[Dialogante 1] Credo che
per convalidare una nostra affermazione converrebbe considerare con pari
convinzione anche la sua contraria.
[Dialogante 2] Ma a questo
si oppone appunto la nostra convinzione, assai più forte dell’altra,
artificialmente costruita.
[Dialogante 1] La solita
opposizione naturale/artificiale, che qui però non funziona, essendo ambedue le
convinzioni culturali, cioè in ultima istanza artificiali.
[Dialogante 2] Sì, ma l’artificio
sostenuto da una cultura condivisa è quanto di più vicino alla verità possiamo
raggiungere. Quindi è del tutto lecito sostituirla a quella in caso di
necessità.
[Dialogante 1] Ma chi
decide se il caso presente è effettivamente di necessità? Non potrebbe essere
che anche lo stato di necessità non sia ‘reale’ ma avvertito solo
culturalmente?
[Dialogante 2] Vuoi dire
finto allo scopo di far passare la nostra convinzione?
[Dialogante 1] ‘Finto’ è un
termine un po’ brutale. È sufficiente che la nostra percezione non trovi nulla
da eccepire.
[Dialogante 2] Bene, allora
non c’è neppure bisogno di prendere in considerazione l’affermazione contraria
e di sforzarci a renderla
il più possibile ‘convinta’.
[Dialogante 1] Sì se il
nostro scopo fosse solo quello di far vincere la nostra e non anche di
convincere noi stessi.
[Dialogante 2] Ma il
problema non credo sia di convincere chicchessia, noi o altri, ma di ricavare
da ambedue le affermazioni contrapposte quel tanto che ci serve a capirle.
[Dialogante 1] Ciò non è
tanto la ragione o il torto che c’interessano, quanto le ragioni che sostanziano
l’una o l’altro.
[Dialogante 2] In
definitiva contano più gli argomenti che siamo in grado di addurre pro o contro
le reciproche affermazioni che non le affermazioni espresse e, meno che mai, i
giudizi.
[Dialogante 1] Questi in
vero sono ballerini. Forse lo sono anche le argomentazioni, ma queste, mancando
i giudizi, sono assai meno pericolose.
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