venerdì 30 agosto 2013

Temi trascurati


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Sfogliando così a caso questi postini vedo che poco o nulla ho scritto di alcuni temi che pure mi stanno a cuore più di altri che ho ripreso varie volte. Così
  • La sottovalutazione delle donne da Platone ai giorni nostri
  • La sopravalutazione della mascolinità
  • La sopravalutazione del denaro
  • La sottovalutazione del bambino


“Se ti stanno così a cuore, perché li hai trascurati, soprattutto i primi due?”

Non lo so. Forse sono stato trascinato dalla corrente del pensiero comune e oggi è tardi per rimediare. Inoltre sono stanco di scrivere postini e ho perso fiducia nella loro utilità. Da mesi si è ridotto a zero il numero di commenti e quello dei visitatori continua a essere esiguo. Vuol dire che né i contenuti né la loro forma destano interesse e forse anche la diffusione tramite internet ha perso il pungolo della novità.

Non mi resta quindi che chiudere questa mia ultima attività per dedicare il tempo che mi resta al noioso lavoro di revisione dei testi, per mia fortuna largamente sostenuto dai valenti e valorosi collaboratori cui debbo anche più di un suggerimento in merito agli spunti dei singoli postini e le non poche correzioni rese indispensabili dalla mia trascuratezza.

Posso quindi senz’altro…

martedì 20 agosto 2013

Entità composite



'Frammentazione', dell'artista coreano Bohyun Yoon
[598]
Possiamo immaginare le idee come entità composite, i cui elementi fluttuano in un vuoto ideale e ogni tanto vengono catturati da un cervello che ne accorpa alcuni a formare, appunto, un’idea. Oltretutto spesso capita che un’idea, scontrandosi con un’altra, si frantumi, disperdendo nel vuoto i suoi elementi, presto catturati da un altro cervello…

È una descrizione rozzamente presa in prestito da qualche vecchio modello fisico che oggi non si proporrebbe più neanche nella scuola primaria. Ciononostante penso che, per quel poco che lo conosco, il mondo del pensiero potrebbe corrispondere grossolanamente a quel modello. Le cosiddette ‘idee’ avrebbero così una struttura molecolare o atomica, sempreché non vogliamo attribuirgliene una ondulatoria del tipo della luce. In ambo i casi il riferimento va cercato tra i fenomeni fisici, senza bisogno di istituire per esse una categoria a parte, per esempio ‘spirituale’. Eppure, proprio cattivamente, è difficile equiparare un’idea avversata o derisa a un piede calpestato.

lunedì 19 agosto 2013

Come, quando vengono le idee?


[597]
Anzitutto bisogna vedere se vengono. E anche se vengono, sono in genere idee di altri, il che sarebbe in fondo poco male, giacché le idee di altri, quindi più collaudate, sono normalmente migliori delle nostre, o almeno godono di maggior credito. Qualche volta però capita che non ci ricordiamo da chi le abbiamo prese, e allora, più o meno onestamente, le diamo per nostre. Di alcune addirittura ci innamoriamo e in tal caso abbiamo qualche diritto di chiamare ‘nostro’ l’oggetto del nostro amore.

C’è qualche modo, oltre al furto e all’amore, di farsele venire, le idee? I modi ci sono, e più di uno. Il nostro cervello ne produce di continuo, solo che noi non ce ne accorgiamo o, se anche lo facciamo, non le consideriamo ‘idee’. Quanti compositori prima di Beethoven avranno scritto o pensato la figura di quattro suoni che apre la sua Va Sinfonia! Qualcuno l’avrà forse anche osservata e sviluppata per breve tratto, trovandola infine troppo ovvia per insisterci su. Domanda: l’idea sta in quelle quattro note, o in tutto ciò che Beethoven ne ha tratto anche a prescindere da esse?

Un altro modo per far nascere le idee e prendere una qualsiasi ‘non idea’ e convincere noi stessi e gli altri che lo sia. Per esempi attraverso la ripetizione ossessiva, che ammalia il ricevente non meno che l’emittente. È un espediente molto usato in pubblicità e in politica (le due spesso sono indistinguibili), sia che si abbia a che fare con una vera idea si con una contraffazione.

