiariamoci sul termine stesso ‘inquinamento’.
[Dialogante 1]  Non necessariamente chi è stato inquinato ne soffre. Le anofeli inquinate godono ottima salute. A star male sono quelli che le anofeli hanno punto. Fino allo scoppio della guerra i nazisti stavano benissimo. A star male erano quelli che non si sentivano tali.
[Dialogante 2]  Cioè l’inquinamento può manifestarsi anche in seconda battuta e forse anche a distanza di anni.
[Dialogante 1]  E anche allora può darsi che gli infettati siano dannosi per altri, non per se stessi.
[Dialogante 2]  Vuol dire che l’inquinamento viene percepito solo all’interno di un certo UCL, fuori dal quale neppure si può dire che ci sia.
[Dialogante 1]  Stiamo attenti a non cadere nel ‘relativismo assoluto’.
[Dialogante 2]  Finché avremmo un punto d’arresto, non corriamo questo pericolo.
[Dialogante 1]  E noi, ce l’abbiamo questo punto d’arresto?
[Dialogante 2]  Certamente: la sopravvivenza. Se Hitler ce l’avesse assicurata, anzi se l’avesse assicurata a tutto il genere umano e, oltre, alla vita stessa sul pianeta, non l’avremmo più visto come un agente inquinante, ma come un salvatore, un novello Gesù Cristo. Ma non sarebbe stato Hitler.
[Dialogante 1]  Ma chi potrebbe oggi assicurare la vita al nostro pianeta con tutti i suoi abitanti?
[Dialogante 2]  Nessuno, o forse tutti insieme, se compissimo la mutazione antropologica da animale culturale ad animale metaculturale.
[Dialogante 1]  Anche se dovesse essere questa la salvezza, una mutazione del genere non si compie in un giorno e neppure in un anno. Ce ne vorrebbero parecchi di anni, e poi le mutazioni non si decidono a tavolino e nessuno sa se è proprio la direzione giusta quella in cui ci stiamo muovendo.
[Dialogante 2]  L’ultima volta che una mutazione di portata simile si è verificata è stato duemila anni fa, o meglio ha avuto inizio allora, ma quasi subito la condizione culturale ha ripreso il sopravvento impedendole di realizzarsi appieno.
[Dialogante 1]  È la tua vecchia idea basata su un’arbitraria interpretazione della figura di Gesù.
[Dialogante 2]  Come se le interpretazioni non fossero tutte arbitrarie!
[Dialogante 1]  Così come le mutazioni tutte casuali e adirezionali…
[Dialogante 2]  … cioè non inserite in un disegno intelligente.
[Dialogante 1]  Ci stiamo vistosamente contraddicendo: dapprima allineandoci decisamente con gli oppositori dell’idea di un ‘disegno intelligente’ poi però invocandolo quando ci fa comodo, come adesso, per riuscire dall’impasse in cui ci siamo cacciati.
[Dialogante 2]  A parte che, in quanto metaculturali, la contraddizione non dovrebbe spaventarci, non mi sembra neppure che ci siamo caduti. La mutazione di cui sopra potrebbe essere incorso già da molti millenni e Gesù, come altri, niente più che mutanti occasionali, sempre più favoriti dalle condizioni ambientali…
[Dialogante 1]  … e quindi sempre più numerosi.
[Dialogante 2]  Un ragionamento che si addice ai cristiani, ma anche ai topi.


[1]             Vedi…
[2]             Vedi la Passio haeretica