domenica 19 settembre 2010

Capitale, capitalizzazione, capitalismo



Continuo a seguire l'esortazione a scrivere che mi ripete Boris regolarmente. Come la volta scorsa, ho esposto delle idee ispirate al suo pensiero nella pagina web di Federico Mayor Zaragoza, ex-presidente dell’Unesco e attuale presidente della Fundación Cultura de Paz, convergente con il messaggio ormai pluridecennale di Boris e del Centro Metaculturale.

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Sempre di più sto trovando in tanti interlocutori una resistenza a parlare di “capitale umano” e simili. L’ho condivisa parecchi anni. Difatti, sembrerebbe che tutto ciò che gira attorno alla parola “capitale”, anche se l’addobbiamo con aggettivi più o meno nobilitanti, sia mercificato, reificato, ridotto alla bassa condizione di merce che si compra e si vende, si valuta e si svaluta …

Dopo averne parlato con Boris penso invece che sia possibile proporre un’altra prospettiva.

La proposta sarebbe: consideriamo il 'capitale' come un fatto puramente fisico. Lo si trova in natura. Un genus cumula del capitale genetico, differenziandosi in specie diverse, man mano che la danza tra influenze esterne e mutazioni genetiche consolida capacità e prestazioni che non esistevano prima. Un ecosistema cumula biocapitale, man mano che diventa più ricco e complesso, rendendo più densa la rete dei suoi rapporti interni, creando interdipendenze che producono un valore aggiunto, in termini di resistenza, di stabilità …

Leggere di più ... Anziché parlare di un sostantivo, 'capitale', forse sarebbe più chiaro parlare di un processo, 'capitalizzazione', inteso come accumulo organizzato delle risorse al quale l'organizzazione apporta delle proprietà emergenti che non esistevano quando quelle risorse non arrivavano ancora a una soglia minima. Tendiamo ad assegnare ai sostantivi ‘statici’ un peso quasi definitivo, come se fossero oggetti tangibili. Ancor di più quando questo sostantivo, dai lavori di Karl Marx in avanti, è stato oggetto di veementi discussioni. Ma questo approccio rende rigido l’ipotetico oggetto, e potrebbe portare a malintesi. I sostantivi ‘dinamici’, che parlano di un processo ('capitalizzazione', come 'costruzione' o 'rivendicazione'), non presentano quel medesimo rischio. Dietro al sostantivo dinamico si trova etimologicamente il verbo 'capitalizzare', e i verbi ci avvicinano a tutto ciò che si trova in flusso permanente.

Quando passiamo dalla physis al mondo specificamente umano della cultura (meglio ancora, delle culture), continuiamo a trovare la 'capitalizzazione' in altre dimensioni. Certamente l’invenzione più sofisticata della storia, la scrittura, ha permesso di avviare la 'capitalizzazione' della conoscenza, ormai da diversi millenni. In un certo momento della storia, la 'capitalizzazione' degli eccedenti nell'agricoltura e nell’allevamento ha permesso di creare forme di organizzazione sociale che andavano oltre le capacità delle tribù di cacciatori-raccoglitori, dove ciascun membro doveva lavorare per la propria sussistenza. Già in quel frangente il processo di capitalizzazione ha dimostrato che poteva portare a ben diversi esiti: ha permesso che apparissero gli scribi e gli astronomi, ma anche i militari e i sacerdoti.

