lunedì 28 febbraio 2011

La scelta


[48] Sono trascorsi alcuni postini e il lettore sarà forse disponibile per avanzare di un passo nel cammino riflessivo di IMC (dell’Ipotesi Metaculturale). Il passo che gli propongo di affrontare ha nome scelta, ed è un passo che ci capita di compiere a ogni passo (scusate l’inelegante ripetizione):
  • Esco di casa, pioviccica, che fare? Posso prendere l’ombrello o mettere l’impermeabile o infilarmi in macchina o sopportare qualche goccia di pioggia.
  • Debbo cucinare il pranzo. Che cosa fare? Cerco nella dispensa e trovo: spaghetti, cannolicchi, riso…; guardo anche nel frigorifero: formaggio, affettati, insalata…
  • Non so come passare il pomeriggio: mi metto a lavorare, faccio shopping, vado a trovare X…
E così via. La scelta presuppone però l’individuazione delle alternative, che non è ancora un vero passo ma una specie di ‘prepasso’. Occorre infatti decidere quale alternativa scegliere, ma delle alternative in gioco. Qualcuno o qualcosa potrebbe averci nascosto proprio le migliori. Chi?

La cultura per esempio, o un’ideologia, o un ‘padrone’ che vuole che la nostra scelta coincida con la sua (forse il più frequente dei condizionamenti).

Poi serve un’analisi delle alternative individuate cosicché ci rendiamo conto e delle loro premesse e delle loro conseguenze. Solo a questo punto il passo può concludersi con la scelta.

domenica 27 febbraio 2011

Jakob Tsuaf


[121] Lo avevano trovato, ben avvolto in morbidi panni, all'interno di un cassonetto della spazzatura. Sul petto, un cartello con il nome: Jakob Tsuaf. Era evidentemente un bambino straniero, ma non si capiva di quale nazionalità. Jakob rimandava, ma non necessariamente, alla cultura ebraica; Tsuaf non era riferibile a nessuna lingua di uso comune. Dopo molte congetture ci si accorse che Tsuaf non era che il palindromo di Faust e si pensò a uno scherzo. Ma che senso poteva avere uno scherzo sul nome di un trovatello? E che non fosse uno scherzo lo si capì solo molti anni dopo.

Tsuaf fu dato in affidamento a una coppia senza figli, che lo allevò amorevolmente, chiamandolo però solo Jakob. Divenne presto evidente un lieve difetto a un'anca che lo rendeva meno agile dei suoi coetanei, favorendo così la sua propensione per gli studi. A scuola il suo rendimento fu ottimale e intorno ai quindici anni le sue scelte di vita poterono dirsi fatte: esegesi biblica da un lato, la magia nella cultura rinascimentale dall'altro. A ben guardare questi interesse erano già iscritti nel suo stesso nome: Jakob e la sua lotta con l'Angelo, Faust e il suo patto col Diavolo. Del resto il Diavolo non era altro che un Angelo ribelle e la ribellione non ne aveva cancellato la natura angelica, ne aveva soltanto invertito la direzione, come a sua volta lui aveva fatto con Faust. Ed ecco che il nostro Jakob giocava, per così dire, in casa. Di notte, nei sogni, cominciò a interpretare gli eventi della propria vita secondo episodi biblici. Per esempio, la piccola imperfezione all'anca che lo faceva zoppicare divenne per lui la conseguenza della lotta con l'Angelo che il suo omonimo della Bibbia aveva dovuto sostenere al guado di Jabboc. E come lo Jakob biblico cambiò il proprio nome in Israel, così anche lui da quel sogno in poi decise di chiamarsi solo Tsuaf, e concentrò i suoi studi sulla magia di Faust. Considerava sé stesso come anello di congiunzione tra due grandi culture, quella ebraica dell'Antico Testamento e quella moderna procedente dal Rinascimento, attraverso la trasformazione del pensiero magico-alchemico in quello scientifico-razionale

Restava da vedere l'esito di questa trasformazione. Tsuaf ne aveva invertito la direzione. Ma qual'era la direzione da cui era partito? Fin dalle origini il mito di Faust ha due possibili sbocchi, negativo quello tradizionale -rappresentato tra gli altri da Marlow-, che chiude con la dannazione, positivo l'altro -quello goethiano-, che prevede la salvazione dell'eroe. Non è mai stato chiaro quale direzione Tsuaf volesse invertire, quella negativa o quella positiva. D'altronde, se anche ce lo avesse detto, non sapremmo se la condanna di Faust sia da valutare negativamente e la sua assoluzione positivamente, o viceversa.

venerdì 25 febbraio 2011

Costruzione della pace?


