[Dialogante 1] Hai appena
detto che per sopravvivere dobbiamo rinunciare alla crescita. Di che cosa? Non
credo del nostro cervello, che non ha probabilmente alcuna necessità di
crescere, anzi potrebbe essere utile che regredisse un poco. O piuttosto,
anziché regredire, basterebbe che indirizzasse altrove le sue energie.
[Dialogante 2] Cosa intendi
con ‘altrove’?
[Dialogante 1] Non alla
crescita materiale, ma alla redistribuzione più equilibrata dei suoi prodotti.
[Dialogante 2] E pensi che
questo basterebbe?
[Dialogante 1] Forse, in
una prima fase. Subito dopo o addirittura contemporaneamente, credo si dovrebbe
pensare a una diversa utilizzazione del nostro ipertrofico cervello.
[Dialogante 2] Hai qualche
idea in proposito?
[Dialogante 1] Non sono io
ad averne, è il nostro stesso essere uomini che ce ne offre. Anzitutto il
pensiero che è gratificante per sé, indipendentemente da ciò che produce, così
come è gratificante camminare anche senza partecipare a una maratona. Poi tutte
le attività che si fanno per il piacere di farle, e di farle sempre meglio,
anche senza un traguardo o competizione.
[Dialogante 2] Così si
riunisce settimanalmente nel nostro Centro
Metaculturale un gruppo di giovani e meno giovani per un’attività di
ricerca sul disegno, volta unicamente allo studio della nostra mente entro
progetti di composizione visiva. La frequenza e l’impegno dei partecipanti,
nonché il loro evidente piacere dimostrano sufficienza la ricchezza anche
emotiva di questi incontri.
[Dialogante 1] Così come
per anni abbiamo potuto osservare nelle esperienze di composizione musicale di
base condotte con bambini di scuole primarie.
[Dialogante 2] Probabilmente
anche nelle attività finalizzate alla produzione di guadagno una buona parte di
esse produce anche piacere e soddisfazione di per sé e continuerebbe a farlo
anche se è guadagno calasse di molto.
[Dialogante 1] Un poeta, un
pittore, un musicista solo in seconda istanza cercano il successo e la
conseguente agiatezza. Sono ben noti i casi di artisti costretti in vita all’indigenza
per poi aver arricchito oltremisura gli eredi. Dico questo non per evidenziare
il fatto che essi hanno comunque prodotto ricchezza monetabile, ma per
dimostrare che il loro lavoro non era primariamente legato al guadagno e
neppure al benessere materiale bensì a una sorta di necessità vitale.
[Dialogante 2] Si tratta
comunque di eccezioni. L’uomo comune lavora per guadagnare, per migliorare il
suo stato sociale, le sue condizioni di vita.
[Dialogante 1] Se è così, è
perché la cultura glielo impone con i modelli della concorrenzialità e della
crescita infinita. Dubito però che le cose stiano a questo modo.
[Dialogante 2] In ogni caso
la duttilità della specie umana le permetterebbe di conformarsi a una cultura
diversamente indirizzata.
[Dialogante 1] Se quindi d’accordo
che una cultura non esclusivamente asservita al guadagno e alla crescita
formerebbe una società non produttivistica, o meglio con un’altra idea di
produzione da quella oggi dominante.
[Dialogante 2] Altre
culture, soprattutto orientali, non sembra abbiano avuto questa ossessione per
il ‘di più’, per la crescita e il progresso. Tutt’al più accettavano la
disparità delle caste, ciascuna delle quali sostanzialmente immobile nel suo
status sociale. Forse il solo Occidente si è lanciato con tanta determinazione
oltre le colonne d’Ercole.
[Dialogante 1] Oggi però,
tutto o quasi il genere umano sembra essersi lanciato oltre le frontiere dell’ecologicamente
compatibile. Non per nulla la parola ‘sfida’ è tra le più usate nel mondo
imprenditoriale e perfino in quello delle scienze.
[Dialogante 2] … Più che
alla sfida, credo che dovremmo dedicarci seriamente a un accordo pacifico tra di
noi e tra noi e il nostro pianeta.
[Dialogante 1] Non dovremmo
dimenticarci che non è il pianeta ad appartenerci ma noi a lui.
[Dialogante 2] I Greci
avevano un bel termine per designare il comportamento tracotante degli uomini
nei confronti della divinità: hybris.
E gli dei rispondevano con la nemesi. Attenta, umanità!