lunedì 17 ottobre 2011

Tre postini sulla senescenza attraverso la tecnologia (i)

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Ecco, ora vorrei servirmi anch'io della metafora dell'invecchiamento (con tutto ciò che di spurio si trascina dietro) e per giunta per basare su di essa una critica ideologica all'attualità che, se fosse un altro a farla, molto probabilmente non l'accetterei.

L’attuale fase della civiltà ominide, salvo piccole oasi relitte, è di palese senescenza, preludente all’estinzione. Il malanno sembra aver colpito indistintamente tutte le culture, da quando si è manifestata la tendenza all’omologazione al solo modello euroamericano. Fino a poco tempo fa questo modello ammetteva due varianti in conflitto tra di loro nella cosiddetta ‘guerra fredda’, oggi risolta con l’estinzione di una delle due. La variante rimasta ha finito per imporsi, se non altro come meta da perseguire, a tutta la popolazione umana. È venuto così a mancare il principale induttore di trasformazione, il confronto con il ‘diverso’, da cui dipende la sopravvivenza di ogni entità biologica, compresa la nostra. Invano tentiamo di conservare artificialmente la diversità, l’omologazione diffusa ci impedisce e la nostra resistenza si fa ogni giorno più debole. E qual’è lo strumento omologante?

La tecnologia, in particolare quella informatica. Molti diranno: “È però innegabile che in molti settori la tecnologia è alla base del miglioramento delle condizioni di vita che un po’ alla volta raggiungerà tutti gli abitanti della terra”.

Sì ma qual’è il prezzo di questo miglioramento? Non starò qui a ripetere cose che tutti sappiamo benissimo. Le sappiamo, ma ci rifiutiamo di metterlo in conto quando ne va della nostra comodità. Ma questa comodità non porterà atrofizzazione di certe parti del corpo, per esempio le gambe o le braccia, sempre meno essenziali per spostarsi o per produrre? Forse, ma in tempi così lunghi da non doverci preoccupare nella nostra breve vita. E se questa si allungasse? Se braccia e gambe non dovessero più servirci, perché non dovremmo rimpiangerle?

Una regressione mi spaventa tuttavia, più di quella corporea, tecnicamente dominabile: la regressione della mente, assai più rapida dell’altra. Bastano due o tre generazioni di astensione del pensiero e il cervello dirotta le sue potenzialità verso altri usi come l’accomodamento al pensiero altrui. È accaduto infinite volte: le religioni, le ideologie, le mode attentano di continuo all’autonomia delle menti. Oggi poi la tecnologia informatica corre in aiuto di questi ‘signori del pensiero’: l’omologazione televisiva, pilotata da enormi interessi finanziari, viene accolta passivamente se non con piacere da miliardi di individui che abdicano al proprio cervello per assumerne uno industrializzato. Per qualche tempo alcuni hanno puntato su internet per riscattare il loro pensiero dal servaggio televisivo, ma basta navigare qualche ora in rete per accorgersi di come anche questa sia progressivamente invasa dalla ‘stupidità secondaria’, cioè indotta dai ‘signori del pensiero’, che sarebbe meglio chiamare ‘affossatori delle autonomie mentali’. Dicono che la nostra è una società democratica. Ma di che tipo è una democrazia che inibisce il pensiero individuale solo per l’interesse di pochi, che antepone il guadagno –che unicamente a questo si riduce la cosiddetta ‘crescita economica’– a un effettivo sviluppo delle nostre capacità critiche e propositive. Viviamo, tutti più o meno, in un regime di monopolio del pensiero, tanto quanto lo erano il fascismo di Mussolini, il nazismo di Hitler o il comunismo di Stalin. Non so se questi regimi ammettono delle varianti positive. Non credo. Credo però che la democrazia l’ammetterebbe.

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