als selbstbezogenes Zeichen. solo come segno autoreferente.
La poesia è intitolata ovvietà. Ovvietà per chi? Che vuol dire ovvio?

Esperimento esploratorio e informale, ormai con otto anni e mezzo (dal 9.2.2009) e più milleduecento post alle spalle. Navigazione assaporando tutte le diversità. Obiettivo: pensare il mondo di oggi. Qui Boris Porena, con l'aiuto di un gruppo di amici, allunga le metaculturali antenne attraverso un diario aperto ...
« Credo che la gente –e non soltanto i giovani– consumi il tempo cercando fuori di sé risposte al proprio senso di disagio. Non abbiamo più tempo da dedicare a noi stessi, forse per paura o per negligenza. Per conto mio, mi sforzo di intrattenermi con me stesso, di nutrire un dialogo interiore che abbia come motore la speranza. La speranza è la mia fonte di energia. Una fiaba di Tagore parla di questa ricerca della pietra filosofale. […] Un uomo, dice Tagore, dopo diversi anni passati nella meditazione e nell’ascesi, parte in cerca della Verità, di quella pietra filosofale, dell’essenza dell’essere. Lungo il cammino incontra un sapiente e gli chiede “dove trovarle?” Il sapiente non sa, ma lo indirizza presso un eremita che sta in cima ad una montagna, distante sei lune di cammino. L’eremita a sua volta gli dice di cercare ancora, e lo manda nella foresta, dove non trova niente. Quell’uomo consuma tutta la sua vita nella vana ricerca della pietra. Stanco, rinuncia a cercare e si siede in riva al mare. Un fanciullo che stava giocando gli si avvicina e gli domanda il motivo della sua tristezza: “Sono in cerca della verità e ancora non l’ho trovata. Ho percorso montagne e foreste, ho incontrato sapienti eppure ancora non so nulla” - risponde l’uomo. “È qui” - dice il fanciullo, mostrandogli il cuore ».
Dissi a una bambina: 'quanti anni hai?'
Mi rispose, 'sette'.
Dissi io di nuovo, 'e dove li hai?'.
Di nuovo mi rispose, 'lo sa il tempo'.
Ideolojía, 4056
'Giochiamo a scambiarci i nomi?' ascoltai dire a una bambina che stava giocando con un'altra.
- Sì, diciamo che io mi chiamavo Eleonora.
- Vabbene, Eleonora, diciamo che io, Consolata. Tu eri venuta a trovarmi ed io ero tanto stanca. Perché non te ne vai?
Ideolojía, 4061
Gregory Bateson, insieme a Boris Porena, è stato uno dei pensatori che hanno maggiormente influenzato la mia formazione. Non in alcuni aspetti, ma alle fondamenta.Bateson, che non ho mai conosciuto personalmente, e Porena, che ho incontrato una trentina di anni fa e continuo a frequentare -il primo antropologo, sociologo, linguista; il secondo musicista, compositore, filosofo della cultura-, sono accomunati dallo stesso profondo interesse: indagare le premesse epistemologiche che guidano la nostra vita, e mettono a rischio la nostra stessa sopravvivenza su questo pianeta.
Negli anni ’50, Bateson, con le famose ricerche sulla schizofrenia e sul doppio legame, con le nuove concezioni di circolarità e retroazione, ha aperto le danze all’approccio relazionale-sistemico, alla terapia famigliare, alla pragmatica della comunicazione umana, e in ultimo alla programmazione neuro-linguistica.
Porena, a partire dal libro Musica e Società negli anni sessanta, in trent’anni e più di ricerche sulla pratica compositiva di base con bambini e adulti, ha rivoluzionato il modo di pensare alla musica e alla pedagogia musicale, allargando via via il campo di indagine ad altre pratiche e discipline, come il disegno, il corpo-movimento, il linguaggio verbale, la matematica ecc. Giungendo infine a formulare un’ipotesi, che è diventata centrale in tutto il suo pensiero: l’ipotesi metaculturale, con il circuito autogenerativo come strumento di lavoro. Boris Porena, all’epoca, non conosceva Bateson. Ma perviene ad una visione del mondo assai simile."
Come alcuni di voi probabilmente sapranno, da molti anni –circa trenta– accanto all’attività di compositore mi sono occupato con pari impegno di formazione generale e delle necessarie premesse filosofiche e epistemologiche. Le risultanze di queste ricerche –condotte in gran parte con il Centro di ricerca e sperimentazione Metaculturale (CMC)– non sono purtroppo ancora pubblicate, salvo sporadiche eccezioni, per la mia inettitudine in tutto ciò che non attiene propriamente al mio lavoro.
