sabato 30 aprile 2011

Non siamo tanto diversi...



... vero?

Né bambine, né tigri



Ma comunque niente male...

La riflessione


Venere al telefono, Diego Velázquez, 1650. National Gallery, London

[88] “Se non hai capito, prova a riflettere.”
Sembrerebbe quasi che ‘capire’ e ‘riflettere’ non solo non siano la stessa cosa, ma che addirittura si contrappongono. È il contesto che delimita il significato ‘attuale’ di un termine, o anche ‘comprendere’ (‘capire’) può essere compresso solo con un atto riflessivo a partire di una situazione concreta. La riflessione è quindi strettamente legata alla comprensione e quindi al pensiero, anche se non è nell’uso sinonimo di quelli. Per un altro verso ‘riflessione’ si collega a ‘specchio’ cioè a un’immagine percepita due volte, la seconda quasi a conferma della prima. Vien da pensare a un bambino che ripete un suo gesto per sentirselo confermare dal suono che produce: una specie di appropriazione del gesto e del suono, così come l’immagine di sé riprodotta in uno specchio o una fotografia ci conferma della nostra esistenza.

venerdì 29 aprile 2011

... troppo pigro...


[87] Faccio seguito ai postini precedenti.
Ma che cosa mi fa pensare che il tuo contributo formativo possa essere “rilevante”?
Forse un eccesso di autostima o l’ampiezza di un consenso?
Direi né l’uno né l’altro, il primo perché non credo di essere soggetto a quel genere di eccessi, il secondo perché il consenso per uno scritto inedito e sprovvisto di una qualsiasi ‘ufficialità’ difficilmente sarà “ampio”.
Ma non è questo ciò che vuoi: un consenso limitato, ottenuto fuori dai consueti canali editoriali e commerciali?
Non sono né un purista né un idealista. Sono semplicemente troppo pigro per darmi da fare in ambiti che non mi sono congeniali e richiederebbero da parte mia un lavoro aggiuntivo. Questo può essere scusabile e financo apprezzabile quando, come nel caso della musica, la mia inerzia nuoce solo a me stesso. Quando però ritengo e dichiaro che ne va di mezzo una funzione sociale che io stesso considero assai ‘rilevante’, ogni scusante cade e resta solo il biasimo.

giovedì 28 aprile 2011

La funzione formativa nell’era della globalità


[86] Sono passati quattro anni dal mio penultimo studio metaculturale –La funzione formativa nell’era della globalità– e mi trovo a rileggere le bozze in vista dell’edizione integrata (privata) Van der Mispel.
Il confronto con l’attualità mostra chiaramente con quanta rapidità stiano cambiando il mondo e la sua immagine. Osservazioni che fino a ieri mi apparivano punta di diamante di un pensiero pedagogico le percepisco oggi come ricoperte da un sottile velo di muffa, certo non dovuto all’umidità ambientale. Infatti quello studio, come anche i precedenti, non ha conosciuto altro ambiente che quello, secchissimo, in cui è nato. Eppure, rileggendolo, non ho potuto fare a meno di notare i molti elementi di novità che a tutt’oggi lo renderebbero, se fosse conosciuto, portatore di una non indifferente forza propulsiva, e non solo in ambito didattico-educativo. A parte il disappunto di non vedere utilizzato il contributo mio, mi domando quale sarebbe l’accelerazione del pensiero se non ne andasse perduta una parte che potrebbe essere rilevante.

mercoledì 27 aprile 2011

Qui sta il punto!


[85] Non vuoi?
Sì, voglio.
Che cosa vuoi?
Non volere.
Vuoi non dover volere?
Sì.
Che cosa non vuoi dover volere?
Quello che hai detto?
Ma io non ho detto quello che avresti dovuto volere.
E che cosa avrei dovuto volere?
Quello che non ho detto.
Ma se non lo hai detto, come faccio a saperlo?
Appunto! Non lo sai.
Allora che stiamo cui a discutere?
Appunto! Per saperlo.
E chi dovrebbe saperlo se non tu?
Forse tu.
Perché io, che neppure l’ho detto?
Detto cosa?
Qui sta il punto!

martedì 26 aprile 2011

Ho perso il conto!


[84] Vuoi?
Non voglio.
Cosa non vuoi?
Volere.
Non vuoi voler volere?
No.
Cosa no?
Dover voler volere.
Ma se lo volessi?
Chi? tu o io?
Non cambiamo le carte in tavola!
Ma chi le cambia?
Non certo io!
Appunto: non io?
Allora tu!
Quale tu?
Il tu di io o l’io di tu?
Ma sono la stessa persona!
Quale persona?
Ho perso il conto!

lunedì 25 aprile 2011

Accoppiamenti coloriti



No, nulla a vedere col concerto. Ma simpatici!

sabato 23 aprile 2011

Concertammo...