[44] Certo non sarà chiaro al lettore in quale senso gli UCL (Universi Culturali Locali) e UMC (Universo Metaculturale) possano servire alla costruzione della pace. Non mi resta che pregarlo di avere ancora un poco di pazienza. Ritornerò in seguito sulle altre, più stringate definizioni di IMC (Ipotesi Metaculturale); qui vorrei subito accennare a qualche applicazione pratica dell’ipotesi, che è stata formulata proprio a questo scopo.

Possiamo pensare ogni nostra azione come conseguente a un progetto più o meno consapevole che, almeno in parte, potrebbe non dipender da noi in quanto individui ma dalla cultura (dall’UCL) di cui siamo partecipi. Perché queste decisioni prese sopra la nostra testa? IMC ci invita a renderci conto delle ragioni che ci spingono a compiere le nostre azioni, cioè a indagare sui loro antecedenti culturali. Altrettanto ci invita a renderci conto delle finalità, altrettanto culturali, per cui le compiamo. IMC si propone ciò di indagare sia su uno spazio che potremmo chiamare ‘esterno’ , o delle premesse, sia su uno ‘interno’ o delle conseguenze.

Questo per accrescere in noi sia la consapevolezza dei nostri atti, fisici e mentali, unitamente alla conoscenza, meta culturalmente riflessa, dell’UCL in cui e di cui viviamo. Le indagini non sono sempre facili per i condizionamenti imposti appunto dagli UCL, ma per alcune discipline –musica, attività grafico-pittoriche, composizione verbale– esistono e sono stati ampiamente sperimenti itinerari pedagogico-didattici di sicuro rendimento.

giovedì 24 febbraio 2011

La relazione d'aiuto


Fotografia di Jeffrey Milstein

[37]
Ho finito da poco di scrivere il mio ultimo libro (ultimo, credo, in senso proprio), che però non mi piace, dal titolo –che mi piace ancora meno– La relazione d’aiuto (che sa troppo di istituto di beneficenza), titolo poi integrato dal sottotitolo La composizione simmetrica delle diseguaglianze, pressoché incomprensibile.
– Ma se il tutto non ti piace, perché non lo butti via?
– Perché non trovo di meglio.
– Non ti va bene il progresso?
– Assolutamente no. Se oggi ci troviamo al punto in cui siamo è proprio grazie al progresso.
– Ma non è la prima delle crisi mondiali. Anche nel ’29 …
– … e ne uscimmo come sappiamo. Ma oggi un’altra guerra mondiale ci porterebbe a rischio di estinzione. Ciò che non funziona è proprio l’ideologia della crescita infinita, cioè del progresso. Noi non siamo infiniti, non lo è il pianeta su cui viviamo, non lo sono le sue risorse, non lo è neppure l’universo che ci accoglie, perché dovrebbe esserlo la nostra crescita?
– E allora?
– Più che della crescita dovremmo preoccuparci della sopravvivenza.
– Ma senza crescita non c’è neppure sopravvivenza, ce lo insegnano la storia, la biologia e la teoria dei sistemi complessi.
– Lasciamo perdere la storia … Comunque può darsi che tu abbia ragione, ma che cosa intendi per progresso?
– Un miglioramento di tutte le nostre condizioni di vita.
– Per alcuni o per tutti?
– Per tutti, ovviamente.
– E qui casca l’asino. Fin quando in molti, volenti o nolenti, aiutavano i pochi a vivere meglio, il progresso era possibile (per i pochi), ma da quando anche in molti hanno preteso di parteciparvi, il progresso come modello di crescita è entrato in crisi.
– Sicché per te crescita, progresso, crisi si equivalgono e ci porteranno, presto o tardi, all’estinzione?
– Sì, se non sapremmo governarli.
– Allora c’è una via di uscita?
– Forse, ma ne riparleremo in uno dei prossimi postini.

mercoledì 23 febbraio 2011

Gratitudine?



