lunedì 16 febbraio 2015

[BP × PB per il suo 64.esimo] - Tratta XXXI.1 – Autonomia?

simbiosi

Perché questo attestato di gratitudine da parte di uno che ha la gratitudine[1] in scarsa considerazione?
Perché qui si tratta di gratitudine ‘ontologica’, non solo e non tanto per ciò che la persona fa per un’altra – in questo caso per me – , ma per quello che è, anzi per la semplice circostanza di esserci. Di persone che ci sono è pieno, sovraccarico il mondo, ma di persone che ci sono come ci sei tu credo fermamente che non ci sei che tu.
Quando ero piccolo mi domandavo spesso se gli altri si sentivano io come mi ci sentivo io. E sono venuto a conclusione che no, a sentirmi io come mi ci sentivo io c’ero solo io. Oggi ne sono ancora convinto, ma la cosa mi sembra di poco conto: probabilmente tutti si sentono io come mi ci sento io. E se anche fossi il solo a sentirmicisi, e conterebbe?
Ora però, da circa quarant’anni, anche un tu si è differenziato da tutti gli altri ‘tu’ che compongono la mia vita di relazione. Ma, a differenza della singolarità del mio io, che con il tempo si assottiglia, la singolarità del tuo tu cresce ai miei occhi – e non solo a questi – fino a cancellare tutto il resto. È come se non solo la mia vita materiale, ma anche il mio pensiero, il mio modo di essere dipendessero da questo tu, o anche coincidessero con esso. Certo, siamo due persone e per ciò stesso diverse. Ma la stessa parola ‘diverso’ ha radicalmente mutato dissenso da quando ti conosco. Laddove per il comune sentire la diversità implica un quanto di estraneità, nel caso tuo – e fin dal primo momento – la tua diversità ha fatto parte del mio essere io. Non credo che la cosa sia reciproca perché mi sembra di avvertire in te una maggiore autonomia di quella che provo io nei tuoi confronti. Anzi, posso dire di non provarla affatto, quest’autonomia, e di non desiderarla neppure. La cosa strana è che non per questo credo di essere meno ‘libero’. Non so bene cosa la parola significhi; qualsiasi cosa sia, sei tu che me la spieghi.



[1]        Vedi Gratitudine, in [17] Metaparole – Glossario metaculturale, nel Volume V – Applicazioni comunicative delle Indagini metaculturali.

venerdì 6 febbraio 2015

Tratta XXX.6 – Meccanismo unificante



[Dialogante 2]  Vedo che ogni volta che sorge una dualità, per noi è un problema.
[Dialogante 1]  Così come ogni volta che pensiamo di averla superata, la conquistata singolarità si biforca.
[Dialogante 2]  La ben nota triade dialettica?
[Dialogante 1]  Lo schema è forse lo stesso, ma gli ingredienti non lo sono e soprattutto non lo è il meccanismo unificante: IMC non è una ‘sintesi’ perché crea un proprio piano di riferimento.
[Dialogante 2]  Non siamo abbastanza esperti da escludere un’omologia o una convergenza.
[Dialogante 1]  In ogni caso IMC non ‘unifica’ ne ‘supera’ gli elementi della dualità; li lascia convivere nella loro diversità culturale, ma su un piano ‘metaculturale’ che ne impedisce lo scontro.
[Dialogante 2]  Il fine dell’operazione è quindi il mantenimento della pace pur preservando le differenze.
[Dialogante 1]  Questo dal punto di vista ‘politico’. Ma lo stesso vale per l’aspetto cognitivo: la terra gira intorno al sole da un punto di vista eliocentrico, non avrebbe senso affermarlo da un punto di vista geocentrico.
[Dialogante 2]  Non è che gli antichi avessero torto, ne che i copernicani avrebbero ragione. La ragione è di chiunque sappia pensare e dichiari presupposti del suo pensiero.
[Dialogante 1]  Quante morti premature gli uomini avrebbero risparmiato semplicemente adottando questo tipo di relativismo!
[Dialogante 2]  Che toglie assolutezza a chi pretende di averla in assoluto (in UMC)…
[Dialogante 1]  … e la concede a chi accetta di circoscriverla localmente (entro UCL dichiarati).
[Dialogante 2]  Purtroppo solo pochi accettano che la verità abbia un luogo…
[Dialogante 1]  … e preferiscono diluirla in UMC senza avvedersi che una verità diluita all’infinito non è più rintracciabile…
[Dialogante 2]  … perché la verità stessa è un luogo.

