domenica 30 settembre 2012

Una cosa seria


[451]
Non me la sento di sottoscrivere il precedente postino.
E perché?
Perché ritengo la politica una cosa seria, da trattarsi altrimenti che con sofismi e giochi di parole.
E i politici di professione come la trattano?
Troppo spesso come un fatto personale, di prestigio e di autoaffermazione. O come una questione di ragione o torto, di giusto o errato, secondo una visione dicotomica del tutto inadeguata alla complessità dei casi reali. Il vero interesse di chi esercita la politica professionalmente è la conquista del potere, la vittoria sull’avversario, anche se ciò comporta evidenti danni per ambedue i contendenti. La politica viene assimilata a una guerra, e spesso è proprio la guerra che ne consegue, esterna o interna. Non a caso si parla di ‘lotta politica’, ‘vincitori e vinti’, quasi che non fosse possibile intendere la politica come ‘via comune verso una comune meta di benessere compatibile’, dove il ‘compatibile’ va esteso, oltre i confini dell’umano, alla biosfera tutta. Una visione del genere non esclude diversità e conflitti, ma, più che di prevalenza degli uni sugli altri dovrebbe occuparsi della reciproca modulazione, perché è poco probabile che le ragioni si trovino tutte dalla stessa parte.

venerdì 28 settembre 2012

Coscienza politica


[450]
Provo sempre lo stesso fastidio quando nei film americani si parla con disprezzo di tutti i politici, senza distinzione. Ma se sono tutti degli arrivisti, interessati solo al potere e ai soldi, perché li eleggete? Perché non cambiate forma di governo? Se davvero la democrazia non può che essere rappresentata da un tipo umano che voi stessi non stimate, che cosa vi spinge a farvi governare da costoro? Siete democratici solo perché non c’è niente di meglio? Non avete una coscienza politica?
Purtroppo, se gli americani non ce l’hanno, noi la stiamo irrimediabilmente perdendo, e non da oggi. Noi chi? Noi italiani o noi europei? E gli altri, gli asiatici, gli africani, i neozelandesi?
Ma che vuol dire avere una ‘coscienza politica’?
Capire che esistono gli altri, con gli stessi nostri diritti anche se con opinioni diverse. E se alcuni fossero dell’opinione che ad avere certi diritti sono solo loro?
Forse ci sono delle opinioni che non tutti abbiamo il diritto di avere.
Forse ci sono dei diritti che non tutti possiamo pretendere.
Esiste allora un diritto al privilegio?
Forse. Ma non per magistrati e politici. E perché?
Perché sarebbero loro a riconoscerlo e amministrarlo.
È la mia opinione.

domenica 23 settembre 2012

Una riscoperta mancata


Carabus cavernosus - Fotografia di Paolo Mazzei
[449]
Settembre 1975. Paola è primo violoncello nell’orchestra dell’Aquila. Quella settimana l’ho accompagnata, prima alle prove, poi, la sera, al concerto. Per me, l’occasione per una caccia entomologica sul Gran Sasso. Prendo la macchina e, nel primo pomeriggio, su per le pendici della grande montagna. A circa 1.600 m. scendo e procedo per un buon tratto a piedi, ma con scarsi risultati. Sto quasi per rientrare, quando, sotto un sasso di media grandezza vedo un Carabus. Non è il rossii e neppure il violaceus, ha le elitre nere lucenti, fossetate. Lo riconosco subito, pur non avendolo mai visto: è il Carabus cavernosus, tipico dei Balcani, ma sporadico anche in Abruzzo. Da noi è considerato una rarità, quasi come il Carabus olympiae, del Piemonte. Ambedue più volte dati per estinti, ogni tanto rispuntano fuori, ritrovati da fortunati raccoglitori, per poi scomparire di nuovo. Io ero rimasto all’ultima spedizione. Immagini chi può la mia emozione.

