venerdì 31 maggio 2013

Ciò che non devi fare

[566]
Il lettore si sarà accorto che questi postini sono quasi tutti costruiti su un medesimo schema: viene affermato, seppure in via ipotetica, qualche cosa. Se ne ricerca una dimostrazione, quanto meno una giustificazione. Infine le si oppone un’affermazione contraria o per lo meno si fa nascere un dubbio.
Perché questa uniformità progettuale, anche se nascosta sotto una variabilità di superficie?
Anzitutto farei bene ad ammettere che una variazione di superficie è alquanto più agevole di una in profondità. Mozart per esempio mantiene spesso i tipi armonici, melodici, formali a lui consueti, e con questi scrive Don Giovanni, Così fan tutte e il Flauto magico, tre oggetti culturali profondamente diversi; Beethoven diversifica le sue Sinfonie sia per linguaggio che per visione del mondo. Al tempo di Bach, anche la diversità è in certo qual modo tipizzante sia esteriormente che nelle intenzionalità espressive. Stravinsky utilizza addirittura linguaggi diversi e di lui si può dire con quale ragione che non si identifica con nessuno o che si identifica con tutti. Nell’assai più modesto caso mio vorrei tacere dell’aspetto musicale e anche di quello letterario, limitando la mia osservazione ai soli postini, di cui  ho già osservato l’uniformità progettuale.
Non è solo la più agevole variabilità di superficie che mi ha indotto a coltivarla di preferenza rispetto a una più approfondita ricerca di altre vie più attente all’essenza. Ci sono anche altre ragioni che vorrei dire di politica educativa –da sempre al centro dei miei interessi– ed è a questa che ho dedicato buona parte dei miei scritti pedagogici e teorici.
Il mondo di oggi tende pericolosamente all’uniformità culturale. Perché dico pericolosamente? Non è un bene che con la diversità diminuiscano anche le occasioni di conflitto?
Non credo sia così. I conflitti nascono più dalla concorrenza, cioè da identiche finalità perseguite con diversa intensità, che da diversità di obiettivi. Questi non solo sono oggi analoghi per tutti e si chiamano genericamente ricchezza e potere; ma anche i mezzi per realizzarli sono suppergiù gli stessi e non tutti hanno il dono della trasparenza. Anzi la maggior parte ha bisogno di leggi ad hoc per rendersi accettabili dalla società. Per queste ragioni l’uniformità degli obiettivi ha come conseguenza l’uniformità dei mezzi e la concorrenza.
  • E a questa uniformità vorresti aggiungerne un’altra, quella dell’opposizione? (Il discorso sembra farsi politico, anzi partitico, ma la sua ambizione è di essere più generale, metapolitico per così dire). Ciò che serve è la diversità, comprendente anche, come caso particolare, l’uniformità.
  • E allora, perché non la usi, questa diversità; è da una vita che vai proponendo sempre la stessa cosa.
  • Alludi a IMC?
  • Non alludo. Constato.
  • È molto difficile non opporre a un’uniformità un’altra uniformità.
    Ci provo, ma non ci riesco.
  • Ma è proprio questo ciò che non devi fare: opporti!