Come si fa a distinguere, quando serve, un’idea ‘vera’ da una contraffazione? Molto spesso con un semplice ‘atto di fede’. In questi casi è quasi inutile tentar di convincere il credente della falsità di ciò che crede vero, anche perché per lui le dimostrazioni razionali non hanno valore in quanto appartengono a uno ‘stile di pensiero’ che gli è estraneo. Altre volte la distinzione è imposta dalla cultura –dall’UCL–, o è di comodo, suggerita per esempio da interessi economici.

A ben guardare il dilemma vero/falso non è applicabile al mondo delle idee, non almeno entro IMC. Infatti, se consideriamo Def. 3, data una qualsiasi proposizione è sempre possibile trovare o costruire un UCL che la renda vera. Ma allora –diranno molti– a che serve IMC, se non ci permette neppure di distinguere il vero dal falso?

Non ce lo permette all’interno di UMC, l’universo da evitare a ogni costo. Entro un qualsiasi UCL il vero è assolutamente distinguibile dal falso, altrimenti quell’UCL coinciderebbe con UMC.

Sia come sia, pensate che a Beethoven importasse qualcosa se l’attacco della Va fosse da considerare un’idea vera o falsa?

sabato 17 agosto 2013

E questo che ci azzecca?


[596]
  • C’è qualcosa che possiamo fare perché le cose migliorino?
  • Ci sarebbe da chiederlo a chi le fa peggiorare.
  • Ma sono proprio questi a non saperlo.
  • Non credo. Credo invece che lo sappiano benissimo, ma siano impediti nella realizzazione.
  • E da chi?
  • Dalla cultura. O, meglio, dallo ‘stadio culturale’ che, come specie, stanno attraversando.
  • E questo che ci azzecca? Come direbbe un attuale uomo politico.
  • Lo stadio culturale condiziona lo ‘stile di pensiero’ di chi lo vive.
  • Ma differenziandolo secondo le varie culture.
  • Tutte le culture convergono su un punto: il potere.
  • Se è per questo, anche sul guadagno e sulla crescita infinita.
  • D’accordo. Potremmo accorpare questi tre punti sotto l’unico termine di ‘progresso’.
  • Forse potrebbero esserci altre accezioni di questo termine.
  • Ancora una volta d’accordo. Sceglierei allora un’accezione che ci porti fuori dalla cultura.
  • Ma questo è impossibile perché è proprio la cultura che ci distingue dagli altri viventi.
  • Forse esistono altri stadi che ci distinguerebbero altrettanto bene.
  • Per esempio?
  • Lo stadio ‘metaculturale’, che aggiungerebbe al precedente la riflessività.
  • Ma di quella siamo capaci tutti.
  • Certo, ma ciascuno all’interno di una determinata cultura.
  • … mentre tu penseresti a una riflessività metaculturale, cioè esterna a tutte le culture.
  • No, interna a ciascuna.
  • E che vorrebbe dire?
  • Una cultura capace di riconoscere la propria culturalità.
  • Mi coglie un sospetto…
  • Quale?
  • Che tu sia un relativista.
  • E come potrei non esserlo?

venerdì 16 agosto 2013

Ancora qualche riflessione sui postini in genere


[595]
Ho chiarito all’inizio di questa raccolta che il termine ‘postino’ indica un piccolo post del mio blog (poi divenuto ‘oblò’ per iniziativa del redattore). Ora vorrei tentare una diversa etimologia. E se gli lasciassimo il suo significato primo di ‘colui che quotidianamente ci porta la posta’, cioè ci mette in contatto con il resto del mondo, fa sì che non ci sentiamo soli, anche quando quelli che fisicamente ci stanno vicini ci ignorano?

I postini come benefattori dell’umanità.

§ § §

Non so se questi postini hanno fatto bene ad altri. Di certo hanno fatto bene a me, aiutandomi a vivere quando forse il mio corpo non ne aveva più voglia. Oggi però è la mente che non ha più voglia di pensare ai postini. Mentre al corpo, tutto sommato, non dispiacerebbe fermarsi ancora per un poco, anche senza postini.

