mercoledì 27 gennaio 2010

Questione di numeri?

La popolazione mondiale in aumento in maniera esponenziale, dal 1750 quando eravamo solo 791.000.000 al 2008 con 6.707.000.000. Una differenza di 5.916.000.000 nel giro di pochissimo...dati alla mano...clicca qua.

Quali gli effetti di questo sviluppo?

Per i più curiosi segnaliamo questo sito che in tempo reale fa un conto della popolazione per nazione con nuove nascite e nuovi decessi. Link, Link, link!

lunedì 25 gennaio 2010

Oggi? non sappiamo proprio che pesci pigliare ...

Certo che da un delfino ci aspettiamo più, molto di più, che da un umile purpetiello. Comunque, anche conto tenuto del rialzo delle aspettative, questi signorini se la cavano proprio bene ...



Colleghisi alla voce sopravvivenza, Boris Porena, opera omnia.
Link! link! link link! link! ...

sabato 23 gennaio 2010

Ogni vantaggio ...

... localmente circoscritto diminuisce oggi le probabilità di sopravvivenza per tutti.

IMC, un'ipotesi per la sopravvivenza, Parte Prima, Capitolo 7 - Per una pedagogia a orientamento metaculturale.
Boris Porena, 1999

mercoledì 13 gennaio 2010

Elogio della metamorfosi



Oggi portiamo qui un articolo assai pertinente pubblicato da Edgar Morin ne Le Monde di domenica scorsa.

[Aggiornamento 14.1.10, ore 17:43 - pure La Stampa di oggi ha deciso di riportare questo articolo]


Quando un sistema è incapace di trattare i suoi problemi vitali, si deteriora e si disintegra, oppure è in grado di suscitare un meta-sistema in grado di trattare i suoi problemi: si metamorfizza. Il sistema Terra non è in grado di organizzarsi per trattare i suoi problemi vitali: i pericoli nucleari, che peggiorano con la disseminazione e forse la privatizzazione dell’arma atomica; il deterioramento della biosfera; un’economia mondiale senza vera regolazione; il ritorno delle carestie alimentari; i conflitti etno-politico-religiosi che tendono a diventare guerre di civiltà.

Può considerarsi che l’amplificazione e l’accelerazione di tutti questi processi rappresentano lo scatenamento di un formidabile feed-back negativo, processo attraverso il quale si disintegra irrimediabilmente un sistema.

Leggere di più ...

Ciò che è probabile è la disintegrazione. Ciò che è improbabile, ma possibile, è la metamorfosi. Cos’è una metamorfosi? Ne vediamo esempi innumerevoli nel regno animale. Il bruco che si chiude in una crisalide comincia allora un processo che è allo stesso tempo di autodistruzione e di autoricostruzione, secondo un’organizzazione ed una forma di farfalla – non più di bruco–, pur rimanendo lo stesso. La nascita della vita può essere concepita come la metamorfosi di un’organizzazione fisico-chimica, che, arrivata ad un punto di saturazione, ha creato la meta-organizzazione vivente, che ha prodotto delle qualità nuove, pur comportando le stesse costituenti fisico-chimiche.

La formazione delle società storiche, nel Medio Oriente, in India, in Cina, in Messico, nel Perù costituisce una metamorfosi a partire da un aggregato di società arcaiche di cacciatori-raccoglitori, che ha prodotto le città, lo Stato, le classi sociali, la specializzazione del lavoro, le grandi religioni, l’architettura, le arti, la letteratura, la filosofia. E anche il peggio: la guerra, la schiavitù. A partire dallo XXIº secolo si pone il problema della metamorfosi delle società storiche in una società-mondo di un nuovo tipo, che includerebbe gli Stati nazione senza sopprimerli. Poiché la prosecuzione della storia, cioè le guerre, da parte di Stati provvisti di armi di distruzione, conduce alla quasi-distruzione dell’umanità. Mentre, per Fukuyama, le capacità creatrici dell’evoluzione umana sono esaurite con la democrazia rappresentativa e l’economia liberale, dobbiamo pensare che –al contrario– sia la storia ad essere esaurita e non le capacità creatrici dell’umanità.

