[Data l’impostazione parzialmente
autobiografica di queste annotazioni, mi trovo quasi costretto a inserire la
seguenti parentesi.
Ieri pomeriggio, facendo seguito a una
decisione dell’équipe fisioterapica
che ce la sta mettendo tutta per tirarmi fuori dal torpore –quasi paralisi– che
mi ha colpito alle gambe, ho cambiato l’abituale palestra con una più grande,
provvista di cuscini anticaduta che avrebbero dovuto rassicurarmi nei
movimenti. Io invece ho piantato la classica grana rifiutandomi a tutto ciò che
mi veniva proposto: un rifiuto certo mentale, che però si è espresso con un
irrigidimento di tutto il corpo impedendomi di camminare e, quasi, di muovermi.
Ho chiesto di tornare a casa, ma tutti i presenti, salvo Paola, hanno cercato
di convincermi dell’assurdità di questa richiesta, per loro immotivata. Per me
invece si trattava di riconquistare la mia libertà decisionale, sostituita –ormai
da alcuni mesi– da una decisionalità esterna.]
[Dialogante 1] Mi chiedo
chi o che cosa dovrebbe limitare la complessità della comunicazione umana.
Penso che ogni atto di comunicazione, nella sua infinita complessità, è in
grado di limitare l’infinita complessità di un altro.
[Dialogante 2] Scusa, ma
questa volta non ti capisco: due infiniti che si limitano a vicenda?
[Dialogante 1] E chi
potrebbe farlo sennò? Un’entità finita non può limitare una infinita.
[Dialogante 2] Se non
sbaglio, stai riproponendo con altre parole Def.
3 di IMC*, alius,
l’onnipotenza dell’intelletto umano, capace di neutralizzare l’infinito…
[Dialogante 1] … attraverso
un altro infinito. Tutto questo mi ricorda le –queste sì infinite– discussioni
tra liceali (o anche tra adulti nullafacenti), come tante volte descritte nei
romanzi di Thomas Mann…
[Dialogante 2] … già,
l’intramontabile umore della nostra giovinezza.
* Def. 3 di
IMC: “Data una proposizione p qualsiasi, esiste un universo culturale locale
UCLp dove è vera.”
NdR: l' "ieri pomeriggio" cui Boris si riferisce corrisponde alla primavera 2011 – momento di stesura di questa Tratta.
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