Alcuni giorni dopo mi è capitata sott’occhio la notizia del recente ritrovamento del Carabus cavernosus, in buon numero in varie località dell’Abbruzzo, come io stesso ho potuto constatare. Ma il ricordo della prima emozione è rimasto intatto.

venerdì 21 settembre 2012

Un pregiudizio


[448]
In un piccolo paese vicino a Brema, nella Germania settentrionale, da un negozio di giocattoli escono ridendo e cantando, forse più di quanto facciano di solito gli abitanti di quel luogo, un signore di una certa età e un bambino di una decina d’anni, quest’ultimo con in mano un aquilone evidentemente appena comprato. Escono e, sempre schiamazzando si infilano in una macchina targata Rieti-Italia. Il tutto non doveva essere certo un caso di normale amministrazione per quel paesino. Il seguito immediato della storia non interessa in questa sede, tuttavia andò grosso modo così: i due cercarono e trovarono un ampio prato su cui far volare l’aquilone, nessuno dei due era però esperto in materia, per di più si alzò un forte vento e cominciò a piovere, cosicché gli avventurosi furono visti risalire in macchina e sparire col loro aquilone.
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Alcuni mesi più tardi un carabiniere suonava alla porta di un paese altrettanto piccolo ma a più di 1.600 km di distanza, Cantalupo in Sabina, per un accertamento, richiesto dall’Interpol, a proposito di un bambino straniero urlante, evidentemente perché maltrattato da un signore anziano, urlante anche lui...
Questi immigrati, non si sa mai che gente è...

giovedì 20 settembre 2012

Intermezzo (tre postini futili) – Una cura consigliata


[447]
Estate 1990. Eravamo in visita, Thomas tredicenne ed io, dai miei cugini vicino Düsseldorf, quando, pochi giorni prima della data di rientro, vengo colto da una lombalgia che mi impedisce qualsiasi movimento implicante un cambiamento di posizione della schiena. A nulla valgono gocce e pastiglie, lana e panni caldi, a nulla le iniezioni fatte al pronto soccorso: avrei dovuto guidare in quelle condizioni fino a Cantalupo (circa 1300 km).
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Eccomi infatti, piegato - con qualche aiuto esterno- sul volante, in viaggio verso Roma. Finché non devo raddrizzarmi le cose vanno abbastanza bene. Raggiunto il Gottardo, dico a Thomas: “E se, anziché il traforo, facessimo il passo? A 2000 metri ci dovrebbe essere il Carabus silvestris!”. Detto fatto: siamo saliti al passo, dove spirava un vento gelido, fastidioso. Sono riuscito a scendere, non so come, dalla macchina e, sempre chinato, mi sono messo a sollevare grossi sassi. Avevo indosso una camicia estiva, un po’ corta, che mi lasciava a nudo una buona parte della schiena. Trovammo effettivamente un certo numero di Carabus silvestris in una piccola conca, ancora innevata. Dopo una buona mezz’oretta siamo rimontati in macchina. Abbiamo pernottato a Bellinzona. Della lombaggine avevo perso perfino il ricordo.