giovedì 5 febbraio 2015

Tratta XXX.5 – La fede spiega tutto



[Dialogante 1]  Credo che nei ragionamenti appena fatti, abbiamo trascurato una cosa importante.
[Dialogante 2]  Quale?
[Dialogante 1]  Che introducendo come elemento unificante il concetto di ‘movimento’ abbiamo anche introdotto il fattore tempo, di cui tuttavia non abbiamo parlato.
[Dialogante 2]  Pensi che questo fattore potrebbe risollevare le sorti del ‘disegno intelligente’?
[Dialogante 1]  Vediamo. La parola ‘disegno’, come anche nell’uso comune, non significa solo uno stato di cose (per esempio un insieme di tratti su un foglio) ma anche un progetto da realizzarsi nel tempo.
[Dialogante 2]  E così anche il ‘disegno intelligente’ andrebbe inteso in senso potenziale…
[Dialogante 1]  … magari neppure percepibile allo stato attuale, ma evidente solo in un futuro ancora lontanissimo.
[Dialogante 2]  Una tale interpretazione presuppone un atteggiamento mentale che non abbiamo voluto prendere in considerazione: la fede spiega tutto pur non spiegando nulla.
[Dialogante 1]  Con la fede non si discute. Ma, dal momento che il ‘disegno intelligente’ si offre alla mente almeno come ‘ipotesi’ da considerare razionalmente, siamo autorizzati a escludere la fede come elemento probatorio.
[Dialogante 2]  Ed eccoci ancora alle prese con una dualità: ‘fede e ragione’, fides et ratio, come dice il Vaticano…
[Dialogante 1]  … che comunque avverte il pericolo e crede di superarlo rafforzando al massimo la congiunzione – un trucco linguistico rivestito proditoriamente di ontologia.
[Dialogante 2]  Forse non lo crede neppure, perché basta che altri – possibilmente molti altri – lo credano.
[Dialogante 1]  Per noi il problema è ora: come superare anche questa dualità?
[Dialogante 2]  Ma perché superarla? Non potremmo conviverci?
[Dialogante 1]  Forse, ma a certe condizioni.

mercoledì 4 febbraio 2015

Tratta XXX.4 – Mobilità del vivente



[Dialogante 2]  Il tuo ragionamento va probabilmente molto oltre ciò che i suoi fautori intendono per ‘disegno intelligente’. Mantiene tuttavia una dualità difficilmente accettabile: quella tra ‘materia’ e ‘intelligenza’, molto simile a quella ben nota tra ‘materia’ e ‘spirito’.
[Dialogante 1]  Una qualche dualità bisognerà pure ammetterla per non restare paralizzati nell’Uno-Tutto.
[Dialogante 2]  Basterebbe tuttavia attribuire alla materia la qualità del ‘movimento’ che il dualismo sarebbe superato.
[Dialogante 1]  La materia stessa potrebbe essere definita come ciò che si muove, e ingloberebbe anche l’altro termine ‘spirito’ o ‘intelligenza’ che sia.
La prima manifestazione dell’intelligenza potrebbe essere infatti il movimento di un’ameba nell’atto di fagocitare un pezzetto di materia.
[Dialogante 2]  Resterebbe però sempre l’opposizione tra la mobilità del vivente – qui l’ameba – , e l’inerzia della materia fagocitata.
[Dialogante 1]  Ma quale inerzia? Le particelle che compongono la materia sono in continuo, forsennato movimento. Non solo, ma in perenne trasformazione l’una nell’altra. Anche da ‘materia’ a ‘energia’.
[Dialogante 2]  E l’energia non sapremmo da che parte classificarla: da quella della ‘materia’ o da quella immateriale dello ‘spirito’.
[Dialogante 1]  Comunque dalla parte del movimento.
[Dialogante 2]  Ed eccoci di nuovo a ‘ciò che si muove’, alla ‘materia’. Pensi di aver dimostrato nel concetto eracliteo di movimento l’identità di ‘materia’ e ‘intelligenza’?
[Dialogante 1]  Come già detto l’altra volta, non so bene che cosa significa ‘dimostrare’. Mi basta ‘mostrare’. Il ricevente deciderà poi se del ‘mostrare’ farà un ‘dimostrare’.
 [Dialogante 2]  In filosofia non riusciamo ad andare oltre Parmenide ed Eraclito.
[Dialogante 1]  Una delle due: o siamo troppo limitati noi, o quei due hanno conosciuto il limite della conoscenza.
[Dialogante 2]  Preferisco la seconda che hai detto, perché quei limiti sono anche quelli di IMC.