giovedì 30 maggio 2013

Innumerevoli leggende ne parlano…



[565]
Quella che abbiamo narrato non è l’unica leggenda sui postini. Poiché questi sono diffusi presso tutti i popoli, anche le leggende che ne parlano sono innumerevoli. Alcune hanno piuttosto l’aspetto di teorie filosofiche o di credenze religiose, ad esempio l’idealismo; altre si ammantano di rigore scientifico come la psicanalisi o la moderna analisi delle funzioni cerebrali; altre hanno carattere storico-documentario, altre infine ne perseguono lo studio fino ai livelli quantici. La maggior parte di coloro che se ne occupano non accetterà certo di chiamarle ‘leggende’ benché il loro livello di attendibilità non vada molto oltre. In particolare le nozioni che vengono trasmesse ai bambini dalla prima età scolare sono effettivamente piuttosto leggende che dati osservativi. Poco male, si dirà, dopo i dieci anni nessuno crede più ai sette nani. L’adulto crede però ad altre fiabe non meno incredibili, per il semplice fatto che il modello trasmissivo della fiaba si è ormai radicato in lui senza che la scuola o chi per lei si sia presa la briga di neutralizzarlo. Molto di ciò che la scuola insegna conserva il carattere fideistico dei primi ‘dati’ appresi. Ovviamente, non ci sarebbe niente di male se, assieme ai dati, venisse trasmessa anche la cornice ipotetica in cui il dato, ogni dato, si iscrive. Il bambino non può crescere in un universo ipotetico, privo di certezze, anche di quella che nulla vi sia di certo: ne va della sua solidità di individuo, di un corretto sviluppo della sua personalità che, senza punti sicuri di riferimento, rischia di perdersi in un universo isotropo, adirezionale. Ma allora, anziché soccorrerlo con immagini false e improbabili, non allenarlo a una ‘realtà’ probabilistica, unica ‘certezza’ di cui disponiamo. Gli verrebbero risparmiate molte delusioni, molti passi falsi e nel contempo lo vedremmo rafforzarsi nell’accettazione di un mondo privo di appigli che non si trovino in lui stesso. E l’individuo, la personalità forte e solida non può essere quella che si appoggia alla fede e neppure ai fatti, ma è quella che sa farne a meno…
C’è bisogno di personalità solide e forti?           
Non bastano le persone così come sono?

mercoledì 29 maggio 2013

La leggenda dei postini

564
Mi è stato chiesto che origine hanno questi postini. Ecco la risposta.
 La leggenda dei postini
In un sistema planetario molto lontano dal nostro, anzi, neppure appartenente alla nostra galassia, un vecchio pianeta che chiameremo X, attendeva pazientemente che la gigante rossa intorno a cui abitava si decidesse a esplodere in una supernova. X aveva ospitato a lungo la vita, che ora continuava ad accompagnare il declino in forma di nube gassosa, anch’essa animata da moto rotatorio intorno a X.
Giunse finalmente il momento dell’esplosione, da cui si sprigionò un bagliore che dopo miliardi di anni raggiunse i confini dell’universo, risultando visibile anche dalla nostra galassia. Frattanto sulla terra la vita aveva concluso il suo ciclo e si apprestava a iniziarne un altro, per cui tuttavia mancava l’innesco. Le giunse quindi a proposito il bagliore della supernova lontana, che aveva conservato nei molti miliardi dei suoi frammenti il riflesso della vita un tempo trascorsa su X. Questi frammenti, urtando le particelle dell’atmosfera terrestre, si fusero con queste, arricchendole dei loro riflessi. Si venne così a formare un patrimonio di informazioni acquisite del tutto identiche a quelle originali. Sono queste informazioni che a noi appaiono come nubi stagliate contro l’azzurro dell’atmosfera terrestre. La fantasia degli umani ha poi interpretato le nubi come ‘postini’, portatori di messaggi di vita aliena. Ora però resta un dubbio. Poiché il contenuto dei messaggi è identico all’informazione di partenza e noi ci siamo formati su quei contenuti, chi siamo?
Siamo gli abitanti di X o le loro copie?
Oppure siamo ancora i vecchi abitanti della terra che rileggono nelle menti La leggenda dei postini?

martedì 28 maggio 2013

Spuntini

[563]
Riporto qui una serie di ‘spuntini’ (= piccoli spunti), che i lettori potranno, se credono, sviluppare per proprio conto. Non escludo di profittare io stesso di qualcuno di questi ‘spuntini’.
- La rivincita di Croce nel segno di Gramsci
- Il mondo salvato dall’estetica
- Estetica di base
- Un’estetica senza profitto né inquinamento
- Un’estetica fuori
·      dalla concorrenza
·      dalle graduatorie di valore
·      dalla crisi
- Una nuova funzione per l’estetica
- Regola e trasgressione
- Educazione alla consapevolezza
- Logica senza regole
- Critica senza giudizio
- IMC e democrazia

sabato 25 maggio 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (e finalmente xix)