mercoledì 19 settembre 2012

La cornice metaculturale


[446]
Non nego che ci sia un certo compiacimento nel trovare inediti abbinamenti verbali per fissare concetti che si presume possano trovare anche applicazioni pratiche. La maggior parte di queste ‘invenzioni’ lasciano il tempo che trovano e testimoniano solo della vanità dell’inventore. Alcune volte però, senza che la cosa sia in alcun modo prevedibile, una di queste locuzioni si insedia più o meno stabilmente nel linguaggio corrente e sembra ci sia sempre stata. Non credo tuttavia che questo accadrà per la locuzione qui proposta. Come risuona nella nostra mente cornice metaculturale?
L’aggettivo ‘metaculturale’ comincia ad avere una diffusione che lo rende comprensibile se non altro a chi è venuto in contatto con IMC e le esperienze documentate nei volumi delle Indagini Metaculturali, di cui anche questi Postini fanno parte. Risparmio quindi al lettore ulteriori precisazioni.
Qualche parola invece sui sottintesi di “cornice”. Le cornici circondano in genere i quadri, gli specchi e altri oggetti con la duplice funzione di attirare su di essi lo sguardo di chi vogliamo li osservi, e di fornirli di un supporto per attaccarli al muro. Accanto a questo significato primario molti ve ne sono di secondari, metaforici, e non perderò altro tempo ad illustrarli. Le cornici possono essere semplici. Il più delle volte però sono multiple, e allora può essere utile distinguerne le parti che le compongono: cornici etimologiche, grammaticali, ideologiche, filosofiche, religiose, di costume ecc. Non credo sia attualmente utile tentare una classificazione delle cornici, qualcuno si potrà tuttavia divertire a farlo come a suo tempo mi sono divertito io a classificare gli «stili di pensiero».
A essere precisi le cornici che circondano le nostre parole, i nostri pensieri e così via, stando a IMC, sono sempre e comunque ‘culturali’. Diventano ‘metaculturali’ solo nella riflessione, quando cioè ce ne rendiamo conto, il che di rado accade, immersi come siamo in un mondo culturalizzato, dominato dagli UCL. Per sottolineare la necessità di consapevolezza propongo di qualificare queste cornici culturali con il prefisso ‘meta’ nell’accezione definita da IMC.
Non so se all’uso di questo oggetto linguistico –la cornice metaculturale– terrà dietro una sua effettiva concettualizzazione (è questo il caso di una combinazione verbale in cerca di un concetto che le corrisponda). Il presente postino non è che il tentativo di acclimatare nel gergo metaculturale questo nuovo mostriciattolo lessicale.

martedì 18 settembre 2012

Quattro anni!

Già quattro anni, oblò...

lunedì 17 settembre 2012

Se il consenso non basta...


[445]
Il ragionamento fin qui condotto si basa su una proposizione introdotta da una formula che ne nasconde l’aspetto ideologico: ‘tutti possiamo constatare che...’. La proposizione è: “il consenso non costituisce una valida garanzia di affidabilità”. Non sappiamo se sia vero o no; il fatto è che non riusciamo a trovare una conferma, ma neppure una smentita. Conosciamo casi singoli dell’un tipo e dell’altro, ma non un criterio generale per distinguerli. ‘Tutti’ plaudono alla libertà, ma intere popolazioni le hanno votato contro. Quindi potrebbe darsi addirittura che, in una situazione di tutti contro uno, la ragione sia proprio dalla parte di quell’uno.
Ma, se il consenso non è garanzia sufficiente, che fine fa la democrazia?
Forse ci conviene rassegnarci: se il consenso non basta, non abbiamo niente di meglio. Ciò che possiamo fare è migliorare l’affidabilità del consenso. Direi che questo, anche se non ci dà una certezza, accresce tuttavia la probabilità che la nostra scelta sia localmente valida. Ma come fare per ‘migliorare l’affidabilità del consenso’? Anzitutto affrancandolo per quanto possibile dai condizionamenti ideologici e legandolo solo all’autonoma capacità di pensare.

venerdì 14 settembre 2012

Una domanda sul consenso


[444]
È una domanda che spesso mi pongo e che ho affidato anche a questi postini, senza tuttavia ottenere risposta. Forse la domanda cui noi stessi non sappiamo rispondere sarebbe meglio non farla. Eccomi invece a riproporla, sperando in un esito migliore. Come la maggioranza delle persone oggi, anch’io non saprei immaginare una forma di governo non democratica, quale che ne sia la struttura di vertice, monarchica, presidenziale, repubblicana o altre. Eppure possiamo constatare che il consenso non costituisce una valida garanzia di affidabilità. Senza un’adeguata formazione specifica, non è affatto detto che dieci cervelli funzionino meglio di tre in un determinato campo della conoscenza. E anche la politica penso che abbia uno specifico ambito di competenza. Oppure no: le preferenze politiche sarebbero solo una questione di gusto e di interessi economici o di potere? Non saprei pronunciarmi. Credo comunque che un’attività da cui dipendono non solo il benessere dei cittadini ma oggi addirittura la sopravvivenza della vita sulla terra, non possa essere lasciata al gusto o all’interesse di incompetenti. Sì quindi al suffragio universale purché qualcuno (la scuola?) fornisca a tutti gli elettori una conoscenza politica di base che renda effettivamente consapevoli le loro scelte (vedi oltre).

