venerdì 7 gennaio 2011

5.L'espressione


−Cerchiamo di rimanere in tema. Le parole meritano di essere trattate con cura già per quello che sono –forse la più straordinaria ‘invenzione’ biologica– sia per l’uso che ne facciamo.
−Dì piuttosto ‘gli usi’, giacché sono molti, ma non tutti ugualmente meritevoli.
−Forse in effetti, non è questione di ‘merito’ ma di appropriatezza. Un’espressione, appropriata in una certa situazione, non lo è più in un’altra.
−Ovvio, e allora quali sono i modi espressivi più adatti ai postini?
−Non credo vi sia una categoria di modi “più adatti”. Perché i postini funzionino –cioè soddisfino le aspettative dei destinatari–, è sufficiente che l’espressione, quale che sia l’argomento, sia capace di suscitare l’interesse anche del visitatore distratto, e di mantenerlo per un certo tratto.
−E come si fa a mantenerlo?
−È qui che entra in gioco la ‘tecnica’ espressiva. Ogni cellula dell’espressione, dalle frasi ai suoi costituenti (sostantivi, verbo, aggettivi ecc.), partecipa a questa ‘accensione di interesse’ (ché, per mantenersi, è come dovesse essere riacceso ogni istante) e di conseguenza deve farsi oggetto di cura permanente.
−Questo può andar bene per le dimensioni dei nostri postini, una simile tensione non credo possa essere mantenuta per un racconto più lungo, un romanzo, un poema.
−Stiamo parlando dei postini, comunque, per quel che ne so, cambiano le unità relative ai vari livelli considerati –una parola, una frase, un capoverso, un capitolo ...– ma il criterio compositivo non cambia.
−Sicché scrivere postini e come scrivere romanzi?
−Assolutamente no. Non ho mai scritto romanzi, ma penso che, seppure la composizione richiede criteri analoghi, un conto sia applicarli alle dimensioni dei postini, un conto a quelle di un romanzo, dove la più piccola delle unità si scompone a sua volta in sottounità capaci di più postini.
−E ciascuna di queste richiede la stessa cura e attenzione?
−Credo di sì, anche se spalmata su un numero più grande di pagine.

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