562 (19)
Ho appena pronunciato una bestemmia alle orecchie e non solo dei benpensanti ma anche di coloro che non possono permettersi il lusso di esserlo, e con questi mi scuso, disposto a rinnegare quanto appena detto, se la crisi continuerà ad accanirsi contro di loro. Ma, siccome, nonostante tutto ho ancora fiducia nella mente umana e nella sua capacità di lottare per la sopravvivenza, mi sono lasciato andare all’eccesso del postino n. 561, sicuro che l’eventuale lettore ne coglierà la funzione di stimolo per intensificare un’azione, per ora appena accennata o forse solo immaginata da un ottantaquattrenne utopista.

 – – – – – – – – – – – – – – – – – – –

Chiudo qui quest’altro ciclo di 19 postini, stanco per un verso di un lavoro di cui mi sento sempre meno capace, ma di cui mi illudo che ci sia ancora bisogno, anche se non in questa forma, debolmente letteraria, bensì con ben più energica determinazione fattiva e anche espressiva. Purtroppo però non trovo più l’alveo politico entro cui alloggiarla.

venerdì 24 maggio 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (xviii)




Natura inorganica (2012), di Macoto Murayama
561 (18)
Negli ultimi decenni il Centro Metaculturale si è rivolto principalmente alle questioni epistemologiche e metodologiche di fondo nonché alla loro documentazione, anche divulgativa, riservando gli interventi formativi al mondo degli adulti, insegnanti soprattutto, nei più diversi settori scolastici, ma anche a livello amatoriale, dove si sono registrati risultati sui quali sarà opportuno tornare più in dettaglio.

Vuole l’impostazione culturale della nostra società e, credo, di quasi tutte le altre che nella vita umana venga riservato all’aspetto formativo solo un breve periodo, dopo di ché la vita adulta accantona questo problema, almeno ufficialmente, lasciandolo all’iniziativa privata senza neppure un’adeguata stimolazione. Anche in questo tuttavia è riscontrabile da qualche tempo, da quando cioè il lavoro retribuito è in forte crisi, un sensibile cambiamento. Si moltiplicano le iniziative di autoformazione, il volontariato cerca di riempire i vuoti lasciati dal lavoro che non c’è, l’interesse, e soprattutto dei giovani, si va rivolgendo ad altro che non il guadagno in termini monetari. Il potere economico assiste senza eccessivo entusiasmo a questo lento riappropriarsi, da parte del singolo, del potere decisionale in merito al suo stare al mondo. Gli indizi che ciò stia accadendo sono in effetti ancora deboli e non è certo detto che il mercato e il profitto stiano per cedere a una pressione che, oltretutto, non è riscontrabile dappertutto, ma piuttosto nei paesi colpiti dalla recessione che in quelli emergenti, in forte crescita economica. Tuttavia è nella recessione e non nella crescita che riponiamo oggi la nostra speranza.

giovedì 23 maggio 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (xvii)


560 (17)
Noi del Centro Metaculturale abbiamo concentrato le nostre ricerche –pratiche soprattutto, ma anche teoriche– sul problema formativo: come avviene cioè fin dall’infanzia e nella scuola di base la ‘mutazione’ dalla fase culturale a quella metaculturale nella storia dell’umanità. Non ci nascondiamo però che i risultati finora ottenuti, certamente incoraggianti, hanno tuttavia bisogno di una convalida, la più logica possibile, da parte della scuola, pubblica anzitutto, per evitare qualunque forma di elitarismo o di ghettizzazione. Ma una convalida del genere è ottenibile soltanto con il coinvolgimento politico degli organi dirigenti e questo è a sua volta ottenibile solo con l’assenso politico, che, a causa dell’attuale forma di democrazia, non credo possa essere raggiunto in tempi ragionevoli. Ritornerò con altri postini sul difficile rapporto tra IMC e democrazia. Dobbiamo quindi contentarci, in sede formativa, dei risultati parziali già ottenuti nei decenni passati. Questa limitazione forzata ci ha costretto a spostare la nostra attenzione formativa agli adulti, non sottomessi ai condizionamenti della politica educativa promossa congiuntamente dallo Stato e dalla Chiesa.

