Ho visto i miei
primi Macaoni (Papilio macaon) a Villa Balestra, dove mio padre mi
portava di primo mattino, prima della scuola, a caccia di farfalle.
Era abbastanza
facile prenderli quando, abbandonate le irraggiungibili altezze del loro
entusiastico volo, scendevano ad abbeverarsi di rugiada o di nettare sui fiori
che abbondavano tra le erbe, visitati da ogni ordine di insetti, dalle
cavallette alle api, ai sirfidi [1],
ai coleotteri. C’erano anche molte farfalle, nessuna delle quali però reggeva
il confronto con gli splendidi macaoni con le ali caudate, sempre in
agitazione, pronti a volar via ma senza troppa fretta. Non so il loro colore
giallo li protegga dagli assalitori, ma, se non è il colore, potrebbe essere il
sapore di prezzemolo o di finocchio accumulato durante la vorace vita larvale.
Poveri macaoni,
finiti schiacciati dentro un libro secondo i nostri primitivi criteri
collezionistici. Certo, li ammiravo e li amavo i miei macaoni, ma solo in
quanto erano miei, come i mariti di
un tempo amavano le loro mogli solo in quanto di loro proprietà. Macaoni e
mogli non dovevano avere una loro individualità, addirittura una vita propria.
Per fortuna oggi tempi e costumi sono cambiati e nessuno penserebbe più così
(?). Io per esempio le farfalle non le caccio più, le compro… Continuerei
invece a cacciare coleotteri se le gambe me lo permettessero e ci fossero
ancora coleotteri.
Da bambino ho
anche allevato i bruchi del macaone. Questi non sono meno belli dell’adulto,
anzi a me sembrava che lo fossero di più, come del resto ho sempre amato più i
bruchi che le farfalle, anche se non avrei potuto collezionarli. Il loro
esoscheletro non li preserva infatti dall’imputridimento e la loro
conservazione, sempre comunque alquanto imperfetta, è difficile e laboriosa. Di
recente mi hanno comunicato che a Roma, zona Montemario, in piena città, si è
avuta su un aiuola di finocchi una piccola invasione di bruchi che dalla
descrizione ho capito subito essere di Papilio
macaon.
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