mercoledì 29 aprile 2009

Dentro la parola ... crisi:

Il Gruppo di lavoro Rigobaldo colpisce ancora, l'ultimo articolo pubblicato il 17 Aprile sul sito della Decrescita Felice conferma un'attività costante e partecipativa! Invitiamo tutti i nostri amici del Blog a commentare sia qui sia sul sito della Decrescita Felice, gli argomenti sono tanti ed interessanti.

Dentro la Parola ... Crisi:

Crisi d’identità, crisi economica, crisi finanziaria, … crisi di coppia, rapporti in crisi … crisi demografica, crisi creativa, crisi esistenziale. Crisi come momento di difficoltà, o presunto tale. Individuale o collettiva, fisica o emotiva; naturalmente un aspetto influenza l’altro. “Sono in crisi”: espressione comunissima che può derivare anche da piccole difficoltà della vita quotidiana. In essa c’è qualcosa che non va, che ci fa sentire a disagio: da una crisi si vuole uscire, e al più presto.

Gli universi, le società, gli individui sono complessi, e i costituenti di questa complessità non sono coordinati tra loro, cosicché c’è sempre qualche parte dell’uno o dell’altro che è in crisi: una supernova in una galassia, una rivoluzione in una società, un individuo con 40 di febbre.
Localmente considerate le crisi sono quindi situazioni transitorie, dalle quali spesso si esce, in un modo o nell’altro. Se le consideriamo invece nella totalità delle cose, sono probabilmente continue; anche se sono assenti da un luogo , stanno capitando in altri.
Oggi parlando di crisi, è quasi inevitabile un sussulto, una sensazione di angosciante unicità. Ma sfogliando un qualsiasi giornale o libro di storia, la parola ‘crisi’ la troviamo dappertutto: crisi dell’Ancien Régime, crisi della borghesia, delle ideologie, del commercio mondiale, dell’industria tessile in Brianza, del dollaro, dell’acqua …
Ma che vuol dire ‘crisi’ ?

Leggere di più ...
Dal latino crisis, indica un punto di svolta, un cambiamento di rotta in un processo fino a quel punto unidirezionale. Esempio: in una crescita economica ritenuta inarrestabile, un improvviso arresto seguito da inversione. Il lettore avrà capito che l’esempio non è stato scelto a caso.

Sembrerebbe che qualcosa vada in crisi quando non è più come prima: “stavo con Gigi, ora Gigi mi ha lasciato, sono in crisi”. Implicita nel sentirsi in crisi c’è quindi una valutazione positiva dello stato precedente. Nella crisi ci siamo cascati all’improvviso -tante volte ci sono dei segnali, ma non li vogliamo proprio ascoltare. Stiamo male! Vorremmo tornare a com’era prima, o se non è proprio possibile comunque a qualcosa di meglio!

Se avviene un mutamento incontrollato il malessere è inteso come perdita di ciò a cui siamo abituati, e che vorremmo rimanesse uguale. I punti fermi stanno venendo meno, viviamo una situazione di difficoltà, non riusciamo a formulare nuove ipotesi, a riaggiornarci, e rimaniamo legati alla nostra idea che però non trova riscontro nella realtà. “Crisi” sembra legata all’incertezza: una situazione di grande difficoltà ma nel contempo a noi molto chiara, ben definita nell’analisi e nei possibili sviluppi, difficilmente la descriveremmo come crisi.

Nel caso della ‘nostra’ crisi attuale la situazione pare chiara, le voci si levano numerose: così non si può andare avanti, colpa di una finanza scellerata, del liberismo, colpa dei cinesi, delle banche… Soluzioni: ci vogliono più ammortizzatori sociali, incentivi al consumo, bisogna alzare i salari, fare più figli per rimpolpare il sistema previdenziale, creare occupazione, investire sulle infrastrutture per rilanciare il sistema-Paese. Da molte parti si levano soluzioni definitive per uscire dalla crisi. Finalmente. Funzionerà?

