[Del welfare mi sono occupato alcuni anni or sono in un breve scritto,
riportato anche in queste Indagini nel Volume IV. Senza far
riferimento a quel testo –di cui ho dimenticato il contenuto– riprendo qui, in
forma ulteriormente accorciata, l’argomento, lasciando al lettore che ne abbia
voglia il confronto con lo scritto precedente.]
* * * * *
[Dialogante 1] Il termine
anglosassone è oggi sulla bocca di tutti, anche di chi, come noi l’inglese non
lo sa o sa pochissimo. Abbiamo avuto perfino ministri del welfare.
[Dialogante 2] Credo che welfare non significhi per tutti la
stessa cosa, per esempio per un europeo, un nordamericano o un giapponese.
[Dialogante 1] Se il welfare viene misurato sullo standard
della classe media nei vari paesi, la variabilità non può che essere assai
alta.
[Dialogante 2] Maggiore
ancora se traduciamo il termine con ‘benessere’. Qui si entra addirittura nel
soggettivo: il benessere minimo può non essere neppure paragonabile al tuo.
[Dialogante 1] Penso che un
concetto così indefinibile sia poco adatto all’uso politico. Eppure la politica
se ne serve a oltranza.
[Dialogante 2] Se
traduciamo welfare con “condizioni di
vita poco superiori allo stretto necessario”, l’ambiguità resterebbe
probabilmente ancora troppo alta per definire utilmente uno standard di vita
accettabile da tutti: che vuol dire ‘poco superiori’ o ‘stretto necessario’?
[Dialogante 1] Che fare
allora? Ricorrere al numero, alla quantificazione di questo ‘minimo accettabile’?
Ma perché minimo se oggi intere popolazioni vivono ben al di sopra di questo
minimo e per altre esso rappresenterebbe già un traguardo?
[Dialogante 2] Durante la
seconda guerra mondiale i popoli europei hanno dovuto, per quanto riguarda il
cibo, adattarsi alle quantità prescritta dalla carta annonaria, comunque sempre
superiori al ‘minimo accettabile’. Quelli che non si sono attenuti o potuto
attenere alla prescrizione governativa hanno dovuto accettare condizioni ben
più restrittive.
[Dialogante 1] Ne concludi
che, oggi come allora, la conservazione del welfare
è legata a un regime repressivo?
[Dialogante 2] Forse di
contenimento…
[Dialogante 1] Contenimento
di che?
[Dialogante 2] Contenimento
dei consumi, delle spese, della produzione, del guadagno…
[Dialogante 1] … tutte cose
di cui oggi si invoca l’aumento…
[Dialogante 2] … la famosa
o famigerata crescita, senza la quale
saremmo condannati alla sparizione…
[Dialogante 1] … mentre
sappiamo benissimo che non è così, che, se qualcosa ci condanna alla sparizione
è proprio la crescita materiale.
[Dialogante 2] Non però
altri tipi di crescita, per esempio della consapevolezza.
[Dialogante 1] Eppure,
anche a livello divulgativo, si sta cercando se non altro di spaventare la
gente con filmati, più o meno catastrofici, sul nostro immediato futuro…
[Dialogante 2] … ma, a
contrastare l’invadente povertà e più ‘logico’ pensare a una crescita che a un
contenimento.
[Dialogante 1] Che una
crescita sia ancora possibile sembra dimostrato dagli ingenti guadagni di una
minoranza e dalla gigantesca sperequazione economica tra ricchi e poveri.
[Dialogante 2] Per assurdo
un effettivo welfare si otterrebbe
piuttosto accrescendo una povertà controllata che una ricchezza incontrollata.
[Dialogante 1] La
parola-chiave è quindi ‘controllo’.
[Dialogante 2] Questo
andrebbe esercitato in due direzioni opposte: verso il più e verso il meno.
[Dialogante 1] Ma così si
arriverebbe a un livellamento da un lato e dall’altro a un accentramento del
potere di controllo che gli attuali intendimenti democratici mostrano di non
gradire.
[Dialogante 2] La
democrazia ha evidentemente più facce e non è detto che quella attuale sia la
migliore.
[Dialogante 1] Occorrerà
ancora molto studio e anche molta inventiva per progettare una democrazia che
vada bene, oltre che a noi tutti, anche alla Terra.