giovedì 13 settembre 2012

Ieri ed oggi


[443]
[Postino scritto a novembre 2010]
Obama sta perdendo consensi, addirittura un intero ramo del parlamento, mentre Berlusconi, nonostante defezioni e scissioni, malgrado gli scandali e la disistima manifestatagli a livello internazionale, mantiene pressoché intatto il favore dei suoi elettori.
Obama ha un disegno politico, Berlusconi non ce l’ha.
Obama rischia per il suo disegno, Berlusconi non ha nulla per cui rischiare.
Obama propone un mondo alternativo.
Berlusconi ripropone –in peggio– il mondo di ieri. Anzi di secoli fa. Il suo è un mondo da basso impero, che si regge sulla corruzione e l’ignoranza, governato da un potere assoluto ammantato da democrazia e sostenuto da un ingegnoso sistema di ricatti incrociati, esteso anche all’opposizione.
Il crollo di Obama trascinerebbe con sé molte speranze di sopravvivenza.
Il crollo di Berlusconi ne farebbe rinascere qualcuna.
Ma Obama sta perdendo, Berlusconi no.

mercoledì 12 settembre 2012

Cercare di capire


[442]
Credo di essere stato ingiusto nei confronti della politica italiana, definendola ‘stolta’, quasi che le altre politiche mondiali non lo fanno. Certo, la nostra alla stoltezza del capitalismo concorrenziale aggiunge quella del suo premier, tale da gettare il discredito su tutta la popolazione che lo tollera. Perché lo fa, anzi perché sembra apprezzare ciò che in qualunque altro paese sarebbe motivo di vergogna?
Siccome, nonostante tutto, credo ancora nell’intelligenza umana, sta a me cercare di capire che cosa spinge tanti miei conoscenti a mantenere posizioni politiche che mi appaiono insensate e suicide.
Anzitutto dovrò sgombrare il campo da critiche moralistiche oggi non più sentite e in odore di ipocrisia. Riconosco per esempio che la difesa della sua libertà sessuale condotta da Berlusconi con tenacia a parole e a fatti, lungi dal rivolgerglisi contro, segna più di un punto a suo favore e ridicolizza in questo i suoi oppositori, che farebbero meglio a rinunciare del tutto all’argomento, insistendo più di quanto non facciano, sul suo disinteresse per una politica non di facciata, non autoreferenziale, ma effettivamente preoccupata della crisi sociale in atto. L’immagine dell’Italia nel mondo evidentemente non lo interessa, e potremmo anche concordare con lui se dietro questa immagine si nascondesse un pensiero critico non convenzionale, inventivo e autenticamente innovativo. Ma di questo non c’è traccia, anzi, dietro l’immagine usurpata di grande potenza, rispunta l’Italietta di sempre, aggiogata al carro neocapitalistico senza neppure reggerne il passo. Certo, Berlusconi è un ricco capitalista, ma quelli che lui governa stanno scivolando sul pendio dell’indigenza.