Bisogna dare nuova linfa al sistema così come lo conosciamo? Forse stiamo ancora pensando a Gigi!?

nche l’Europa degli anni ‘30 del secolo scorso entrò in crisi e sappiamo come ne uscì: buttiamo due bombe e ricostruiamo. Oggi il mondo intero è in crisi, l’avvertiamo nel nostro stesso modo di pensare, nel nostro vivere quotidiano, e un’uscita analoga a quella di ieri potrebbe non essere auspicabile (ammesso che ieri lo sia stato). E’ difficile, dopo due guerre mondiali come le abbiamo sperimentate a casa nostra e osservate altrove, non essere catastrofisti. Ma la via attraverso la catastrofe non è una strada obbligata. Durante una crisi, un momento di difficoltà, possono esserci atteggiamenti differenti. Ci si omogeneizza, unendosi e coalizzandosi. Si amplifica l’egoismo e si esasperano le differenze tra le diverse parti, essa infatti può anche imbarbarire: “mi hanno privato di qualcosa, adesso che posso averla la ingurgito senza limiti, morte tua vita mia”.

C’è chi dà un’interpretazione positiva, ottimistica al concetto di crisi. Essa produrrebbe una sana sofferenza che fortifica, tempra il carattere, rafforza la determinazione sociale o individuale. In questa visione sarebbe la sofferenza di per sé a migliorare le cose. Allora viva la sofferenza?!

Per quanto ci riguarda essa può avere una componente formativa, ma non di per sé: necessita un momento di riflessione. Non vi è dubbio che una crisi metta alle strette, con le spalle contro al muro, costringendoci a rivedere alcuni punti fermi. Forse solo in queste situazioni riusciamo a mettere in discussione, riesaminare, relativizzare principi e abitudini fino a quel momento indiscutibili.

Un’evoluzione del pensiero dovrebbe svilupparsi proprio in questa direzione, per non giungere a situazioni estreme tentando di uscirne all’ultimo: un giochino piuttosto rischioso. Crisi allora come riconoscimento del continuo mutamento di tutto quanto ci sta attorno, e di noi stessi?

Alla prossima puntata!

Gruppo di lavoro Rigobaldo (Valentina Aveta, Alessandro De Rosa, Francesco De Rosa, Gianfranco De Rosa, Boris Porena, Fernando Sánchez)

lunedì 27 aprile 2009

Ricordi di una città nel cielo ...

Ci segnala la nostra amica Claude Cazalé-Berard un articolo della professoressa Laura Benedetti sul Washington Post che ha fatto il giro della blogosfera, Memories of a Town in the Sky. In questo articolo l'autrice descrive le sue emozioni come aquilana, dalla distanza degli Stati Uniti, nei giorni del recente terremoto.


Lo proponiamo -in versione originale- sottolineando alcuni aspetti che secondo noi sono degni di attenzione. I punti di riferimento che diamo per scontati; il fatto che la realtà venga data per scontata, addirittura non percepita, se non arriva qualche disastro che ce la metta in evidenza; la visione dell'Italia da una realtà lontana come gli USA ...

Sembra che ci rendiamo conto che le cose esistono solo quando ci sconvolgono completamente! Evviva il terremoto, allora? Cosa ne pensate?

venerdì 24 aprile 2009

Salvator mundi


Fin da piccolo suo chiodo fisso era stato salvare il mondo.
Salvarlo da chi?, da che?
Da Dio.
Da un dio prepotente, vendicativo, sempre adirato eppure corruttibile e parziale, capace di condannare intere generazioni per il furto di una mela, o di affogare i popoli della terra salvo un gruppetto di amici suoi disposti ad adularlo senza limiti ...
Un dio che pochi amavano ma di cui tutti avevano paura.
Salvare il mondo ... affare non semplice con un dio di quel genere. Ma non era tanto Dio l’ostacolo da superare. In fin dei conti, le malefatte che gli si attribuivano potevano non essere tutte opera sua. Gli uomini vi avevano certamente la loro parte. Forse la storia della mela non era neppure vera e, quanto al diluvio, vi avevano certo contribuito anche le deità vicine, Baal, Marduk, Ahura Mazda ecc. Leggere di più ...