Per ovviare a questa inettitudine alcuni gruppi di amici volenterosi hanno deciso di prendersi cura di tutto ciò che mi è capitato di fare in tanti anni di attività. Già nel 2003, proprio qui a Genova, Giorgio De Martino, Patrizia Conti ed Edoardo Lattes hanno pubblicato per la casa editrice Zecchini un volume documentario-critico, l’Utopia possibile, che molto efficacemente inquadra la mia opera di compositore nella più ampia cornice dei mie interessi culturali e metaculturali.
Da qualche mese un secondo gruppo, composto da Claude Cazalè-Berard, Alessandro, Oliver e Fernando, ha preso la decisione di informatizzare il tutto e di curarne la diffusione in rete. Attualmente è in funzione un blog (Il Blog di Boris Porena), che mi sembra assai vivace e interessante.
Questo perché non è incentrato sulla mia persona –non è cioè un blog propagandistico– ma vorrei dire che la prende a pretesto per proporre una discussione aperta sui più diversi argomenti che si offrono oggi alla nostra preoccupata attenzione; dall’ecologia alla sopravivenza, dalla ragione alla teologia, dall’elezione di Obama al concetto di libertà. Spesso questi argomenti sono introdotti da un mio breve testo con funzione, non certo esplicativa, ma di semplice avvio alla discussione. Ancora più spesso l’avvio è dato da citazioni di autori ben noti: Marx, Pasolini, Ungaretti, Thomas Mann, Latouche, Vigée ecc. Il discorso che si sviluppa on line da questi più o meno illustri incipit è non di rado assai ricco e interessante, anche se mi piacerebbe vi fossero coinvolte più persone. Ma, mi dicono, i tempi di diffusione di un discorso on line sono piuttosto lunghi e quanto sin qui raggiunto testimonia già di un buon funzionamento. Stiamo anche collegandoci con altri movimenti e iniziative come la Decrescita felice di Maurizio Pallante, oltre naturalmente il CMC.
Per quanto mi riguarda, confesso la mia pressoché totale estraneità al mondo di Internet e dei computer, cosicché anche nel caso che mi riguarda non posso che restare a guardare ciò che altri fanno per me. Ciononostante e nonostante il mio sopravvenuto divorzio dalla musica, conto di fare inserire nel blog qualche spunto musicale. Prego gli amici musicisti di Genova di intervenire in quell’occasione anche per riaccendere nei più giovani l’interesse per ogni tipo di musica oltre il pop e il rock. Ci si può campare per più di ottant’anni.
Un affettuoso saluto a tutti e a risentirci presto.
Boris Porena
Cantalupo in Sabina, 30-01-09
Mettere in discussione il nostro modo di pensare sembra l’unico approccio possibile in un mondo di assurdi. Porsi in maniera problematica di fronte a ciò che diamo per scontato, confrontando visioni diverse della realtà, permette di comprendere meglio il nostro modo di riflettere ed agire. Se penso criticamente, se esco da un punto di vista assoluto, se vado oltre la superficie dei fatti posso capire meglio ed esprimermi più efficacemente.
Usciamo di casa ogni mattino sicuri delle nostre ragioni, impazienti di dare una scossa a tutti, di risvegliarli davanti ai disastri ambientali, di convincerli a cambiare comportamenti … e troviamo parecchie persone -increduli, scettici, addirittura oppositori- che non ci ascoltano. Perché? Forse ci hanno etichettato come “ambientalisti”, “già sentiti”, “utopisti”? Senz’altro ci scontriamo con le loro confortevoli abitudini, con le loro posizioni prese. Ma abbiamo fatto i conti con le nostre? Siamo disposti a riflettere su ciò che diamo per scontato? Sulle nostre modalità di comprensione, di comunicazione?
L’intento è quello di ragionare insieme cercando una comprensione migliore delle cose, aprendo la finestra a nuove idee. Da un po’ di anni abbiamo infatti sviluppato una pratica per farlo.
L’esercizio della pratica culturale di base -per noi prioritaria, anche se supportata da analisi teoriche- si è sviluppata dal 1968 col lavoro di Boris Porena intorno a diverse ‘discipline’ (musica, espressione visiva, didattica ecc.). Oggi ci appare chiaro che la si debba applicare soprattutto alla questione ambientale; nulla al nostro giudizio di più urgente.
Come lavoriamo? Persone di varie estrazioni e competenze ragionano insieme rispettando e valorizzando tutti i contributi. Lo scopo è comporre le riflessioni tra loro (integrarle piuttosto che addizionarle) scambiarsi stimoli che allarghino la visione di un problema.
Le stesse idee ispirano questo intervento: partendo dall’analisi della parola consumo proporremo riflessioni aperte e -ci auguriamo- interattive per scavare dietro l’ utilizzo consueto e magari capirci qualcosa in più. Non possediamo delle verità assolute, anzi, non le cerchiamo.
