sabato 3 febbraio 2018

Tratta LI.5 (La sestina ipermetra) - Una possibile lettura politica della sonata per pianoforte op. 111 di Ludwig van Beethoven




[Ecco ora, sulla risonanza – in pianissimo – di questo do maggiore conclusivo, levarsi l’altro do maggiore, quello che apre il tema – Adagio, molto semplice e cantabile – dell’Arietta. Le specificazioni che accompagnano il termine Arietta e questo stesso possono apparire laconiche in considerazione dell’oggetto così chiamato, ma non penso che nell’Autore ci fosse un’intenzione del genere. Penso piuttosto che la modestia che traspare da queste parole fosse la più giusta qualificazione del famoso tema, la complessità delle cui conseguenze compositive fosse in un certo senso già contenuta in quella semplicità, come la complessità di un organismo vivente è contenuta nel suo DNA.
A un esame più attento questa semplicità rivela tuttavia alcune particolarità compositive che dispiegheranno la loro potenzialità nei corrispondenti snodi delle variazioni. Così, per esempio la tendenza ad anticipare sui tempi deboli gli accordi dei successivi tempi forti, tendenza manifestatasi in Beethoven già molti anni prima, esplode ora nelle violente sincopi della terza variazione, sincope che qualcuno ha definito jazzistiche pur non avendo queste alcuna affinità con lo stereotipo interpretativo novecentesco. Questo gruppo di tre variazioni col progressivo dimezzamento del valore base e conseguente accelerazione del movimento produce una sovreccitazione ritmica che si oppone alla subitanea stasi della successiva variazione ‘doppia’, tutta basata nella sua prima parte sugli attacchi accordali in sincope nel registro basso, poi sciolti in un uniforme formicolio di biscrome in acuto. Il principio ‘oppositivo’ agisce qui in due forme diverse: come discontinuità degli accordi intermittenti al basso e come continuità delle biscrome in acuto, il tutto in opposizione alla progressiva intensificazione ritmica delle tre prime variazioni. La dialettica dei contrari torna a manifestarsi nella variazione successiva, piuttosto un discostarsi dalla sostanza tematica in una fantasmagoria di trilli fino al separarsi delle due mani agli estremi della tastiera in un attimo di autentica vertigine pianistica, gradualmente ricomposta da un passaggio tematico modulante e riconducente a una ripresa del tema, accompagnato questa volta da un movimento incessante di biscrome che un poco alla volta, nello scintillio di un trillo sovracuto di un tremolo in continuo movimento, ripropone il noto attacco tematico arricchito dall’appoggiatura dell’addio, per dirla con Adorno-Mann. Una rauda scala diatonica discendente e una più volte ripetuta ripercussione dell’intervallo-base chiudono l’estremo saluto della ‘Sonata classica’.]

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