[21] Non mi piace la parola gratitudine. Sottolinea troppo il dislivello tra chi pensa di meritarla e chi si sente in dovere d'offrirla. Oltretutto rischia di suscitare in chi crede di doverla un oscuro senso di rivalsa, se non altro per non sentirsi in debito. Più che compensare una diseguaglianza la gratitudine ne cura la crescita.

martedì 22 febbraio 2011

La vecchia casa


[17b] Davanti a noi, di sbieco, c’è ancora la vecchia casa.

Gli abitanti di un tempo –tra cui due bambine che oggi hanno loro stesse figli e forse anche nipoti– sono andate via da molto, abbandonando alcune lettiere arrugginite. Al piano di sotto sono ancora visibili nel muro gli anelli cui legavano cui legavano loro buoi, mentre accanto la casa si riconoscono un porcile e un forno. I vetri e le finestre sono stati tutti rotti a sassate dai bambini del paese. Ero presente anch’io e forse ho dato una mano.

Ma perché si fanno queste cose?

Nel retro della casa una scala diroccata conduce al piano superiore, un seguito di quattro stanze comunicanti, senza corridoio. All’un capo si trovano una cucina e un cessetto, cosicché, quando un abitante della stanza all’altro capo della casa voleva recarvisi, doveva passare per tutte le altre. Il tetto è riccamente ricoperto d’erba e l’edera ha invaso i muri, ma tetto e muri resistono ancora all’acqua.

Spesso mi capita di visitare la vecchia casa con la splendida vista sui monti sabini. E allora mi piace andare a quella finestra da cui si vede di sbieco la piccola casa di fronte, dalla quale talvolta –come oggi– vedo venire incontro un anziano signore. Già mi sembra di sentire i suoi passi mentre sale dalla scala sul retro ed entra nella stanza. Allora mi volto e faccio lentamente ritorno.

lunedì 21 febbraio 2011

... la pellicola più superficiale...



[47] Il vulcano islandese –di cui non riesco a ricordare né a pronunciare il nome– che qualche giorno fa* ha inondato di ceneri (il termine probabilmente è inappropriato) i cieli di mezza Europa, questo vulcano arcifotografato e ripreso dalle telecamere di tutto il mondo, pur senza causare vittime, ha prodotto ingenti danni all’economia di molti paesi che dipendono in gran parte dal commercio aereo. Ebbene, questo vulcano non sola si dimostra insensibile alle rimostranze che gli piovono da ogni parte, ma non sembra neppure disposto a impegnarsi per il prossimo futuro. È già molto se non chiamerà ad imitarlo i suoi fratelli innevati come lui, che alla devastazione del fuoco e delle cenere aggiungono quella dell’acqua di scioglimento, minacciando addirittura un innalzamento del livello dei mari.

Ma, si sa, eruzioni, terremoti, inondazioni o simili non si degnano neppure di avvisare del loro arrivo né della loro intensità, semplicemente perché non hanno nessuna considerazione per i colpiti, che dal canto loro si considerano invece i padroni di una cipolla di cui conoscono –seppure! – la pellicola più superficiale, quella che si sfoglia al primo contatto.

* Nota della Rigdazione: Il postino è stato scritto nell'ultima settimana di aprile 2010, anche se lo pubblichiamo adesso.

domenica 20 febbraio 2011

Sono un musicista?