L’idea di metamorfosi, più ricca dell’idea di rivoluzione, ne conserva la radicalità trasformatrice, ma la collega con la conservazione (della vita, dell’eredità culturale). Per andare verso la metamorfosi, come cambiare via? Pur se sembra possibile correggere alcuni mali, è completamente impossibile rallentare il moto tecno-scientifico-economico-civilizzatore che porta il pianeta ai disastri. E tuttavia la storia umana ha spesso cambiato strada. Tutto comincia, sempre, da un’innovazione, da un nuovo messaggio deviante, marginale, modesto, spesso invisibile ai contemporanei. Così hanno cominciato le grandi religioni: buddismo, cristianesimo, islam. Il capitalismo si sviluppò come parassita delle società feudali, dopodiché prese finalmente sopravvento, e le disintegrò con l’aiuto delle monarchie.

La scienza moderna si è formata a partire da alcuni spiriti devianti dispersi, Galileo, Bacon, Descartes, quindi creò le sue reti e le sue associazioni, si introdusse nelle università nel XIXº secolo, quindi nello XXº secolo nelle economie e gli Stati, arrivando a diventare uno dei quattro potenti motori della navicella spaziale Terra. Il socialismo è sorto in alcuni spiriti autodidatti e marginalizzati del XIXº secolo per diventare una formidabile forza storica nel XXº secolo. Oggi, tutto è da riconsiderare. Tutto è da ricominciare.

Tutto è difatti ricominciato, ma senza che lo si sappia. Ne siamo nella fase degli inizi, modesti, invisibili, marginali, dispersi. Poiché esiste già, su tutti i continenti, un brulicare creativo, una moltitudine di iniziative locali, nel senso della rigenerazione economica, o sociale, o politica, o conoscitiva, o educativa, o etica, o della riforma di vita.

Queste iniziative non si conoscono reciprocamente, nessuna amministrazione le considera, nessun partito ne prende conoscenza. Ma sono il vivaio del futuro. Si tratta di riconoscerle, registrarle, ordinarle, indicizzarle, e combinarle in una pluralità di cammini di riforma. Queste strade multiple potranno, sviluppandosi congiuntamente, combinarsi per formare la via nuova, quella che ci condurrebbe verso l’ancora invisibile e inconcepibile metamorfosi. Per elaborare le strade che si congiungeranno nella via, occorre liberarci delle alternative limitate alle quali ci costringe il mondo della conoscenza e del pensiero egemonici. Così occorre, allo stesso tempo, mondializzare e demondializzare, crescere e decrescere, sviluppare ed avvolgere.

L’orientamento mondializzazione/ demondializzazione significa che, se occorre moltiplicare i processi di comunicazione e di planetarizzazione culturali, se occorre che si costituisca una coscienza “di Terra-patria”, occorre anche promuovere, in modo demondializzante, l’alimentazione di prossimità, gli artigianati di prossimità, i commerci di prossimità, l’orticoltura periurbana, le comunità locali e regionali.

L’orientamento crescita/decrescita significa che occorre fare crescere i servizi, le energie verdi, i trasporti pubblici, l’economia plurale fra cui l’economia sociale e solidale, le iniziative d’umanizzazione delle megalopoli, le agricolture ed allevamenti di fattoria e biologici, ma occorre fare diminuire le intossicazioni consumiste, i prodotti alimentari industrializzati, la produzione di oggetti monouso e non riparabili, il traffico automobile, il trasporto merci su strada (a profitto del trasporto ferroviario).

L’orientamento sviluppo/avvolgimento significa che l’obiettivo non è più fondamentalmente lo sviluppo dei beni materiali, dell’efficacia, della redditività, del calcolabile, ma è anche il ritorno di ciascuno verso le proprie necessità interne, il grande ritorno alla vita interiore ed al primato della comprensione dell’altro, dell’amore e dell’amicizia.

Non basta più denunciare; ci occorre ora enunciare. Non basta ricordare l’urgenza. Occorre sapere anche cominciare la definizione delle vie che condurrebbero alla Via. A questo proviamo a contribuire. Quali ragioni ci sono per sperare? Possiamo formulare cinque principi di speranza.

1. L’emergenza dell’improbabile. Così la resistenza vittoriosa, ben due volte, della piccola Atene davanti alla formidabile potenza persiana, cinque secoli prima della nostra era, era altamente improbabile e permise la nascita della democrazia e quella della filosofia. Allo stesso modo era inatteso il congelamento dell’offensiva tedesca davanti a Mosca in autunno del 1941, quindi era improbabile la controffensiva vittoriosa di Joukov cominciata il 5 dicembre, e seguita l’8 dicembre dall’attacco di Pearl Harbour che fece entrare negli Stati Uniti nella guerra mondiale.

