mercoledì 19 gennaio 2011

11. La fonicità


−Una volta che ci si sia accordati sul significato del termine fonicità, mi sembra che il discorso possa essere assai simile a quello per ritmo.
−Cioè? Cosa proponi?
−Per fonicità intenderei qualcosa come il sound in musica: il sound di un’orchestra classica, di una band, di un complesso folclorico ecc; il suono di un verso di Dante o di Ariosto.
−Ma nel caso di testi letti in silenzio?
−Siamo ugualmente in grado di percepire il suono. Per esempio Leopardi chiude il suo Passero solitario con la rima interna:
Ahi, pentirommi, e spesso,
ma sconsolato volgerommi indietro.
Molti la ritengono goffa e pesante, altri assai efficace per rendere lo stato d’animo del poeta.
−Sicché non si parlerà di una fonicità buona e di una cattiva, se non riferita a un dato progetto espressivo.
−Gli uomini –e le donne– ci tengono troppo alla loro facoltà giudicante per astenersene o anche solo per farne un uso moderato.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Una domanda che mi pongo è? Beethoven con la sordità, perse totalmente l'esperienza della fonicità? Non si tratta tanto di cercare di capire quanto fosse sordo, ammettiamo che lo fosse del tutto, ma in fondo un compositore che siede alla sua scrivania senza possibilità di verificare i suoni che sta scrivendo è forse meno sordo? E'plausibile che attingesse a una memoria della fonicità, una memoria dei suoni...ma come sono i suoni nel loro ricordo?E' evidente che il ricordo di un suono, qualsiasi cosa sia, rimane un'operazione che si svolge nei confini del corpo di chi ricorda.provando a pensare a dei suoni da ricordare, per esempio quello della tromba, mi accorgo che il ricordo di un suono è un suono molto più lieve.... e tutto sommato penso: meno male! Matteo

Anonimo ha detto...

io aggiungerei il parlato = fonicità, perchè cosi alto?
cultura di base?
paura di passare inosservati?
urla + forte e avrai il potere?
paura che gli altri siano tutti sordi?
walter

Rigobaldo ha detto...

Entrambi mi avete fatto pensare.

Spesso ti ronzano in testa percezioni che spaziano nell'intervallo che va dal suono vero e proprio fino al ricordo del suono. Vero che non abbiamo parole per riconoscere i gradi che vi intercorrono, ma ci sono i gradi, e come!

E mi viene da pensare, l'unico modo plausibile di ricostruire che caspituccia gli passassi a Beethoven dalla testa consiste forse nell'osservare cosa passa dalla testa al più normalissimo uomo.

Il tono col quale si parla è fortemente culturale. Esperienza tipo di spagnolo che va in Sudamerica e parla 'come in Spagna normalmente si parla': prima o poi qualcuno viene e chiede, 'ma Lei, come mai è così teso, così adirato? si rende conto che ci sta aggredendo?'

Altrettanto vale per l'interazione tra fonicità, cioè per l'occupazione dello spazio fonico altrui. Aspetta che gli altri finiscano i loro interventi prima di iniziare il tuo, e in molte conversazioni o incontri mediterranei non riuscirai mai a dire una singola parola. Per il comune finlandese, invece, che qualcun'altro intervenga prima che il riverbero delle sue parole si sia estinto, ha una valenza quasi di aggressione fisica. E così via ...

Concludo che probabilmente le uniche regole 'valide' per l'impiego della fonicità consistano nell'osservare gli altri - e nel contempo ascoltarci.

(Mi sa che fonicità e rarità si fondono perfettamente quando ascoltiamo la nostra voce ripresa in una registrazione).

Cordialità,