[3] Sono un musicista , o meglio lo sono stato fino a un paio di anni fa. Ho ottanta tre anni e per più di sessant’anni ho scritto musica, ma non ho mai scritto una canzone e credo di non averne mai ascoltato una sino in fondo.
Domanda: sono un musicista?

sabato 19 febbraio 2011

Oltre il fiume - Progetto di un documentario cinematografico


Questo è il titolo di un progetto lanciato e prodotto da Walter Cittadini, con l'obiettivo di documentare storie di gruppi culturali nella Sabina.
Giusto una settimana fa, a casa di Boris e Paola, sono state videoregistrate alcune conversazioni che alimenteranno questo progetto. Vi terremo informati. Per il momento, alcune foto informali dell'uragano che per alcune ore ha travolto casa Porena-Bučan, giusto per darvi il sapore della giornata.

Conversando con Paola, Boris e Angelo Bernardini...
Boris e Fernando conversano...

Leggere di più ...
Il produttore controlla ...
Il produttore dà istruzioni ...
L'intervistato aspetta pazientemente lungo gli interminabili preparativi ...
Gli fanno compagnia dei vecchi amici altrettanto pazienti ...
I tecnici si dànno valentemente da fare ...
Tocca pazientare pure al pubblico...
Grazie per le immagini da dietro le quinte, Raoul!

venerdì 18 febbraio 2011

Autonomia ancora


[0B] I dubbi su cose che si pensavano risolte una volta per tutte rinascono per così dire a ogni passo. Così come l’altra volta quelli sulla democrazia. Ed eccomi ancora a chiedere il vostro parere sulla necessità di coniugare democrazia e autonomia del pensiero. È possibile l’una senza l’altra?

E come conservare questa autonomia nell’era del trionfo mediatico?

Siamo stati formati in tal senso a fronte dei continui attacchi mossi attraverso i media da gruppi di potere economico, politico, ideologico, religioso?

Chi dovrebbe favorire, se non garantire, lo sviluppo generalizzato di un pensiero autonomo, e come? Credo che il problema meriti qualche riflessione.

giovedì 17 febbraio 2011

Democrazia, autonomia, consenso


[0A] Non sono un politico né un giornalista, tante cose quindi faccio fatica a capirle. Così per esempio sento quasi tutte le forze politiche rifarsi al concetto di democrazia senza mai chiedersi se, perché questa diventi effettiva, non siano necessari alcuni prerequisiti, come una –relativa– autonomia del pensiero individuale . E, ancora, se questa autonomia può sopravvivere nel nostro universo mediatico basato sulla notizia, il gossip, Sanremo. Che cosa significa il consenso, altra parola chiave della politica, quando a ottenerlo è sufficiente un Berlusconi?

mercoledì 16 febbraio 2011

Paralleli?



[46] Alcuni postini or sono, sbirciando da questo oblò ho visto due canguretti in corsa scatenata dietro una ragazza che correva anche lei su una spiaggia evidentemente australiana.

Mentre però la ragazza si atteneva al costume umano che consiglia di mettere un piede avanti all’altro in debita alternanza, i due canguretti seguivano il costume canguresco che impone l’uso congiunto di ambo i piedi posteriori costringendo l’animale a una successione ininterrotta di salti che avrei giudicato faticosissimi se i marsupialetti non li avessero compiuti con incredibile eleganza e leggerezza.

A un certo punto la ragazza ha deciso per una puntata di qualche metro al largo, subito seguita dal canguretto più intraprendente, che forse era alla sua prima nuotata in alto mare. Senza perdersi d’animo, il piccolo ha compiuto una subitanea virata per riconquistare la terraferma, questa volta utilizzando soprattutto le zampette anteriori, poco atte al nuoto cosi come alla corsa. Chi gliel’aveva insegnato? Come e quando si era esercitato? Il movimento era lo stesso di quello di un cagnoletto in un’analoga situazione. Eppure tra canidi e canguri intercorrono in termini evolutivi, parecchi milioni di anni. Esiste, evolutivamente, un parallelo in sincrono tra arto e funzione anche quando, come nei canguri, la funzione dell’organo si è sensibilmente modificata nel tempo? Perché, per esempio, i canguri non hanno imparato a servirsi delle zampe posteriori anche in acqua, come fanno le rane?

martedì 15 febbraio 2011

Un grande, immenso amore


Si era innamorato di lei a nove anni, quando ancora facevano la quarta elementare. Non sapeva nemmeno cosa fosse ciò che attirava il suo sguardo verso di lei, ovunque si trovasse, dentro o fuori dell’aula, per strada, in giardino. e, se non era in nessuno di questi posti, era certo nella sua mente, sempre.