martedì 11 settembre 2012

Stoltezza


[441]
Non è la prima volta che questi postini si occupano di politica. Dico ‘si occupano’ e non ‘trattano’, perché il loro autore non ritiene di aver una competenza sufficiente a trattare un argomento di tale vastità e importanza. Viceversa ‘occuparsene’ credo che rientri tra le prerogative se non tra i doveri di qualunque cittadino per il solo fatto di essere partecipe di una comunità. Ma come viene interpretata tale partecipazione? Da quel che si vede pressoché ovunque, il cittadino ha certamente un insieme di diritti, che lui riconosce e sa anche come far valere, e qualche dovere, cui peraltro deve essere richiamato perché ne ha una percezione solo confusa. È molto ‘umano’ quindi, anche se poco ‘naturale’, che, poste di fronte alla scelta tra la promessa di un vantaggio immediato o la possibilità di un qualche miglioramento futuro, le persone scelgano la prima senza neppure sincerarsi dell’attuabilità della promessa. E così si spiega il perdurante successo dell’attuale politica italiana, chiaramente fallimentare, ma continuamente rinvigorita da pensieri e promesse di successi imminenti. Ho chiamato ‘umana’ la scelta del benessere immediato, anche se solo promesso. Avrei dovuto chiamarla ‘stolta’: la stoltezza è qualità tipicamente umana; la natura non la conosce se non nell’uomo.

lunedì 10 settembre 2012

L'atto di scegliere


Una delle immagini del progetto di autoritratti "Maiala che sono" di Miru Kim
[440]
Qualcuno ha osservato che nei testi sull'Ipotesi Metaculturale (IMC) e soprattutto nei miei non compare mai il sostantivo ‘metacultura’. Ne ho già spiegato la ragione molti anni fa, ma non credo inutile ritornarvi su, visto che il termine si trova spesso in altri scritti, anche di operatori del Centro Metaculturale. Premesso che non vi è alcun diritto prioritario e che ciascuno è libero di usare il termine e i suoi derivati oggettivali o avverbiali suo piacimento, ripeto qui che, pur essendo IMC un’ipotesi culturale come qualsiasi altra, ho inteso differenziarla formalmente, o meglio ‘lessicalmente’, evitando per lei la forma sostantivale e riservandole gli ‘addolcimenti’ offerti dalle forme aggettivali.
Questo perché il sostantivo ‘metacultura’ richiama un oggetto che gli corrisponda, e un tale oggetto non potrebbe che essere culturale per la stessa IMC. Non era però mia intenzione arricchire il già affollato UCL di un nuovo oggetto, mi sono riproposto –e credo di esser rimasto fedele al proposito– di far uso del termine solo nella sue forme ‘deboli’, che meno danno l’idea che esista realmente qualcosa come la ‘metacultura’. Capisco che una semplice forma grammaticale non dice nulla sull’oggetto significato, ma l’atto di scegliere l’una o l’altra forse sì.

domenica 9 settembre 2012

La comoda tana della tradizione...


[439]
La mente è capace di altre forme di pensiero che non siano logiche?
Certamente, anzi sono le forme più usate, perché ritenute più ‘libere’, meno imbrigliate da un rigorismo che sembra non lasciare spazio all’avventura, al rischio. La logica offre tuttavia garanzia di correttezza, non teme il contraddittorio, risulta vincente ogni qualvolta le riesce di costringere l’avversario sul suo terreno.
E qual è questo terreno? È un optional e possiamo rifiutarlo a priori? In altre parole: chi decide della validità del pensiero, il singolo, un convincimento sociale, un principio universale? Già a questo punto le opinioni divergono. Per alcuni, è dogmatico, non esiste neppure una divergenza possibile: le verità di ragione sono inconfutabili. Attenersi ad esse non è un optional, rifiutarsi è una ‘colpa’ che rende il colpevole alla mercé del giudice o eventualmente del suo ‘perdono’. Fides et ratio, secondo i cattolici, salvo poi declinare tutta una serie di eccezioni per cui vale solo la fides con tanti saluti per la ratio. Questa e la sua ancella aristotelica, la ‘logica’, costituiscono una società e responsabilità limitata, che tuttavia garantisce gran parte delle operazioni mentali della quotidianità; per le altre, rivolgersi altrove, non più al nostro cervello.
Per altri, logici anch’essi ma non dogmatici, la razionalità si estende molto al di là della logica aristotelica e giunge fino a investirne di nuove, che il cervello accetta, seppure con qualche titubanza, ma da cui la società nel suo insieme prende le distanze, ora rifugiandosi nella comoda tana della tradizione, ora rifiutando del tutto il pensiero logico, abbandonandosi interamente all’avventura extralogica. Altri ancora non si pongono neppure il problema, delegando il pensiero a chi, secondo loro, è in grado di gestirlo, e sono coloro che confidano comunque in un’ autorità, vera o presunta, fosse anche quella di un testo scolastico. Pensare è faticoso, e, allora, meglio servirsi di un pensiero già pensato e ben confezionato.
Me c’è anche chi si diverte a pensare, anche fuori dai sentieri battuti, ma senza rinunciare al controllo della mente. E cercherà di capire per prima cosa il funzionamento del pensiero attraverso l’appercezione, quindi per mezzo dell’analisi psicologica. Poi rivolgerà l’analisi agli stessi strumenti utilizzati, alla cultura che glieli ha fabbricati e così via. È il normale percorso che abbiamo chiamato ‘metaculturale’, e che, stando a giusta descrizione, darebbe ragione anche delle varie logiche attuali o possibili, sempre lasciando aperta la spirale del pensiero.