mercoledì 22 maggio 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (xvi)



(da Briccone)
559 (16)
L’attacco alla Libia è stato effettuato dai soli paesi ex-colonialisti: dalla Francia innanzitutto e, seppure con funzioni ricognitive, dall’Italia. Questo non potrà non suscitare indignazione nel mondo arabo, anche in quella parte che si è dichiarata avversa a Gheddafi. E i voltafaccia non sono un problema nel panorama politico di oggi e di sempre. I rischi che comporta ogni azione di guerra, non sono un mistero e imporrebbero una prudenza che il protagonismo di alcuni governi sembra ignorare. Ancora una volta la prepotenza del pensiero culturale sta mettendo a rischio la nostra sopravvivenza. Certo, quando l’altra parte è la prima a manifestare stupidità e arroganza culturale è molto difficile non fare altrettanto, soprattutto se si è, o si è convinti di essere, i più forti. Quando poi a questa convinzione si assomma quella di essere anche nel giusto, come nel caso recente di Bush, lo scontro diventa pressoché inevitabile. Non possediamo una metodologia che ci permetta di affrontare in forma non aggressiva il caso di dieci posizioni intransigenti nessuna delle quali disposta, per interesse o caparbietà ideologica, a cedere o a trattare, ma, in millenni di guerre, perlopiù ‘sante’, non ci siamo neppure seriamente impegnati in una ricerca, un tempo forse non indispensabile, di soluzioni metodologiche, non belliche, dei conflitti.

Oggi si comincia a intravedere nelle culture, o meglio nella condizione culturale, la causa prima di questa indignazione. Ancor più si stanno conducendo i primi studi approfonditi su questo argomento, da cui dipende non solo il futuro dell’umanità, ma la stessa possibilità che lo abbia, un futuro.

Di questo siamo più o meno tutti convinti, non al punto tuttavia da investire tempo e denaro nella rifondazione planetaria di uno ‘stile di pensiero’ che ci permetta una sopravvivenza relativamente sicura –c’è sempre di mezzo l’imprevedibile umore dei corpi celesti– su questa terra.

venerdì 17 maggio 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (xv)


558 (15)
Non credo e mi sembra di capire che neppure in ambito professionale medico ‘allopatia’ e ‘omeopatia’ siano ancora concetti oppositivi, cioè rappresentanti posizioni tra loro inconciliabili. Mi sembra invece che in politica continui a prevalere un’interpretazione ‘dura’ di concetti come ‘pace’ e ‘guerra’. Possibile che l’attuale (marzo 2011*) crisi libica non possa trovare altra soluzione che le bombe? Anche mezzo secolo fa la ‘liberazione’ implicò, per fermare il genocidio di Hitler, la distruzione della Germania. Ammettiamo pure che non si potesse trovare, allora, altra soluzione. Siamo, oggi, ancora allo stesso punto? Non riusciamo a scalzare un tiranno se non colpendo i suoi sudditi? E, così facendo, non rafforziamo l’idea stessa di ‘suddito’, cioè di persona sottomessa a un suo simile, quasi sua proprietà. Si dirà che sono stati compiuti tutti gli forzi possibili per scongiurare l’intervento armato e si è ricorsi all’attacco aereo come ultima ratio. Altri diranno che in ogni caso è compito del popolo libico liberarsi del dittatore… anche se la forza militare è quasi per intero in mano al rais… O forse che bisogna tenere conto anche degli interessi altrui sul petrolio sahariano in mano alle compagnie petrolifere o, in ultima analisi, allo stesso Gheddafi che fino a poche settimane fa è stato riconosciuto e omaggiato da vari stati europei e tuttora è in sintonia con buona parte degli stati africani, mentre l’intervento europeo non è condiviso dalla Cina…