Ne parlava sempre a tavola, con mamma e papà. Loro però non sapevano bene che dirgli, lui un semplice falegname, lei una donna del popolo, intelligente sì ma senza istruzione. Fu comunque la madre a mandarlo a chiedere consiglio al Sinedrio: “Quelli se ne intendono” gli aveva detto. Lui però si accorse subito che quelli non avevano nessuna intenzione di aiutarlo. E fu così che si ritirò per un lungo periodo di studi e riflessioni. “E’ andato nel deserto” dicevano i genitori agli amici che venivano a cercarlo. Ma lui se ne stava in stanza sua a studiare e riflettere. Sembra che di tanto in tanto venisse un tale, un buon diavolo, a tenergli compagnia. Dopo lungo studiare e riflettere, un bel giorno se ne uscì dalla sua stanza, bello e vigoroso come un dio. “Eureka!” −gridò (aveva anche imparato un po’ di greco)− “sono pronto a salvare il mondo”. “E come farai?” domandarono impauriti i genitori. “Lo vedrete” −fu la risposta− “il mondo vedrà et stupebit” (un po’ di latino lo masticavano tutti nella colonia romana).
Il progetto era stato pensato in tutti i dettagli.
Per prima cosa si trattava di attirare l’attenzione di vasti strati della popolazione e per questo servivano i miracoli. Con l’aiuto di qualche amico −ne aveva una dozzina− non doveva essere difficile farne in un paese abituato a credere nei prodigi di qualsiasi tipo. Serviva poi una capillare attività di predicatore per città e campagne, che però non si limitasse a convincere la gente semplice e illetterata, ma irritasse anche la casta sacerdotale, custode di una ‘verità’ ormai stantia e ammuffita.
Ma il vero colpo di genio fu questo: per fare fuori il vecchio Dio e gli altri suoi pari non c’era che prendere il loro posto e farsi uccidere dagli stessi fedeli, che con quell’atto avrebbero conquistato −questa era la sua convinzione− la loro autonomia.
[Il narratore apre a questo punto una breve parentesi. Quasi duemila anni più tardi ci fu chi rinnovò il tentativo prendendo in prestito una figura ancora più antica, poi sostituendosi ad essa in un Ecce homo crocifisso dalla follia.]
Il piano fu realizzato con scrupolosa precisione. Tutto andò per il meglio. Si trovò anche tra gli amici uno disposto a sacrificare, per i secoli a venire, il suo buon nome nella parte del ‘traditore’. Il clero cadde nella trappola e si pronunciò per la condanna a morte. Per un attimo tutto sembrò naufragare per una energica opposizione dell’esecutivo politico, costretto poi a cedere alla piazza, ormai inconsapevolmente coinvolta nell’astuto piano.
Certo l’esecuzione di quel piano non fu una passeggiata per il kamikaze ante litteram, obbligato a fare i conti con una giustizia crudele e vendicativa (come crudele e vendicativo si era mostrato per secoli il Dio che il libero arbitrio e la volontà di un uomo stavano ora eliminando ...). Le leggi e il costume dell’epoca imponevano un trattamento a cui nessun odierno kamikaze si sottoporrebbe per sua scelta. Lui però ‘sapeva’ e aveva messo in conto ogni cosa fino alla famosa ‘hora nona’.
Factum est. Realizzato il grande progetto. Gott ist tot ... nil factum. Fallito il grande progetto. Abbiamo un nuovo Dio. Anzi, come Lui stesso ha detto, è il Figlio di Dio.
Tradimento! E chi è il traditore? Non certo quel poveretto che, prevedendo come sarebbero andate le cose, si è impiccato. Traditori gli altri undici, o semplicemente incapaci di comprendere − traditori gli uomini, tutti, che hanno rifiutato il più grande dei doni: il dono dell’autonomia?

25-VIII-008

lunedì 20 aprile 2009

Ma la utilizziamo, quest'intelligenza?

Sentiamo quello che Boris pubblicava sull'Unità trentun'anni or sono ...