giovedì 6 settembre 2012

... un costrutto mentale...


[438]
In ogni caso non è logicamente corretto testare la logica su modelli concreti, tolti dalla realtà, comunque la si voglia intendere. La logica è un costrutto mentale che può anche riscontrarsi in modelli reali, ma non è mai dimostrato da questi: Anatomia della logica.
(C’è stato un periodo –credo inteso agli anni Ottanta– in cui mi dilettavo con ragionamenti di questo tipo, anche in concomitanza con superficiali studi di logica che mi tennero occupato per qualche tempo. Non so perché, ma tali studi, almeno a questo livello, non mi dilettano più come allora, anche perché i ragionamenti, che essi richiedono, oggi mi riescono difficili, come mi riescono difficili i più elementari calcoli aritmetici. Così per esempio, se mi sveglio alle 3.20 di notte, essendo andato a letto alle 10.50 di sera, non riesco a calcolare quanto ho dormito e quanto mi resta da dormire fino alle 8.30 del mattino seguente. In genere finisco per riaddormentarmi, estenuato, anche più di un’ora dopo. Suppongo che si tratti di un’incapacità conseguente all’età, ma la cosa non mi consola in alcun modo.)

mercoledì 5 settembre 2012

Cent'anni oggi



John Milton Cage nacque a Los Angeles il 5 Settembre 1912...

14. Della groviera, soprattutto i buchi


«… poiché è lo spazio, è il vuoto, e non i processi sonori che in esso si svolgono, ciò che in questo punto della storia si impone come necessità…»

Cage è uno a cui della groviera piacciono soprattutto i buchi.

[Musica-Società, 1975, n. 14]

martedì 4 settembre 2012

Onnipotenza


[437]
Con grande facilità la ragione crea entità mentali che in alcuni casi –vedi la dimostrazione ontologica dell’esistenza di Dio– riesce addirittura a trasformare (o a farlo credere) in entità reali. In questo senso, ma solo in questo, la ragione, e per suo tramite l’uomo, possono vantare un’onnipotenza negata in tale misura a qualsiasi altro essere vivente. Ma a che gli serve questa onnipotenza? Solo che lo colga il virus della vecchiaia, basterà un battito di ciglia a cancellare la sua ‘realtà’?


C’è un problema che potremmo chiamare della realtà del reale, al quale la logica nega una soluzione univoca.
Infatti, se solo la realtà fosse reale, non potrebbe esserlo il suo contrario, ma sappiamo che il pensiero non ha difficoltà a creare universi di irrealtà, cosicché basta estendere a questi ultimi –cosa anche questa non difficile– il concetto di ‘realtà’, che realtà e irrealtà diverrebbero indistinguibili (come infatti talvolta accade nei sogni).
A dire il vero, una soluzione ci sarebbe: cioè svalutare la logica, almeno quella corrente, del sì/no. Ma chi se la sente di compiere un’azione così devastante. Comunque più di uno l’ha fatto.

lunedì 3 settembre 2012

... un’immagine unitaria di realtà...