È chiaro che una soluzione pacifica della crisi libica non è a portata di mano, ma altrettanto dovrebbe essere chiaro che una soluzione bellica non fa che accrescere il pericolo che si determini oggi o domani in qualche parte del mondo una situazione non più controllabile neppure con le bombe. Per ora non c’è che sperare che non si sia ancora a questo punto. Perché sull’esperienza e intelligenza umana non c’è da fare affidamento.

[*Nota degli amministratori: ricordiamo ancora una volta che la pubblicazione di questi Postini sta rispettando la sequenza di composizione]

giovedì 16 maggio 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (xiv)


557 (14)
Questo genere di riflessioni, protratte per molti anni, anche dopo la conclusione del mio itinerario professionale, mi hanno portato a una seconda ipotesi (dopo IMC): che ci troviamo nel bel mezzo di una transizione –o dovrei dire ‘mutazione’– antropologica dallo stadio culturale a una metaculturale. Non si tratterebbe più del passaggio da una cultura a un’altra in seguito a un’occupazione militare o una rivoluzione sociale, bensì dell’uscita definitiva da una visione del mondo (Weltanschauung) fondata su presupposti culturali di qualsiasi tipo (religiosi, ideologici, scientifici). Ciò vuol dire che presupposti del genere possono continuare a esistere a livello individuale e anche collettivo, ma che là dove sopravvivono, non vengono più assunti a fondamento sovraculturale della vita pubblica o dei sistemi normativi. Leggi e norme non cesseranno ovviamente di esistere e funzionare, ma più come garanti pratici di civile convivenza che come principi etici di valore universale. Usi e costumi conserveranno, anzi potranno accrescere la loro variabilità locale, ma depurati dalla funzione coercitiva di modello cui improntare la propria vita. In una parola le culture non spariranno, anzi si rafforzeranno nella loro unicità. La concorrenza non avrà più ragion d’essere, ciascuno imparando dall’altro ad essere sé stesso e non una sbiadita copia di quello…

Mi accorgo di essermi fatto prendere la mano dalla retorica dell’utopia, mentre quest’ultima è l’ultima cosa che ci serve per realizzare la mutazione che ci affranchi dall’ebbrezza della condizione culturale senza perdere la ricchezza di cui è portatrice quale che ne sia la provenienza. Siamo tutti esseri umani allo stesso titolo, ma ciascuno a suo modo, ed è interesse comune che ci conserviamo nella nostra inconfrontabile singolarità.

martedì 14 maggio 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (xiii)