... o meglio concertarono... al violoncello, Ivan Turkalj; al pianoforte: Oliver Wehlmann.

Capitò oggi 23 Aprile 2010, tra più o meno le 17:00 e le 19:00, nella Scuola Superiore di Musica di Würzburg.

Quando siamo entrati Oliver era lì tutto bello contento che faceva poeticamente plim plam plim con il Perpetuum Mobile...

Poi si è aggiunto Ivan, e siamo diventati seri. Ha presentato brevemente il concerto, e zac, si è partito con la Prima Parte:
Sei Ländler in memoria di Serapione 1973-1974 (Inquisizioni Musicali I CBP-X:3), per pianoforte
Del più e del meno (Zweite Fassung, 26.3.1992) (CBP-IX:5), Dialogo per violoncello solo,
Maurice - Poème pour le piano 16.1.2001 (CBP-VIII-54), per pianoforte (prima esecuzione)

(Anne ha dato una mano per passare le lenzuola, oops, i fogli delle partiture).

Poi pausa, e Seconda Parte
Grande Sonata Russa 11.6.1990 (CBP-VIIb:17), per violonforte e pianocello.
• Dieci variazioni sull'Albumblatt di Schubert 1973-1974 (Inquisizioni Musicali I CBP-X:3), per violoncello e pianoforte

Tutti contenti, siamo finiti in un ristorante. Appena abbiamo una registrazione pronta mettiamo qui qualche spezzone.

Commenti?

giovedì 21 aprile 2011

Altra raffica (fine)


[82f] Indimostrabilità, ma autoevidenza del ‘bello’ (?)

Altra raffica (v)



[82d] Il primato dell’estetica: la Passione secondo Matteo si autodimostra. Lo fa anche l’ultima classificata delle canzoni di San Remo.

mercoledì 20 aprile 2011

Altra raffica (iv)


[82c] Forse per dimostrare l’esistenza del mondo basta un po’ di buona grazia.

lunedì 18 aprile 2011

Altra raffica (iii)


[82c] La solita storia: per esistere ci vuole qualcuno che ci nomina… Altra volta ho aggirato la banalità di questa riflessione rivestendola della storiella del drago che dubitava di esistere. La storia è banale, la storiella no.

Altra raffica (ii)




[82b]
La parola non definisce gli oggetti, li crea.

domenica 17 aprile 2011

Altra raffica (i)


[82a] Come è noto, si parla di infinito reale e infinito potenziale. Non ricordo come si distinguono. In ogni caso mi risulta difficile definire l’infinito.

sabato 16 aprile 2011

Per grande che sia, è comunque finita


[80] È facile offrire garanzie quando chi le chiede –la realtà– per grande che sia, è comunque finita, mentre chi le offre –che sia Dio o la matematica– non ha confini.

venerdì 15 aprile 2011

... garantisce la matematica


[80] La matematica ci insegna a manipolare gli infiniti e gli infinitesimi come fossero enti reali. Così facendo ci risparmiamo di interrogarci sul loro essere o non essere. Per essi garantisce la matematica. Ma che cosa ‘garantisce’?

giovedì 14 aprile 2011

Variabili occulte, dimensioni supplementari


[79] Continuo a chiedermi perché la matematica dovrebbe essere il linguaggio della fisica. Ci sono molte teorie fisiche che matematicamente sono ‘bellissime’ ma cui non corrisponde alcunché di ‘afferrabile’. Mi risulta perfino che i fisici riescono –per esempio aggiungendo o togliendo variabili occulte o dimensioni supplementari– ad aggiustare le loro equazioni secondo ciò che le teorie richiedono.

Forse la forza esplicativa della matematica risiede proprio nella sua infinita duttilità.

Postini a raffica (IV e fine)


[78d] Ritratto di Luigi XIV dipinto da Lebrun (1661)

– Quale modo di migliore di togliere la libertà che dare un eccesso di benessere! (Luigi XIV all’aristocrazia)
– Un modo ci sarebbe…
– E quale?
– Prometterlo senza darlo! (trovate un esempio)

Postini a raffica (iii)


[78c] Fino a ieri i telefoni non esistevano. Oggi non ne possiamo fare a meno. Una dipendenza in più. W la libertà!

