[Dialogante 1] Sarà vero
che stiamo costruendo una tratta tra
democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa? La cosa non sarebbe del
tutto nuova: si conoscono i consigli di fabbrica, i consigli condominiali, i
consigli di classe, d’istituto e di plesso nella scuola, consigli comunali,
provinciali, regionali nell’amministrazione pubblica e così via; per quanto
numerose le persone chiamate a decidere ai vari livelli organizzativi della
società, il numero di coloro che subiscono le decisioni senza parteciparvi è
incomparabilmente maggiore.
[Dialogante 2] È proprio
per avvicinare questi numeri che sono stati inventati i partiti e le elezioni,
dandoci l’illusione di un potere diffuso, effettivamente partecipato.
[Dialogante 1] Se è per
questo, ci sono anche i referendum,
per lo più solo abrogativi, che ti chiedono di dire se una certa cosa non la
vuoi, mai però cosa vorresti invece di quella.
[Dialogante 2] Il ‘no’ è
politicamente asimmetrico rispetto al ‘sì’, ma è anche meno responsabile perché
si limita a cancellare il problema, mentre il sì obbliga ad accettare
integralmente l’offerta comprese le parti eventualmente indesiderate.
[Dialogante 1] E, dato il
significato per lo più abrogativo dei sì, ti costringe a dire ‘no’ quando
vorresti dire ‘sì’ e viceversa.
[Dialogante 2] Chiarissimo!
Si capisce perché molto spesso i referendum così posti non raggiungono il quorum, e anche se lo raggiungono, non
c’è da stare sicuri della sua veridicità.
[Dialogante 1] Che ne
deduci? Che la democrazia partecipativa è irrealizzabile?
[Dialogante 2] No, solo che
i referendum non le appartengono, non per lo meno se servono solo a
‘correggere’ la democrazia rappresentativa.
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