2. Le virtù generatrici/creatrici inerenti all’umanità. Così come esistono in ogni organismo umano adulto delle cellule staminali provviste delle capacità polivalenti (totopotenti) caratteristiche delle cellule embrionali, ma disattivate, nello stesso modo esistono in ogni essere umano, in ogni società umana, delle virtù rigeneratrici, generatrici, creatrici, in uno stato dormente o inibito.

3. Le virtù della crisi. Contemporaneamente alle forze regressive o disintegrative, le forze generatrici e creatrici si destano nella crisi planetaria dell’umanità.

4. Proprio in rapporto con questo si combinano le virtù del pericolo: “Là dove cresce il pericolo cresce anche ciò che ci salva.” L’opportunità suprema è inseparabile dal rischio supremo.

5. L’aspirazione plurimillenaria dell’umanità all’armonia (paradiso, quindi utopie, quindi ideologie libertaria/socialista/comunista, quindi aspirazioni e sommosse giovanili degli anni 1960). Quest’aspirazione rinasce nel brulicare delle molteplici iniziative disperse che potranno nutrire le vie riformatrici, chiamate a congiungersi nella nuova via.

La speranza era morta. Le vecchie generazioni sono disincantate dalle false speranze. Le giovani generazioni si trovano nella desolazione, perché non ci sono più cause come quella della nostra resistenza durante la seconda guerra mondiale. Ma la nostra causa portava in essa stessa il suo opposto. Come diceva Vassili Grossman di Stalingrado, la più grande vittoria dell’umanità è stata allo stesso tempo la sua più grande sconfitta, poiché il totalitarismo staliniano ne è uscito vincitore. La vittoria delle democrazie ristabiliva allo stesso tempo il loro colonialismo. Oggi, la causa è inequivocabile, sublima: si tratta di salvare l’umanità.

La speranza vera sa che essa non è certezza. È la speranza non del migliore dei mondi, ma di un mondo migliore. L’origine è dinanzi a noi, diceva Heidegger. La metamorfosi sarebbe effettivamente una nuova origine.

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Filosofo e sociologo. Nato nel 1921, è direttore di ricerche emerito nel CNRS, presidente dell'Agenzia Europea della Cultura (Unesco) e presidente dell’Associazione per il Pensiero Complesso. Nel 2009, ha pubblicato tra altri scritti “Edwige, l’inseparabile” (Fayard). Da leggere ugualmente, “Il pensiero turbolento – Introduzione al pensiero d’Edgar Morin”, di Jean Tellez (edizioni Germina)


Con la nostra riconoscenza a Valentina Aveta per la revisione della traduzione italiana

domenica 10 gennaio 2010

Sopravvivenza?



Parliamo di sopravvivenza? Ma si dai!

Il nostro insistere sulla sopravvivenza come orizzonte ideologico di IMC da un lato parifica questa a qualsiasi altra ideologia togliendole ogni pretesa di superiorità. Dall'altro permette un'ampia convergenza culturale: la maggior parte degli individui risponderebbe positivamente alla domanda se ci tengono alla sopravvivenza.

Questa risposta potrebbe però essere irriflessa, quasi istintiva e riferita piuttosto alla propria persona o tutt'al più all'umanità circonvicina. Alla sopravvivenza di una tribù amazzonica o della nostra stessa civiltà tra un migliaio di anni ci mostreremmo assai meno interessati e poco disposti a sacrificare anche solo una piccola parte del nostro benessere attuale. La nostra congenita miopia per ciò che è lontano da noi nello spazio e nel tempo poteva forse essere un vantaggio evolutivo fin quando le nostre capacità di occupazione mentale dello spazio e del tempo erano limitate a piccoli intorni del qui ed ora. Oggi questa miopia sembra ci stia conducendo a una rapida estinzione. Ma sempre la stessa miopia ci fa sopravvalutare tale possibile estinzione rendendoci indifferenti nei confronti di altre estinzioni sia passate che presenti.

In questo senso IMC è più radicale di altre ipotesi. Il suo orizzonte ideologico non ammette compromessi: se ci teniamo alla sopravvivenza, dobbiamo renderci disponibili alla relativizzazione metaculturale –che, ricordiamo, non ha a che fare con la relativizzazione assoluta– e accettare le conseguenze che ne derivano.

E –per raccordare tra loro queste generali considerazioni sui rapporti tra UMC e sopravvivenza– vorremmo indicare nella relativizzazione metaculturale la costante metodologica da trasferire in ogni operazione che intendiamo compiere sul 'reale' o sul 'pensato'.