Postini a raffica (ii)


Retratto del giovane Carlo inciso da I. Gristein (1839)

[78b] C’è chi ha detto “la proprietà è un furto” Certo esagerava. Ma più il tempo passa, più dubito che avesse qualche ragione.

Postini a raffica (i)


[78a] Un divario troppo accentuato di ricchezza, viene percepito come ingiustizia sociale, come un furto, ma provoca reazioni contrastanti. C’è chi si ribella, anche con la violenza, e chi vi si assoggetta, perché gli si fa balenare l’idea che potrebbe essere anche lui dalla parte degli ingiusti, dei ladri.

martedì 12 aprile 2011

Mare e monti

domenica 10 aprile 2011

Né corretto né elegante

La conosciuta vedette televisiva peruana Tula Rodríguez

[77] Facendo seguito ai due postini precedenti, mi domando se da un certo punto di vista –quello ‘formativo’– un pensiero, anche se errato o male espresso non possa rivestire una funzione sociale pari o superiore a quella di un pensiero corretto ed elegante. Può tuttavia anche capitare che un pensiero socialmente negativo venga largamente accettato proprio grazie al come viene espresso e allora non è neppure necessario che sia né corretto né elegante.

sabato 9 aprile 2011

Dilettanti


[76] Mi capita spesso che mi si presenti alla mente un’intuizione (come per il postino precedente quella del ‘modello’, intermediario indispensabile tra la cosa e la sua immagine), di cui cerco a posteriori una giustificazione, il più delle volte senza trovarla. Mi rendo conto del dilettantismo di un tale procedimento. Ricordo al lettore che non sono per formazione né un filosofo, né un epistemologo né un logico e tanto meno uno scienziato (nonostante i miei falliti tentativi alla facoltà di fisica), ma solo, appunto, un dilettante “che pensa come comunemente si pensa”. Ho tuttavia troppo rispetto per il pensiero ‘comune’ da non riconoscergli un ruolo formativo, anche se non specifico, di primaria importanza sociale.

venerdì 8 aprile 2011

Scolpire l'acqua


[75] Che vuol dire ‘capire’?

La migliore definizione mi sembra tuttora l’antica
adæquatio rei et intellectus
cioè ‘parificazione della realtà e del nostro modo di intenderla’, dove peraltro quell’intellectus è già un’anticipazione del ‘capire’ e quindi non dovrebbe partecipare alla propria definizione. Meglio vanno le cose se traduciamo intellectus con ‘immagine mentale’ (della realtà). Resta comunque –per me– l’impressione che manchi qualcosa che colleghi: la realtà –letteralmente ‘la cosa’– con la sua immagine. E questo qualcosa dovrebbe avere duplice natura di ‘cosa’ e di ‘immagine’, così da poter assumere la funzione mediatrice. Chiamiamo ‘modello’ questo ‘qualcosa’. Ma perché inserire tra la realtà e la sua immagine un terzo elemento?

Perché i primi due sono in perenne trasformazione, mentre il modello, artificialmente costruito, lo consideriamo immutabile tutto il tempo che ci serva per i necessari confronti. Ma non potremmo costruire un modello mobile, trasformazionale come la grammatica di Chomsky? È la grammatica di Chomsky a essere trasformazionale, non il suo modello. I modelli, perché ci si possa lavorare, bisogna che abbiano un certo grado di solidità. Non possiamo scolpire l’acqua a meno che non sia allo stato di ghiaccio.

giovedì 7 aprile 2011

Marmellato di albicocchi...

Disegno di José Guadalupe Posada

[74]
Non riusciva più a scrivere neppure una riga. Lui che aveva riempito scaffali su scaffali di saggi, racconti, poesie, è come se non avesse pubblicato mai nulla. Eppure gli editori gli stavano dietro, convinti che avrebbe potuto ancora rinnovare i passati successi, addirittura superarli, visto il sempre crescente interesse per la sua opera. I suoi libri avevano raggiunto la popolarità senza per questo scontentare il pubblico più esigente. Era capace di parlare all’uomo della strada non meno che al filosofo, al sociologo, al letterato. Anzi, questa sua polivalenza espressiva cominciava essa stessa a farsi oggetto di studio, dopoché per anni se ne era parlato solo in termini laudativi.