Faceva di tutto per non farsi accorgere che la cercava con gli occhi, ma al tempo stesso voleva che se ne accorgesse. Se gli capitava, per caso, di sedersi vicino a lei, si mostrava distratto, indifferente, ma chiunque si sarebbe accorto della finzione. E lei, sveglia come lo sono le bambine già a quell’età, se ne era perfettamente accorta, né si può dire che la cosa le dispiacesse. Solo che non lo dava a vedere, molto più abile in questo dei maschietti coetanei. Passavano i mesi, gli anni, e le cose restavano sempre allo stesso punto, almeno per lui. Aveva cominciato a capire di che si trattava, ma si era ormai affezionato al suo segreto amore, al punto che non lo avrebbe rivelato a nessuno, neppure al suo oggetto. Il quale attendeva pazientemente questa rivelazione, ma poi, visto che niente accadeva, aveva cominciato a guardarsi intorno: il mondo era grande e offriva ben altre occasioni che uno spasimante incapace di dichiararsi. Frequentavano ormai le superiori e gli amori fiorivano da ogni parte. Lei non si rifiutava, tanto più che era, non solo attraente, ma anche in grado di gestire convenientemente le situazioni che si venivano a creare. Non lo aveva dimenticato né rimosso, ma non intendeva sacrificare la propria vita a un eterno indeciso. Fini quindi per sposarsi, ma non ebbe una vita felice. Ben presto si manifestò in lei una malattia che non le consentiva di avere figli, anzi minava la sua resistenza fisica, tanto che il marito finì per allontanarsi da lei senza tuttavia abbandonarla del tutto.

Lui intanto, l’innamorato costantemente fedele, l’osservava vivere senza intervenire. Gli era sufficiente il pensiero di lei, di lei come la ricordava dagli anni dell’infanzia e dalla prima giovinezza. Sapeva dove abitava e ogni tanto l’incontrava, o meglio l’avrebbe incontrata se non si fosse sottratto ogni volta, quasi come a un pericolo per la sua incolumità.

Un giorno venne a sapere che era sta ricoverata in imminente pericolo di vita. Si fece coraggio e andò a trovarla, con un mazzo di fiori. Questi però furono subito requisiti dal personale sanitario. Si sedette sulla sponda del letto, cercando di parlare della difficile situazione internazionale. La guardava come se non la riconoscesse. Lei invece gli rivolgeva uno sguardo implorante senza dire una parola. Lasciò all’ospedale il suo numero telefonico, per ogni evenienza. E infatti, a notte fonda gli comunicarono la morte della donna. Poco dopo si riaddormentò. Incontaminato restava in lui quel suo grande, immenso amore.

[Riproponiamo, questa volta trascritto, un postino letto da Boris alcuni mesi fa]

domenica 13 febbraio 2011

Ecco il tutto

"Mani" di Maurits Cornelis Escher (1898-1972)

Ecco pubblicata la promessa serie di 19 postini per gli amanti della ricorsività ... e della scrittura.

Con i titoli di questa serie di postini-dialogo, ecco i collegamenti per percorrere l'intera serie...

1. Che cosa distingue i ‘postini’ dai ‘non postini’?
2. i postini costituiscono un ‘genere’?
3. L’argomento
4. La trattazione
5. L’espressione
6. La varietas
7. La ripetizione
8. La parola
9. L’essenzialità
10. Il ritmo
11. La fonicità
12. La rarità
13. La comprensibilità
14. La delectatio
15. La forma
16. La concatenazione dei postini
17. I destinatari
18. La funzione (le funzioni)
19. I postini nella scuola

Missione compiuta! Alla prossima serie!

Esperienze gravitatorio-pittoriche

Perché mai troviamo bella la simmetria?