§ § §


Ma, se i postini servono ad allungare la vita, ben vengano!

§ § §


Non dipende però da me, la produzione di postini.

E da chi allora?

È come una buona digestione: possiamo cercare di favorirla ingerendo apposite pasticche, ma, se i cibi sono inquinati, le pasticche possono poco. E oggi, tutto ciò che ci giunge dall’esterno, postini compresi, è perlomeno sospetto. Forse è sempre stato così, ma a noi che importa di ciò che è stato? Le cose ci interessano per come sono adesso.

§ § §


Come stanno adesso, le cose?

A livello planetario direi al quanto male. Ce lo dice il regresso dei viventi a favore dell’unica specie in esplosiva crescita: quella responsabile del regresso di tutte le altre.

lunedì 12 agosto 2013

19 Postini sulle funzioni di una ‘Casa della Pace’ in Sabina (e xix)



[594] 
Anche ‘pace’, come ‘guerra’, può designare un’ideologia, sempreché la si voglia utilizzare in tal senso. E, dal momento che ci siamo proposti di non abbracciarne nessuna, non dovremmo fare un’eccezione neppure per lei.

Ma –si dirà– non tutte le ideologie sono uguali: ci sono quelle buone e quelle cattive. L’ideologia della pace, per esempio, è universalmente considerata positivamente.

“Aveva da sempre avversato la guerra, in tutte le sue forme, ma, di fronte alla prepotenza di coloro che volevano imporre una pace che ritenevano ingiusta per le conseguenze cui avrebbe portato, le votò contro”.

“Qui –si obietterà, e con ragione– non è questione della ‘pace’ come l’intendiamo di solito, ma di una parola di cui è stato stravolto il senso…”

“Ma come sappiamo in che senso la usa il nostro interlocutore?”

La parola è uno strumento di comunicazione troppo analogico per darle fiducia incondizionatamente. È meglio analizzarla nel contesto in cui opera, e anche allora è buona regola depurarla dalla sua “investitura ideologica” – che qualcuno potrebbe non condividere, per ragioni che non condividiamo…

Come uscire da queste considerazioni paralizzanti?

Uscendo dalle ideologie che le rendono tali.

E come?

Traducendo mentalmente le considerazioni in fatti e osservandoli accadere. Se per esempio Hitler avesse saputo sgombrare gli occhi suoi e della nazione tedesca dalla visione ideologica che li stava accecando, la grande tragedia si sarebbe forse evitata.

“Sì, con la palla di vetro!”

“O con la normale intelligenza in nostra dotazione”.

Fine dei 19 Postini sulle funzioni di una ‘Casa della pace’ in Sabina

domenica 11 agosto 2013

19 Postini sulle funzioni di una ‘Casa della Pace’ in Sabina (xviii)

  [593]
Ho già risposto nel postino precedente a questa domanda. Su che cosa s’abbia da intendere per ‘veste metaculturale’ non ho nulla da aggiungere a quanto ampiamente discusso lungo tutte queste Indagini metaculturali. Posso solo dire che la transizione culturale -> metaculturale, anche se non comporta variazioni di contenuto, nondimeno è di difficile realizzazione in quanto richiede la rinuncia a ogni approccio fideistico totalizzante. Non potremmo più affermare niente di assoluto, meno che mai imporlo ad altri, ma solo mostrare il modello metaculturale a chi non lo conosce. Se dovesse risultare vincente, sarà per forza propria e dell’ambiente così come l’acqua sale lungo il tronco fino alla sommità dell’albero senza che nessuno ve la spinga.