Con lo sviluppo delle società moderne e in specie con l’enorme accelerazione indotta dalla rivoluzione industriale, la 'capitalizzazione' prende per la prima volta una strada decisamente pericolosa, e viene utilizzata da alcuni gruppi per consolidare le proprie posizioni di dominanza, e per spingerle fino a limiti assurdi e in ultima istanza pericolosi per la specie, se non per il pianeta. Quella strumentalizzazione interessata dei processi di capitalizzazione ha reso possibili i moderni eserciti di distruzione – ha reso possibili il produttivismo e il consumismo che stanno divorando la terra. I suoi gestori hanno disattivato in modo artificiale (solo temporaneamente) i cicli di retroalimentazione (“feedback” negativo) che li avrebbero potuto stabilizzare. Così, la capitalizzazione senza controllo ha partorito veri mostri. Insieme alla virtualizzazione (finanziaria, informatica ecc.), la quale ha allontanato le leve del potere dal loro supporto fisico, ha generato gli assurdi del mondo contemporaneo. Quando nei prolegomeni della crisi attuale i servi del potere chiedevano fondi pubblici per salvare i giganti finanziari irrimediabilmente malati, argomentavano che essi erano “too big to fail”, troppo grandi per permettere il loro crollo. Qualche vocina critica rispondeva, “se qualcosa è troppo grande per lasciarlo crollare, non sarà che, in realtà, è troppo grande per permettere che esista?”

Vi si intravede lo zampino delle ideologie. 'Idea' e 'ideologia' differiscono poco o nulla nel loro contenuto nominale. Differiscono invece molto nel modo di operare all’interno delle culture. L’ 'idea' propone se stessa con maggior o minore originalità, con più o meno dati che la sostengano … ma sempre da un’ottica relativa, accettando a priori la sua parità con altre idee. Naturalmente, i meccanismi di discussione della società civile, e soprattutto l’evidenza dei fatti, andranno assegnando poco per volta priorità ad alcune idee, in confronto ad altre. 'Idee', in questa visione aperta, sarebbero pure le ipotesi e le teorie, che seguono un ciclo vitale di nascita, progressiva accettazione, e superamento da parte di nuove e successive ipotesi.

L’ 'ideologia', invece, è l’ 'idea' che abbandona quello status relativo, affermando sé stessa in modo assoluto, escludendo tutte le altre. L’ 'ideologia', per propria natura, esige supremazia, poiché non può ammettere nessun confronto relativo. Deve annichilare ed escludere ogni altra ideologia, ogni altra idea, oppure fagocitarle, assolutizzandole, per incorporarle alla propria struttura.

Questo relativismo dell’ 'idea' non è una proprietà da poco: disattiva l’aggressività nelle persone che veramente lo fanno proprio. Nessuno ha dato uno schiaffo per difendere la geometria euclidea – non era necessario, poiché si difendeva da sola, all’interno del proprio universo culturale. Anche se più avanti è stata incruentamente ‘sconfitta’ nell’universo culturale della geometria riemanniana. Sono stati invece commessi crimini orrendi per affermare la supremazia delle 'ideologie'. La loro affermazione assoluta calpesta tutto – potremmo dire che esige calpestare tutto ciò che non gli si sottomette, tutto ciò che osa affermare la propria indipendenza. Infatti basterebbe un soffio di relativismo per finirla con un’ideologia, ridimensionandola all’inoffensivo status di idea. Non lo può permettere, quindi.

Il 'capitalismo' è un esempio eccellente di ideologia – probabilmente, l’ideologia più pericolosa della storia. Il capitalismo ha acquisito quella pericolosità estrema perché non ha esitato a cavalcare per i propri fini le proprietà emergenti del processo di capitalizzazione, la capacità di arrivare a dei livelli e delle concentrazioni di potere senza precedenti nella storia umana. Lo sviluppo tecnologico gli ha permesso di disinnescare –temporaneamente, sottolineo– i cicli spontanei di retroalimentazione negativa che nel passato avevano reso impossibili accumuli di tale portata. Il capitalismo ha divorato persino le discussioni, inizialmente emancipatrici, che erano state avviate da Marx e Engels – ha deformato gli esperimenti sociali alternativi, li ha sclerotizzati in ideologie altrettanto assolutiste, in 'capitalismi di Stato', in produttivismi scadenti che avevano bacato il comunismo già molto prima del suo crollo finale. Oggi, la bomba continua a gonfiarsi: affermando instancabilmente attraverso le sue mille voci che è l'unica via, che solo in lei c’è crescita e prosperità e futuro e salvezza … Forse suona familiare? Peccato che l’evidenza lo contraddica – in esso c’è solo morte, perché la crescita costante dei consumi in un pianeta con risorse finite può soltanto portare al disastro; perché la crescita costante delle diseguaglianze, incrementando la già notevole aggressività della specie, può soltanto avvicinarlo.