Le esperienze condotte nell’ambito del nostro Centro per decenni sono documentate e sostenute anche teoricamente in una serie di opere, tuttora inedite dal titolo complessivo di Indagini metaculturali, curate da Fernando Sánchez Amillategui, e attualmente in corso di assemblaggio. La serie comprende anche trattazioni specifiche sui linguaggi musicale, verbale, grafico-pittorico, nonché abbondanti esemplificazioni. Tuttavia il presupposto didattico del nostro lavoro non è tanto la trasmissione –e il conseguente apprendimento– di nozioni e procedure, quanto la loro costruzione attraverso l’analisi e la riflessione. Il fine che ci proponiamo è l’attivazione produttiva della mente in direzione dell’autonomia. Il pensiero umano può assumere le forme più diverse, e c’è un libro della serie che ne tenta su basi empiriche e quasi tassonomiche una rassegna. Un altro libro, intitolato Metaparole, elenca un certo numero di parole, sulle quali, benché di uso corrente –o proprio per questo– non siamo usi riflettere. Preferiamo infatti, anziché guidarle, lasciarci guidare dalle parole che, non essendo in sé responsabili, lo fanno in direzioni che poi si rivelano dannose. Lo stesso accade con altri linguaggi, come la musica (che in un tempo brevissimo ha visto azzerarsi quasi del tutto le sue capacità emozionali ed espressive). Qualcuno dei libri delle Indagini metaculturali cerca, appunto, di indagare gli aspetti interni ed esterni delle trasformazioni avvenute nella cultura del momento. Parallelamente un libro, interamente dovuto a mia moglie, Paola Bučan, riferisce di un’esperienza condotta in una scuola primaria di Montopoli in Sabina (insegnante curricolare Adonella del Bufalo), esperienza che converge singolarmente con alcune correnti pittoriche delle avanguardie novecentesche. A proposito di queste, proprio l’esperienza di Montopoli ha fatto dire a qualcuno che l’arte contemporanea ha mancato proprio il suo ultimo passo, quello che l’avrebbe definitivamente democratizzata, sottraendola all’elitarismo delle avanguardie e restituendola alla funzione e alla pratica di base (Sánchez). Attualmente (2011) lo stesso Sánchez e un nostro amico e collaboratore, Oliver Wehlmann, stanno lavorando a un libro che coinvolge anche me come curatore, Convergenza e trasferibilità.

Ritengo che queste Indagini metaculturali possano servire, qualora fossero pubblicate, a una non superficiale riflessione sulla nostra cultura in così profonda crisi e sul modo di uscirne integri ancorché irreversibilmente modificati nei rapporti con i nostri consimili e con il pianeta che generosamente ci ospita ma è malamente ricambiato dal nostro egoismo e rapacità.

domenica 12 maggio 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (xii)



555 (12)
Che cosa verifica questi diversi momenti produttivi o ricettivi?

Lo schema logico sottostante.

È bene quindi, in sede formativa, sollecitare l’attenzione su questo tipo di logica eminentemente interdisciplinare. Attraverso di essa possiamo unificare formalmente –prescindendo così dai materiali e dalla gestualità produttiva– oggetti delle più varie tipologie. È anche possibile, ponendo mente a questa variabilità, ridurre le opposizioni ideologiche, così frequenti tra gli uomini, e sostituirle con forme di ‘simpatia’ generate da ‘omologia’. In ogni caso il lavoro di analisi necessario per riscontrare queste analogie –ma lo stesso varrebbe per la loro essenza– ci avvicina all’oggetto osservato e l’analisi stessa ne promuove la comprensione. Un oggetto ‘compreso’ cede la sua estraneità alla conoscenza. ‘Conoscere’ equivale a introiettare una parte dell’altro in noi stessi, abiurare alla nostra oggettività.

sabato 11 maggio 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (xi)


554 (11)
Neppure la politica è in questa sede l’obiettivo proprio della mia riflessione, bensì la didattica, una didattica comparativa, interdisciplinare, volta a mettere in rilievo le concordanze di pensiero piuttosto che le specificità. Il pensiero tiene conto anche di quello che l’attuale situazione privilegia, per ben note ragioni: i tentativi unificanti, anziché quelli divergenti; e così siamo interessati, nelle pratiche discorsive che la scuola promuove, in particolare alle convergenze procedurali tra attività in apparenza assai lontane. Così la composizione musicale sembra non avere niente in comune con quella grafico-pittorica, eppure fin dal 1979 abbiamo condotto in parallelo corsi di aggiornamento per insegnanti elementari con risultati assai convincenti. Pur non essendo direttamente confrontabili per l’eterogeneità dei materiali e dei sensi preposti alla loro fruizione, i prodotti hanno chiaramente mostrato l’analogia degli itinerari mentali percorsi e dei criteri comparativi utilizzati. Si va da quelli più basilari e intuitivi del tipo più/meno, uguale/diverso, a strutture complesse, la cui logica rivela buone analogie anche a un’analisi più approfondita. Le diversità di grammatica, perfino di linguaggio, non ostacolano il riconoscimento di quelle analogie, solo che l’attenzione sia indirizzata ad esse. Intere forme possono rendersi evidenti pur nella diversità sia dei materiali, sia della gestualità che le ha prodotte. Altrettanto variabile può essere la modalità produttiva senza che per questo venga alterata la logica percettiva. Un’identità viene percepita quale che sia l’organo che la percepisce.