¿airtemmis al alleb omaivort iam èhcreP

venerdì 11 febbraio 2011

mercoledì 9 febbraio 2011

19. I postini nella scuola



- Una volta riconosciuta la funzione formativa dei postini, c’è da vedere se non è il caso di proporli –loro o qualcosa di analogo– nella scuola.

Ma già lo si fa. Ai tempi miei si chiamavano pensierini, quando li si voleva più sviluppati temi.

I famigerati temi che ricordo tutti odiavamo, e se mi avessero detto che un giorno mi ci sarei dedicato a tempo pieno …

Evidentemente, o sei cambiato tu –cosa più che probabile, visto i tuoi anni– o i postini non sono temi. Già, cominciamo a dire che non sono dati ma ciascuno li decide a suo piacere …

… e nessuno ti spiega come devi farli.

A dir la verità, questa serie di postini proprio questo vuole spiegarti.

Bisogna vedere se poi lo fanno.

Intanto, cerchiamo almeno di capirlo noi, come si scrivono i postini.

Siamo alle solite. Non appena ci si avvicina alla scuola, si levano le voci, come si fa questo, come si fa quello …

Per forza! A scuola si va per imparare.

Poi, a cose fatte, ti accorgi che hai imparato molto di più fuori che dentro la scuola.

In parte è ovvio che sia così: la scuola non occupa che un breve tempo della vita, e anche gli incontri che vi si fanno sono relativamente pochi e per di più inseriti in un contesto concorrenziale assai poco educativo …

… secondo altri invece sommamente educativo perché ti prepara alla competitività del mondo reale

… e ti impedisce di concepirne uno alternativo.

Ma non parliamo di scuola, parliamo di postini!

Sì ma di postini nella scuola, quindi di come adattarli alle sue esigenze.

Queste però non sono un dato a priori, immutabile, ma variano nel tempo e secondo il tipo di società …

… che possono contribuire a cambiare.

Quindi in un certo senso sono oppositivi alla scuola, che tende a riprodurre la società, non a cambiarla.

Posso però immaginare, andando dentro la scuola più pedissequamente agganciata alla società, degli spazi di autonomia, entro cui lasciar libero il pensiero di seguire il proprio corso, ovunque voglia andare: lo spazio dei postini.



P.s.


Come al solito, si è detto poco o niente di un eventuale uso dei postini nella scuola. Non so bene perché la scelta compositiva di questa serie di postini è stata quella di soddisfare il meno possibile il criterio di congruenza tra il titolo e il testo. Forse la scelta faceva già parte del progetto d’insieme (quale insieme? di questa serie? di tutti i postini? del concetto di postino?); fatto sta che la si riscontra, se non sistematicamente, troppo spesso per essere casuale (anche questa mi sembra di averla già detta).

È probabile, e lo posso testimoniare, che tale incongruenza mi è –se così posso dire– connaturata o forse acquisita per insoddisfazione, per protesta. La ritrovo infatti anche nella mia produzione musicale, addirittura a livello di titolo (Trio N. 2 o delle Incoerenze, Sinfonie di alterità, ambedue del 1998) ecc. È anche possibile che sia una conseguenza metodologica di IMC (vedi IMC, 1999, Capitolo 6, Terzo contributo: l’individuazione delle alternative; la cosa comunque non mi sembra granché interessante).

Più interessante, e soprattutto più utile, credo che sia aggiungere ancora qualche parola sulle intenzioni formative che potrebbero giustificare una diffusa presenza dei postini –non necessariamente di questi– nella scuola, proprio come esercizio preparatorio all’individuazione delle alternative. Credo infatti che oggi, nella fase di smontaggio e ricomposizione delle culture che stiamo vivendo, una tecnica di reperimento , eventualmente di invenzione ex novo di modelli, prototipi, sia di importanza fondamentale per la nostra sopravvivenza. Quelli che abbiamo ereditato dalla tradizione non sono sufficienti, molti addirittura inapplicabili senza grave pregiudizio per il nostro ambiente, cioè per noi stessi. Ricorrere a modelli di un passato lontano non è possibile senza profonde modificazioni che tengano conto del progresso tecnologico degli anni recenti, che tuttavia deve a sua volta tener conto dei tempi –molto più lunghi– di adattamento biologico della specie umana. Questa infatti per molti aspetti è rimasta quale l’evoluzione l’aveva plasmata centinaia di migliai di anni fa. Il pensiero metaculturale, che ci accompagna da allora, ha gli strumenti per renderci consapevoli. Ma anche gli strumenti per oscurare questa consapevolezza. Di fronte a questa alternativa, cerchiamo di fare la scelta giusta.