L’articolo di Zorzoli, pubblicato sull’Unità del 15 giugno [1978] con il titolo "L’intelligenza che utilizziamo", offre buoni motivi di riflessione non solo a chi si occupa di ricerca e programmazione scientifica, ma anche a tutti coloro che lavorano dentro l’attuale crisi culturale e sociale, attenti agli orientamenti evolutivi che in essa si vanno delineando. “L’utilizzazione ottimale di tutta l’intelligenza disponibile” è uno degli obiettivi cui cominciano a tendere le metodologie di ricerca, di programmazione e conseguentemente le didattiche di base che a quelle devono fornire il necessario sostegno. Leggere di più ...

Questo non per acquetare la cattiva coscienza del privilegio con populistica elargizione di cultura e di strumenti culturali né per un astratto ossequio all’idea –all’ideologia– democratica, ma per una spinta trasformazionale inerente allo stesso sistema in cui viviamo e di cui –ci piaccia o meno– siamo parte. Non la benevola disponibilità degli uomini di scienza sta oggi inducendo il “nuovo sviluppo” di cui parla Zorzoli, ma la stessa struttura dei problemi sul tappeto, la loro interna articolazione sociale e il concorso dì competenze che essi reclamano. Scrive Zorzoli che la “meritoria funzione di supplenza” –esercitata dallo scienziato, ma si potrebbe dire dall’intellettuale in genere– “non basta più”; ciò che oggi appare indispensabile è il “coinvolgimento, fin dal momento della definizione degli obiettivi, non solo del mondo scientifico ma anche dei potenziali committenti ed utilizzatori dei prodotti della ricerca stessa (imprenditori, lavoratori e loro organizzazioni, regioni, enti locali ecc.)”, giacché “non esiste un ‘prima’ e un ‘poi’, la soluzione ottimale consistendo nella contemporanea e continua interazione e confronto fra scelte programmatiche nazionali ed elaborazioni dì domanda ed offerta di ricerca nelle sedi specifiche (tecniche, economiche, sociali, istituzionali)”.

Il discorso di Zorzoli, che in qualche modo implica una revisione dei tradizionali ruoli fondati su specifiche competenze, appare accettabile senza grossi traumi per il lettore medio come per lo specialista di un qualche settore produttivo dell"industria, salvo poi scontrarsi con ovvie resistenze nel mondo imprenditoriale e del privilegio, p.es. universitario. Proviamo tuttavia a trasferirlo in un ambito assai diverso, non direttamente legato a fatti economici e per tradizione inteso come “sovrastrutturale”, cioè solo mediatamente partecipe delle trasformazioni sociali. Proviamo a trasferirlo nell’ambito della cultura, patrimonio ‘spirituale’ dell’individuo e della collettività, sede elettiva (anzi ‘eletta’) di processi di rispecchiamento –di ‘sublimazione’– del reale. Prendiamo ad esempio la musica: quanti operatori del settore, quanti musicisti sono oggi disposti, non si dice a deporre ma solo a verificare nel sociale ima delega di rappresentatività che non si sa bene quando e come gli sia stata conferita? Si adducono a difesa di questa rappresentatività le peculiarità tecniche, l’alta specializzazione del discorso musicale, come se tecnica e specializzazione non si siano sviluppati proprio in funzione della rappresentatività o privilegio, a delineare una figura quasi magica di musicista, unico depositario del simbolo musicale e dei suoi modi di organizzazione.