venerdì 10 maggio 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (x)



Io fotografato dalla sonda Galileo – fotografia di Michael Benson
553 (10)
Siamo così arrivati a un punto che mi sta particolarmente a cuore e al quale ho dedicato, credo, la parte migliore del mio lavoro: la ricerca e la pratica formativa a livello culturale di base. Due parole esplicative per chi non avesse avuto la ventura di imbattersi nell’attività didattico-pedagogica di qualche operatore del Centro Metaculturale o in qualcuno dei numerosi scritti che la documentano.

Anzitutto va precisato che, pur essendo ex professo un compositore di musica, negli ultimi vent’anni la mia principale attività si è rivolta piuttosto alla politica educativa che al mondo dei suoni. Credo anche che in questo settore io abbia avuto la fortuna di individuare, con l’aiuto di una moltitudine di collaboratori dai quattro anni in su, un orientamento formativo particolarmente consono alla drammatica crisi culturale che ha investito il mondo intero con la sparizione del modello antagonista al capitalismo. Filosoficamente questa sparizione ha significato la resa incondizionata al potere del denaro e la rinuncia alla nostra specificità umana, sostituita per così dire da una specificità monetaria, che ha reso però anche possibile l’emergere di una cultura alternativa benché minoritaria, ora però necessaria alla nostra sopravvivenza. Noi l’abbiamo chiamata Ipotesi Metaculturale, ma non l’abbiamo certo inventata, bensì trovata tra gli scarti di altre culture, assai più forti.

Ma non è di filosofia che vogliamo parlare. Quando si tratta di sopravvivenza, occorre incidere sul reale in maniera assai più diretta.

“E IMC sarebbe una via più diretta?”

Non certo nelle sue formulazioni teoriche, che aspirano al punto più basso del pensiero debole, ma nelle sue conseguenze operative, politiche, come quando elabora percorsi educativi che prescindono dall’indottrinamento, addirittura dal primato del sapere, al posto del quale rivendichiamo il ruolo del pensiero, o quando promuovono l’attività formativa anche e soprattutto come autoformazione, la cui priorità è giustificata dall’essere rivolta al domani, a un tempo cioè non ancora inquinato dall’urgenza dell’oggi. La politica odierna sembra per contro essere incentrata sull’oggi, sul ‘tutto e subito’, proprio perché la strategia educativa mira al successo immediato, al superamento di un esame, non al rafforzamento di capacità riflessive e propositive. In sostanza IMC secondarizza il presente nei confronti del futuro anche se, per realizzare quest’ultimo, lavora più sull’utopia che sulla realtà.

martedì 7 maggio 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (ix)


552 (9)
L’estensione e la forza attrattiva di IMC si manifestano –e questo è forse l’aspetto culturalmente più produttivo– nei rapporti e nei parallelismi interdisciplinari. Il concetto, anche questo oggi molto visitato, di interdisciplinarità si limita troppo spesso agli aspetti fenomenici più accidentali, quali la contemporaneità e la somiglianza esteriore di certe manifestazioni. IMC merita comunque un’indagine più approfondita che vada al di là dell’aspetto fenomenico e che tocchi se possibile il nucleo strutturale del problema. 