B.P. - Metaparole - 'Sopravvivenza'

domenica 3 gennaio 2010

...pensieri festivi 2 - (C.C.B)

La nostra cara amica Claude Cazalé-Berard ci ha scritto questa lettera. Il gruppo Rigobaldo coglie l'occasione per salutarla affettuosamente. Auguri, baci ed abbracci!

Cari amici,

come augurio per il 2010 - pur già così minacciato dal perdurare delle violenze e ingiustizie, degli abusi e soprusi, della dominazione e dello sfruttamento - vorrei affidarvi un pensiero che unisce due grandi figure del nostro tempo Arundathi Roy e John Berger.

La citazione, tratta dall'Introduzione di Maria Nadotti, "Dialogato con John Berger", al volume Modi di vivere (Bollati Boringhieri, 2004), fa riferimento alla prefazione di Berger al volume di Roy, Power Politics: “In quelle pagine le parole dell’uno si intrecciano a quelle dell’altra, in un dire a due che si propone come un possibile modo di abitare l’individuale tempo di vita. Ecco la loro proposta”:

Essere pienamente vivi nel nostro mondo, così com’è. Mettersi vicini a coloro per i quali questo mondo è diventato intollerabile, e ascoltarli... L’unico sogno che vale la pena di avere è di vivere finché si è vivi e di morire solo quando si è morti. Che cosa significa esattamente? Amare. Essere amati. Non dimenticare mai la propria insignificanza. Non abituarsi mai alla violenza indicibile e alla volgare disparità della vita che ci circonda. Cercare la gioia nei luoghi più tristi. Inseguire la bellezza là dove si nasconde. Non semplificare mai ciò che è complicato e non complicare ciò che è semplice. Rispettare la forza mai il potere. Soprattutto ossrevare. Sforzarsi di capire. Non distogliere mai lo sguardo. E mai, mai dimenticare.

Felice 2010 a tutti!

Claude Cazalé Bérard

sabato 2 gennaio 2010

Pensieri Festivi...(1)

Ecco qui uno scritto di Gabriel Garcìa Màrquez proposto dall'amica Laura Pigozzi. Un saluto dal blog.


L’uomo e il mondo

di Gabriel Garcìa Màrquez

Uno scienziato che viveva preoccupato per i problemi del mondo, era determinato a trovare i modi per risolverli. Passava i giorni nel suo laboratorio cercando le risposte ai suoi dubbi.

Un certo giorno, suo figlio di sette anni invase il suo santuario deciso ad aiutarlo nel suo lavoro. Lo scienziato, nervoso per l’interruzione, chiese al bambino di giocare da un’altra parte. Ma vedendo che era impossibile mandarlo via, pensò a qualcosa che potesse distogliere la sua attenzione.

A un certo punto trovò una rivista, dove c’era una mappa del mondo: giusto quel che ci voleva.

Con delle forbici ritagliò la mappa in piccoli pezzi e la diede al figlio con un rotolo di nastro adesivo dicendo: “Dato che ti piacciono i rompicapi, ti sto dando il mondo tutto rotto perché lo ripari senza l’aiuto di nessuno”.

Dopodiché calcolò che il piccolo ci avrebbe messo dieci giorni per ricomporre la mappa , ma non fu così.

Passate alcune ore, udì la voce del bambino che lo chiamava con calma: “Papà, papà, l’ho già fatto tutto, l’ho finito!.

Dapprima il padre non credette al bambino. Pensò che era impossibile che alla sua età fosse riuscito a ricomporre una mappa che mai aveva visto prima.

Diffidente, lo scienziato alzò lo sguardo dai suoi scarabocchi con la certezza di trovare un lavoro degno di un bambino, ma con sua sorpresa la mappa era completa. Tutti i pezzi erano stati messi al loro posto. Com’era possibile? Come ne era stato capace il bambino?

Allora il padre domandò con sorpresa a suo figlio: “Figliolo, tu non sapevi com’era il mondo, come hai fatto?

“Papà – rispose il bambino – io non sapevo com’era il mondo, ma quando tu hai tolto la mappa della rivista per ritagliarla, ho visto che dall’altra parte c’era la figura di un uomo. Allora ho girato i ritagli e ho cominciato a ricomporre l’uomo, che quello sì, sapevo com’era fatto…

Quando sono riuscito a sistemare l’uomo, ho girato la pagina e ho visto che avevo anche sistemato il mondo”.

Natività, Correggio