Da consumo deriva consumismo, connotato negativamente. Per il semplice fatto di vivere qui ed ora, usare una macchina, scaldarci, nutrirci, nel consumismo ci siamo dentro fino al collo. Questa constatazione potrebbe demoralizzare, farci sentire incapaci di sfuggire a questo ciclo, persino un po’ ipocriti.
Ma prima di deprimerci, proviamo a capire meglio.
C’è un solo tipo di consumo?
Tutti noi parliamo del consumo materiale, ovvero quello in cui l’oggetto consumato sparisce (cioè si trasforma), visto come chiaramente distruttivo. Il consumo di oggetti, spesso di vita breve nonostante il riciclaggio, incide irreversibilmente sulle risorse primarie. Tuttavia ci sono anche consumi materiali nei quali vediamo una componente costruttiva determinante: quelli necessari alla vita, al suo sostentamento. Un bruco che rode una foglia non consuma l’albero, almeno fin quando questo è in grado di rigenerarla.
Rimanendo nel campo materiale, possiamo scorgere differenze tra consumi tangibili o intangibili ai nostri sensi. Molto più facile percepire il consumo di un panettone che quello energetico di una lampadina accesa. La nostra comprensione sembra assai condizionata dalle percezioni dirette: riusciamo ad apprezzare meglio ciò che si vede e si tocca, a dargli il giusto valore.
Valutare razionalmente un atto di consumo può dunque risultare complesso: esso è spesso pieno di implicazioni soggettive (la mia comodità e/o convenienza) e inoltre le informazioni che ci servirebbero per caratterizzarlo possono essere frammentate, o addirittura assenti. Quanta energia consuma? Che tipo di materie prime ha divorato? Con quale grado di riciclabilità? Che utilità ha per me/per gli altri? (di nuovo la soggettività) E così via.
‘Scegliere bene’ in termini ambientali richiede di integrare molti fattori, senza trascurare le loro interazioni.
Questa complessità non sembra trovare riscontro nel campo dell’economia: ad esempio in un unico parametro (il Prodotto Interno Lordo) si confondono fenomeni assai diversi tra loro, mentre altri vengono trascurati. Che tale semplificazione si sia dimostrata inefficace pare evidente, tuttavia il discorso economico mainstream continua ad essere fortemente autoreferenziale: è da posizioni di questo tipo che nascono molte obiezioni immediate alle nostre proposte di diminuire i consumi.
Se vogliamo essere ascoltati ed incidere in qualche modo sui comportamenti, è consigliabile attuare dei compromessi strategici. Di dubbia utilità ogni condanna generalizzata ai ‘consumisti’: oltre a bloccare la comunicazione, porrebbe semplicisticamente tutti sullo stesso piano.
In ogni caso sembra importante mantenere aperta la comunicazione: l’obiezione può generarsi da un pensiero di cui dobbiamo ricercare le radici, e servire da spunto per approfondire meglio il problema.
A volte parliamo del consumo di valori, di rapporti consumati … Oltre al consumo materiale può esistere un consumo culturale? Ascoltare mille volte un brano musicale o tappezzare le pareti con infinite copie de della Gioconda sembra diluirne progressivamente il valore. E lo stesso accade anche con una barzelletta: se la sento tre volte non mi farà più ridere, pur essendo di fatto rimasta immutata, e per divertirmi me ne occorrerà una nuova. Allora cosa si è consumato? Davanti ad informazioni non più fresche solitamente reagiamo dicendo “questa è vecchia”, lasciando intendere che nel ‘nuovo’ risieda un qualche valore aggiunto. Contrariamente ciò non accade quando ascoltiamo più e più volte un brano a cui siamo affezionati, oppure quando sentiamo il bisogno di riascoltare più volte perchè la comprensione risulta impegnativa (cosa che a sua volta dipende dalle capacità e dagli interessi di ognuno…)
Dunque ad influenzare la nostra volontà di consumo concorrono molti fattori, tra cui: il valore attribuito a ciò che consumiamo, le informazioni in esso contenute -quanto esse risultino prevedibili-, il nostro interesse, la nostra capacità percettiva, i ricordi che ci evoca… Stimolati da un prodotto ‘nuovo’ o da un prodotto ‘classico’, siamo dilaniati tra la familiarità rassicurante e la ricerca del nuovo ad ogni costo. Quest’ultima può diventare un atteggiamento compulsivo che accomuna molti consumi, includendo quelli materiali.
Proprio questa ‘ricerca del nuovo’ potrebbe identificare un meccanismo comune ai diversi consumi. Tuttavia il fatto che a fronte della varietà di accezioni si utilizzi per tutte una sola parola rivela la scarsa attenzione che la nostra “civiltà” gli ha dedicato.
Niente soluzioni magiche quindi… c’è invece tanto da discutere, da pensare insieme.
Grazie per l’attenzione!