Consideriamo per esempio due attività contenutisticamente e gestualmente così diverse come la produzione di immagini e di suoni –diciamo pittura e musica– sia i prodotti che i modi di produzione sembrerebbero non avere nulla in comune, tanto è vero che in nessuna cultura le troviamo accomunate da una stessa specificità artigiana (un musico non è un pittore se non per occasionale coincidenza). Se però osserviamo le operazioni mentali sottostanti a quella attività, constateremo tante e tali analogie da giustificare il termine ‘trasferibilità’ da noi adottato a significare il possibile passaggio di determinate modalità analitico-compositive da un materiale compositivo, addirittura da un linguaggio ad un altro. In alcuni casi il trasferimento è immediato, come quando sono in gioco solo operazioni elementari (per esempio spaziali), in altri occorrono più passaggi (per esempio da un linguaggio o da una grammatica ad un’altra). La trasferibilità aiuta a comprendere il funzionamento primario del cervello, la costruzione dei significati a partire dai primi costrutti sensoriali. I trasferimenti non sono mai integrali così come le traduzioni non riproducono mai esattamente i significati originari. Del resto anche le parole ripetute non restano le stesse anche nel loro significato. I linguaggi vengono interpretati come organismi in permanente trasformazione, cosicché una medesima espressione non può che assumere valore locale, eventualmente da trasferire, con alcuni cambiamenti, in contesti linguistici e situazionali diversi. Queste operazioni vengono compiute dal cervello quasi automaticamente ma sotto il controllo, anche questo automatico, di un superorganismo –la cultura– troppo spesso irriflesso nella coscienza individuale. Così la trasferibilità subisce da un lato il controllo della cultura, dall’altro controlla quest’ultima attraverso proprio la trasferibilità. Questo va e vieni dei processi culturali è di per sé stesso un meccanismo di stabilizzazione –attraverso l’instabilità– di cui sarebbe bene fare un uso intensivo ed estensivo, soprattutto in un mondo, come il nostro, in rapido cambiamento e a rischio di disfacimento.

domenica 5 maggio 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (viii)



Dalla serie "Waterpower" di Pierre Carreau
551 (8)
IMC è quindi un’ipotesi per la democratizzazione dei linguaggi e quindi degli ‘stili di pensiero’. Legando i giudizi e, in genere, le espressioni umane agli UCL, IMC relativizza gli assoluti e ne permette l’associazione nel mondo; contribuisce all’instaurarsi della pace, togliendo terra sotto i piedi all’aggressività umana. Non la elimina di fatto, ma tenta di dirottarla su comportamenti compatibili con la sopravvivenza. Con riferimento alla disciplina di mia primaria competenza, trovo esemplari i casi di Beethoven e Bach –un accoppiamento inusuale per la storia della musica– la cui aggressività, stando alla loro musica, doveva essere eccezionale quanto la loro capacità di sublimarla nell’azione compositiva. Possiamo interpretare questa azione come un trasporto, una traduzione di energia da un comportamento distruttivo a uno costruttivo. Qualcosa di simile accadrebbe quando, nel passaggio da un atteggiamento culturale a uno metaculturale, l’investimento di energia rimanga lo stesso, cambi però la modalità applicativa. In Bach la metaculturalità è per così dire immanente alla sua produttività fin dall’inizio, segnato dall’universalità dei suoi interessi non solo musicali; in Beethoven l’approdo metaculturale si va profilando negli anni, per raggiungere la meta si direbbe fuori da ogni limitazione culturale nelle ultime opere.

IMC non coincide tuttavia né con extraculturalità né con la multiculturalità di cui oggi molto si parla. Dalla prima si distingue per la presenza di tutti i tratti tipici di un UCL, in una combinazione tuttavia inconsueta e ai margini per così dire della loro tipicità. Dalla seconda, la multiculturalità, per la forte coesione di questa molteplicità, al punto di costringerla come per interne forze molecolari o nucleari a coesistere entro un medesimo contraddittorio campo.

sabato 4 maggio 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (vii)


550 (7)
Secondo un’altra interpretazione questi postini fanno già parte di ciò che intendono trasmettere. E non tanto nei contenuti, quanto nei modi di trasmissione, anch’essi assai variabili, e per come vengono ricevuti – mai o quasi mai come enunciati di verità, ma come spunti di riflessione.