lunedì 5 agosto 2013

19 Postini sulle funzioni di una ‘Casa della Pace’ in Sabina (xvii)



592 
Tradizionalmente le vittorie (o le sconfitte) si davano a chiusura di un conflitto armato. Tuttavia allo stato attuale gli armamenti disponibili se consentono ancora conflitti locali o di limitata estensione, rendono sempre meno probabili le guerre di raggio mondiale, ma soprattutto cancellano la linea di demarcazione tra vittoria e sconfitta, coinvolgendo tutti i contendenti in una comune catastrofe globale. Di conseguenza un conflitto che abbia come protagonisti, non due eserciti o due stati, ma addirittura due modelli sociali non potrebbe più risolversi con lo scontro bellico, ma solo per via pacifica come compromesso. Siccome però la forma tradizionale del ‘compromesso’ (do ut des) lascia di solito ambedue le parti insoddisfatte e non offre garanzia di durata, si cerca, non appena possibile, la via della ‘modulazione culturale’ reciproca, in cui non è più questione di vittoria o sconfitta, ma della creazione di un nuovo modello che recepisca tratti compatibili con i modelli in conflitto.

Così il modello democratico, oggi in forte, anche se contrastata espansione, ritengo debba deporre la sua veste culturale per assumerne una decisamente metaculturale, se vuole, non più vincere, ma dare il suo contributo alla costruzione di un equilibrio mondiale.

sabato 3 agosto 2013

19 Postini sulle funzioni di una ‘Casa della Pace’ in Sabina (xvi)


591
Che il modello democratico stia vincendo in quasi tutto il mondo è un fatto difficilmente contestabile. In questo modello è fondamentale il concetto di ‘libertà’, almeno così si continua a gridare ai quattro venti, quasi come si trattasse di un concetto assoluto e assolutamente positivo. Sembra quasi un sacrilegio il solo sottoporlo a indagine critica, di essa si può solo parlare in termini celebrativi, enfatici…

Quanto costa la libertà di alcuni ai non liberi?

Quanto ciascuno di noi può dirsi ‘libero’?

Quanto abbiamo da guadagnare da un aumento della nostra libertà?

La libertà è quantificabile in termini monetari, in altri termini si può comprare?

Supponendo che il suo modello sia attualmente vincente, questa vittoria è incondizionata?

Stando all’esperienza di individui e popoli la libertà ha un prezzo, anzi ne ha molti e differenziati. È ‘giusto’ che sia così o non andrebbe annoverata –la libertà– tra i fondamentali e irrinunciabili ‘diritti dell’umanità’?
Se, come si dice, la libertà è per noi un diritto inalienabile, perché la vendiamo così spesso al miglior offerente?

giovedì 1 agosto 2013

19 Postini sulle funzioni di una ‘Casa della Pace’ in Sabina (xv)


590
A questo punto sorge la domanda: visto che la concreta realizzazione di modelli politico-culturali è costantemente accompagnata dalla corrispondente ideologia pur senza identificarsi con essa (quanti cittadini di un tempo si comportavano da fascisti senza esserlo per convinzione!), è possibile un’educazione che separi i due momenti? E per i due qual è quello più pericoloso per la sopravvivenza?

Vien fatto di rispondere: quello realizzativo, perché il pericolo per la sopravvivenza appartiene al piano della realtà, non delle idee.

Ma nell’universo dell’umano i comportamenti sono spesso determinati dalle immagini costruite dalla mente; sarei quindi propenso a vedere nelle idee i maggiori pericoli per la sopravvivenza, come anche le maggiori speranze di salvezza. E, poiché il mondo delle idee è governato dalla mente –non è chiaro se individuale o collettiva- e le idee governano il mondo (!) ..., se le cose stanno effettivamente così, direi che a essere pericolose per la sopravvivenza sono soprattutto le ideologie. Distinguerei quindi ‘idea’ da ‘ideologia’, riservando a quest’ultima il significato di ‘gabbia di idee’. Formulata in conformità alla domanda, la risposta alla 6a domanda del numero viii suona:
tutti i modelli sociopolitici sono ugualmente pericolosi per la sopravvivenza, non tanto per la loro realizzazione concreta quanto per il loro retroterra ideologico.

[Commento a questo postino: Se, come sembrerebbe da quanto detto, sono le idee più che i fatti a essere un pericolo (mortale) per l’umanità, si qualifica la ‘libertà’ essenzialmente come ‘libertà di pensiero’?].