domenica 8 ottobre 2017

Tratta XLIII.5 – La ragione o il torto


[Dialogante 1]  Credo che per convalidare una nostra affermazione converrebbe considerare con pari convinzione anche la sua contraria.
[Dialogante 2]  Ma a questo si oppone appunto la nostra convinzione, assai più forte dell’altra, artificialmente costruita.
[Dialogante 1]  La solita opposizione naturale/artificiale, che qui però non funziona, essendo ambedue le convinzioni culturali, cioè in ultima istanza artificiali.
[Dialogante 2]  Sì, ma l’artificio sostenuto da una cultura condivisa è quanto di più vicino alla verità possiamo raggiungere. Quindi è del tutto lecito sostituirla a quella in caso di necessità.
[Dialogante 1]  Ma chi decide se il caso presente è effettivamente di necessità? Non potrebbe essere che anche lo stato di necessità non sia ‘reale’ ma avvertito solo culturalmente?
[Dialogante 2]  Vuoi dire finto allo scopo di far passare la nostra convinzione?
[Dialogante 1]  ‘Finto’ è un termine un po’ brutale. È sufficiente che la nostra percezione non trovi nulla da eccepire.
[Dialogante 2]  Bene, allora non c’è neppure bisogno di prendere in considerazione l’affermazione contraria e di sforzarci a renderla il più possibile ‘convinta’.
[Dialogante 1]  Sì se il nostro scopo fosse solo quello di far vincere la nostra e non anche di convincere noi stessi.
[Dialogante 2]  Ma il problema non credo sia di convincere chicchessia, noi o altri, ma di ricavare da ambedue le affermazioni contrapposte quel tanto che ci serve a capirle.
[Dialogante 1]  Ciò non è tanto la ragione o il torto che c’interessano, quanto le ragioni che sostanziano l’una o l’altro.
[Dialogante 2]  In definitiva contano più gli argomenti che siamo in grado di addurre pro o contro le reciproche affermazioni che non le affermazioni espresse e, meno che mai, i giudizi.
[Dialogante 1]  Questi in vero sono ballerini. Forse lo sono anche le argomentazioni, ma queste, mancando i giudizi, sono assai meno pericolose.

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