Fine della serie

sabato 5 febbraio 2011

Morire sbranato ...

giovedì 3 febbraio 2011

18. La funzione (le funzioni)


Questi postini hanno una funzione?

Se è per questo, anche più di una.

E quali sarebbero?

Una l’abbiamo già nominata: la delectatio (numero 14).

Un’altra è tanto generica che non l’ho neppure considerata: la comunicazione.

Già, ma comunicazione di chi, a quale scopo?

Non direi che il loro scopo è l’informazione.

E se fosse la formazione?

C’è chi dice che ogni comunicazione, ogni atto di parola ha una componente formativa, di cui neppure ci rendiamo conto. Così quando, entrando in una stanza, diciamo: “Buona sera”, implicitamente invitiamo i presenti a tenere un certo comportamento sociale.

Siamo ancora nel generico, niente che distingua i postini da altre forme di comunicazione.

E perché dovrebbero distinguersi? Abbiamo già visto come i postini non aspirano a costituirsi in genere.

Ma neppure a passare inosservati.

E per non passare inosservati, devono in qualche modo attirare l’attenzione, quindi soffermarsi per qualche attimo nella mente del ricevente, attimi in cui quella viene stimolata a pensare.

Spesso però lo stimolo manca …

… o meglio passa inosservato.

E qui soccorre il numero dei postini. Forse sulle prime la mente del ricevente non si accorge di questa stimolazione, salvo quando il tema è dichiaratamente didascalico (ad esempio il numero 6 di questa serie). Ma col tempo il ricevente è probabile che cominci a far caso alla funzione stimolante, addirittura a cercarla (perché è disugualmente diffusa nei postini).

Ed è questa la funzione principale dei postini: l’attivazione del pensiero critico?

Non direi. È piuttosto la sollecitazione a produrre una risposta, tanto è vero che, quando questa non arriva –ed è il caso più frequente– inizialmente si restava delusi. Poi ci si è accorti che la delusione dipendeva da vanità offesa e quindi non meritava particolare attenzione. Né si poteva essere sicuri che in qualcuno dei riceventi la mente non si fosse messa in moto senza venircelo a dire.

martedì 1 febbraio 2011

17. I destinatari


[Il lettore o l’ascoltatore si sarà accorto che in tutti questi dialoghi il destinatario – cui lui stesso è sempre presente in incognito, anzi invisibile. Il dialogo 17 lo riguarda personalmente, anche senza concedergli il diritto di parola. Questo diritto può esercitarlo ugualmente, se vuole, ma la cosa non ci riguarda.]

Quelli che ci leggono o ci ascoltano si sono certamente accorti che, pur non comparendo nei nostri dialoghi, sono loro i nostri destinatari.

E noi, ci siamo accorti di non essere l’uno il destinatario delle parole dell’altro?

Come riceventi siamo finti.E anche come emittenti.

Quando dici noi, chi intendi? noi come postini o come autori dei postini, finti gli uni come gli altri?

Perché finti?

I postini perché, pur essendoci, non sanno né scrivere né parlare, gli autori perché non si sa neppure quanti sono, se uno o molti.

Ma i destinatari, almeno quelli sono veri?

Non fingere, sai benissimo che i destinatari possono non esistere, se non ci sarà nessuno a riceverci.

Insomma, generalizzando, le parole ci sono solo a patto che ci sia chi le pronuncia o scrive o le riceve?

Così pare.

Che fai, diventi socratico?

A chi socratico: a me che sto scrivendo? a ciò che sto scrivendo? a me postino? a me contesto del postino? a me personaggio del postino, finzione d’autore? Sii chiaro.