[436]
Il precedente postino segue un modello olistico e riduzionista al quale spesso ritorniamo, dopo esserci dilettati per qualche tempo con modelli pluralistici, indeterministici e simili. A quale categoria daremo maggior credito?
Non so. Osservo solo che da un’immagine unitaria di realtà si è passati a un’alternativa semplice (realtà come essere o come divenire), quindi a un ventaglio di possibili modelli, infine a categorie di modelli...

domenica 2 settembre 2012

Una coscienza specifica


[435]
Si vanno diffondendo, un po’ dappertutto, i movimenti ecologisti, spesso a difesa di questa o quella specie animale o vegetale, talora anche di comunità umane, per cui si risveglia in noi una coscienza specifica di cui credevamo di aver perso perfino la memoria. È però sempre un’occasione fuori dalla normalità quotidiana che quasi ci costringe a indirizzare su di essa un’attenzione di regola rivolta ad altro. Per un’antilope l’appartenenza alla vita si riduce di fatto alla ricerca del cibo, al come evitare i predatori, alla soddisfazione dell’istinto riproduttivo, e per la maggior parte degli animali le cose non vanno diversamente. È certo stupefacente che da queste tre esigenze fondamentali si sia sviluppata una miriade incalcolabile di comportamenti diversi e imprevedibili, ma siamo sicuri che è proprio così?

sabato 1 settembre 2012

Convivenza pacifica...


Fotografia di Juliana Trujillo
[434]
Si parla molto –ma si fa poco– di convivenza pacifica nella diversità. Si parla anche –ma si fa ancora a meno– di convivenza pacifica tra noi e il nostro pianeta. Intanto, per cominciare, a che titolo ‘nostro’? Perché siamo noi a devastarlo?
Molte altre specie convivono con noi, ma non lo devastano.
Perché altre specie glielo impediscono.
Noi invece ci siamo eletti unici rappresentanti di una specie ‘superiore’, in diritto di considerarsi proprietaria del pianeta e di chi ci vive. Sappiamo benissimo che non è così perché ce lo ripetono a ogni passo centinaia di voci più o meno autorevoli, che però restano per lo più inascoltate. E chi sono queste voci?
Ogni paese ha la sua. Interi movimenti le hanno fatte proprie: così in Francia Serge Latouche sta da anni studiando l’impatto negativo che la specie umana produce sull’ambiente e propone, di contro alla diffusa l’idea (ideologia?) di una crescita illimitata della nostra specie e del suo potere, una graduale decrescita fino a ritrovare tra noi e l’ambiente –fisico e biologico– il perfetto equilibrio. In Italia l’analogo movimento per una ‘decrescita felice’ è portato avanti da Maurizio Pallante e dai suoi collaboratori. Ma probabilmente nella maggior parte dei paesi esistono oggi iniziative simili, alcune delle quali, come Greenpeace, assai attive anche politicamente. Questa difesa dei diritti alla vita (o della vita) è inoltre fortemente radicata in molte religioni, soprattutto orientali ma anche nelle credenze animiste diffuse in tutto il mondo. Molto meno convinta questa adesione alla vita e ai suoi ‘diritti’ appare nelle grandi religioni ‘rivelate’ (giudaesimo, cristianesimo, islam), dove l’attaccamento ai valori ‘trascendenti’ rende i fedeli assai meno sensibili a quelli che direttamente ci riguardano. Per un cristiano, un ebreo o un musulmano la natura e i viventi non umani sono soprattutto un terreno di conquista e sfruttamento, ed è proprio questa visione antropocentrica che, unitamente al potere acquisito in particolare dalle popolazioni più interessate allo sviluppo tecnologico, ci ha portato al distacco dalla comune matrice naturale, distacco cui dobbiamo oggi il pericolo che tutti ci sovrasta, ma del quale, pervicacemente, non vogliamo sentir parlare.