Ma la scienza nei suoi vari rami –dalla fisica alla biologia alle attuali discipline orizzontali (semiotica, cibernetica, teoria dei sistemi)– è forse meno specializzata, meno tecnicamente complessa della musica? Eppure la pressione determinata dall’esigenza di una programmazione a largo concorso di competenze –utilizzante cioè tutti i cervelli disponibili– rende oggi plausibili ipotesi come quella espressa da Zorzoli. L’autogestione della scienza non è più un modello di sviluppo attendibile, così come non lo è l’autogestione dì un qualsiasi settore della cultura, musica compresa. Ma le ipotesi oggi emergenti, fondate sul coinvolgimento, richiedono, per diventare concreti modelli alternativi, una consapevolezza culturale di base non più compatibile con l’immagine –marxianamente classica– di una cultura sovrastrutturale, riflettente (caratteristica probabilmente soltanto della fase matura dell’era borghese-industriale). Esperimenti condotti in varie parti del mondo industrializzato rispondono positivamente alle ipotesi leggibili nelle richieste di partecipazione che la società non si stanca di avanzare a tutti i livelli. Le stesse ricerche di semiotica musicale, addirittura di tecnica compositiva, non sono più attuabili come pura attività di laboratorio, ma reclamano, in connessione con quella, l’utilizzazione sul campo di tutte le capacità analitiche e organizzative di tutte le intelligenze –e sono in numero sempre crescente– che vorranno rendersi disponibili.

In un modello di società che subordina al discorso economico tutti gli altri con vario grado di essenzialità, l’autogestione dei singoli settori della cultura può ancora avere un senso, soprattutto se serve di copertura a chi gestisce il discorso principale; in un modello diverso, fondato sull’integrazione organica ed “ecologica” di tutti i sistemi relazionali e comunicazionali che la società istituisce in sé stessa e con l’ambiente, in un tale modello anche la cultura non potrà che raccordare i suoi più alti livelli di competenza con la base (base analitica e sociale a un tempo) e su questa fondare adeguate metodologie di intervento e di scambio informativo. Il problema è, al solito, politico, un problema su cui si registrano pericolosi ritardi, ma che ancora siamo in tempo ad affrontare dovunque si manifesti, a cominciare dalla scuola.
Raccolto in "Per una pianificazione culturale del territorio", pubblicato dal Gruppo Ricerca Culturale di base Università e Territorio", pp. 91-93, Roma 1978.

martedì 14 aprile 2009

Parabola ' Ruoli '

Appuntamento del lunedì? Questa settimana di martedì...

Proponiamo una delle parabole di Boris in formato audio: Ruoli .





'Gliel'avevano ammazzato proprio sotto casa e lei aveva visto tutto ...'

'... assoluzione per ragionevole dubbio ...'

'... coltivare ogni giorno il suo odio scuro, implacabile, tenere l'assassino prigioniero di quell'odio ...'

mercoledì 8 aprile 2009

Record di ascolti per il Tg1!!!

Corvi venite...



Rimanendo appollaiati batteranno il nuovo record di ascolti??!

lunedì 6 aprile 2009

Parabola ' Terremoto '

6-IV ore 3:32, l’Aquila
Terremoto

Questa notte: qualcuno deve aver urtato il letto, anzi, lo sta muovendo ancora, ma chi? Accendo la luce: non c’è nessuno. Deve essere stato il ‘ terremoto ’. Dopo poco devo essermi riaddormentato.
Alla stessa ora all’Aquila e in chissà quanti paesi dell’Abruzzo le case crollano, la gente muore o perde tutto. Vengo a saperlo la mattina dopo, questa mattina, pochi minuti fa.
Un conto è la notizia di un ‘ terremoto ’, un altro il ‘ terremoto ’. Per me questo non era stato che un lieve ondular del letto, quasi un invito a non interrompere il sonno. L’altra, la notizia, un assalto alla mente che non riesce a vedere un rapporto tra quel blando dondolio e le immagini che la televisione continua a trasmettere: di morte, di desolazione, di smarrimento.
Cose accadute a poche decine di chilometri da casa.
E se ci spostassimo a qualche centinaio o migliaio di chilometri per esempio in Afganistan o nell’Africa centrale o sulle vie percorse dagli emigranti per giungere fino a noi, magari all’Aquila...
Eppure questa sera ci addormenteremo nuovamente nel nostro letto, forse più attenti a percepire il minimo dondolio o il minimo tintinnio dei vetri alle finestre.

Boris Porena

giovedì 2 aprile 2009

Il Centunesimo post...

Il Blog supera oggi i 100 post di attività, ne approfittiamo per ringraziare i nostri lettori che ci seguono e ci sostengono con i loro commenti e le loro idee.

Grazie!
Lo staff del Blog di Boris Porena