Il capitalismo ha inquinato tutto. Ovviamente ha contaminato il linguaggio e la comunicazione. Con uno dei suoi voraci tentacoli si è impadronito pure del sostantivo 'capitale'. Con il suo totalitarismo assolutizzante, il 'capitalismo' (ideologia, ripeto), dichiara trionfante, “il capitale è mio”. Altrimenti detto: “il capitale può essere utilizzato soltanto all’interno del capitalismo, è la sua origine e la sua creatura, il suo padre e il suo figlio”. Mentendo … assolutamente. Il capitale (oggetto neutro) esisteva molto prima di essere sequestrato dal capitalismo. E potrebbe continuare ad esistere dopo, a seconda di quali siano le dimensioni della crisi finale del tardocapitalismo. Se in quel futuro sempre più vicino continueranno ad esserci uomini, riprenderanno ad accumulare capitale umano (sperando che abbiano imparato dalla tragica esperienza precedente).

Molte persone sane, profondamente irritate e angosciate dal capitalismo, reagiscono con un rifiuto frontale a tutto ciò che quest’ideologia ha inquinato, incluso il sostantivo 'capitale'. Ovviamente condivido l’essenza di quel rifiuto. Ma possiamo proporre un’alternativa, come questo oblò e molte altri voci stanno proponendo con
sempre maggior insistenza. Un’alternativa non ideologica (se qualcosa ci hanno insegnato gli sfortunati esperimenti comunisti, è che un’ideologia non si può combattere con un’altra ideologia di segno 'contrario' *). Un’alternativa che vada al di là del capitalismo, al di là del confronto tra culture nel quale il capitalismo prospera.

Il recupero e ripristino del linguaggio sarebbe una delle caratteristiche essenziali della rivendicazione non ideologica. Recuperiamo la parola 'capitale', e soprattutto 'capitalizzazione'. È possibile convivere con il capitale – è possibile utilizzarlo in modo umanistico, in modo che affermi la vita. Le nostre reti sociali sono un capitale. Le nostre conoscenze ed esperienze, pure. La nostra capacità di comunicare, naturalmente. La società sana è una grande accumulatrice di capitale –per definizione, è quella forma di organizzazione che va molto al di là della somma degli individui che la costituiscono. L’idea del 'progresso' (sì, fu in un tempo lontano un’idea, prima che il capitalismo la ingoiasse, trasformandola in ideologia) affermava appunto che 'capitalizzando' i nostri contributi individuali avremmo creato un mondo migliore. Cambiamo approccio: il nostro problema non è il capitale. Il nostro problema risiede nel come si utilizza il capitale, nel come abbiamo abbandonato il campo all’ideologia che lo strumentalizza, nel come abbiamo permesso che venissero imprudentemente disattivati i cicli di retroalimentazione stabilizzante.

Vorrei pensare che ogni atto in favore della pace stia contribuendo a creare un 'capitale di pace'. Insieme stiamo capitalizzando le nostre buone volontà, le nostre intelligenze, le nostre convinzioni (persino le nostre insofferenze e i nostri rifiuti, come quelli di cui abbiamo parlato). Continuiamo ad aggiungervi dei granelli. Forse emergeranno da quel capitale delle proprietà che fermeranno il mostro che ci sta rubando il futuro. Se diamo retta al registro geologico, la vita ha saputo contrastare altre minacce pesanti. Un altro mondo è possibile – un mondo dove nessuna cultura, nessuna idea vogliono affermarsi come assolute, dove tutte hanno imparato a considerarsi relative.


* Lucidamente, Pier Paolo Pasolini diceva già negli anni Sessanta che ogni potere è di destra, in quanto potere. Tradotto nel linguaggio di oggi, si potrebbe dire che tutte le ideologie sono convergenti, in quanto ideologie.

1 commento:

la piccola ha detto...

http://www.youtube.com/watch?v=30BdltPUJFc&feature=related