E ora era tutto finito; ora che aveva imparato perfino a scrivere senza idee, solo in forza di una tecnica che –lui credeva– lo metteva al sicuro di ogni défaillance. A dire il vero, gli era capitato da qualche anno –da quando aveva preso a lavorare a più libri contemporaneamente– di proseguire in un libro un discorso che avrebbe dovuto trovarsi in un altro, ma, o lui o un qualche suo correttore di bozze, se ne erano accorti in tempo utile per mettere le cose a posto. Da alcuni mesi qualcosa di simile gli accadeva anche con le frasi, perfino con le parole. Editori e lettori pensavano che si trattasse di una svolta stilistica, un coraggioso attentato al linguaggio, ma quando lui vide, appena scritta, la seguente frase:
“E con ciò ritengo di mostarda al di là di ogni deplorevoli collegiali, anzi ‘collegiali’ in quanto li ho sempre preferiti al femminile, come il marmellato di albicocchi…”,
decise di farla finita…

Ne ritrovarono i pezzi sotto i mulini a vento della Mancia.

mercoledì 6 aprile 2011

Tiratene le conseguenze


[73] Quando dico ‘Fido è un cane’ intendo dire che ‘Fido è un elemento della classe dei cani’. Il verbo essere non identifica infatti –non può farlo– due oggetti incomparabili, perché pertinenti a diversi livelli di significazione. ‘Fido’ designa un’entità reale (o immaginata come reale), ‘cane’ designa un’entità mentale (che forse non dovrebbe neppure chiamarsi ‘entità’) cui nulla corrisponde sul piano della realtà. L’uso del verbo essere in questi casi non è che una scorciatoia espressiva.

In ‘Carlo è buono’ il verbo essere ha funzione ‘attributiva’, cioè attribuisce a Carlo la qualità della bontà. Se dicessimo ‘Carlo è una persona buona’ ricadremmo nel caso precedente. Comunque la funzione attributiva (più spesso si dice ‘predicativa’) è legata al punto di vista –all’UCL– di chi l’attribuisce. L’uso più frequente del verbo essere è tuttavia puramente grammaticale, per determinare modo e tempo del verbo, e in tal senso la sua partecipazione al processo di significazione è piuttosto scarsa.

Altro il caso della frase ‘Dio è’, dove con l’uso assoluto del verbo intendiamo certificare linguisticamente un dato di fatto indimostrabile: funzione fondante di un concetto (qui quello di Dio) ovvero sua indebita traslazione dal piano linguistico a quello ontologico. Verificate quanto vado dicendo con il parere di un effettivo filosofo del linguaggio (io non lo sono di certo) e, se lo ritenete opportuno, tiratene le conseguenze.

martedì 5 aprile 2011

Circuito autogenerativo - ancora


[72] Il circuito autogenerativo (c.aut.) di cui abbiamo parlato un paio di postini fa, ha, nella versione proposta dal CMC, se non un decalogo, un eptalogo cui attenersi nella pratica. Vediamo meglio.
Anzitutto chi sono gli ‘attanti’?
Coloro che agiscono o intendono agire alle condizioni espresse dai sette punti.
E in che senso costituiscono un ‘sistema’?
Perché hanno deciso di lavorare insieme intorno a un problema o argomento attenendosi a quei punti.
Il primo di essi è forse il più difficile da osservare in quanto presuppone una (momentanea) rinuncia alle proprie convinzioni in favore di modi di pensiero a noi estranei. È tuttavia il punto più importante.
Il secondo è si può dire ‘tecnicamente’ difficile perché la maggior parte di noi ritiene assolute le proprie verità e non riconosce neppure la loro dipendenza da un qualche UCL.
Il punto terzo è difficile da accettare per le nostre abitudini culturali, mentre il punto quarto discende dal punto secondo. E pone l’ulteriore difficoltà di riconoscere e dichiarare apertamente la propria relatività.
Anche il punto quinto contraddice per lo più le nostre abitudini culturali.
I punti sesto e settimo avanzano due ipotesi corroborate anche da recenti esperienze condotte sui primati e in particolare sull’uomo, ipotesi secondo cui, da un certo livello evolutivo in poi, il cervello, che già possiede una ‘struttura a rete’, tende ad ampliarla con il concorso di altri cervello. Del resto un’analoga tendenza si manifesta già negli insetti sociali.
Visti i risultati che si ottengono con il c.aut., c’è solo da meravigliarsi che gli uomini continuino a preferirgli il modello competitivo, la cui applicazione intensiva è, oltretutto, estremamente pericolosa.

lunedì 4 aprile 2011

Decollo di nuovo


Brevi ma intensi due giorni a Cantalupo.

Resoconto sintetico dei lavori svolti:
- revisione dell'oblò, conferma della decisione di continuare a pubblicare metodicamente i Postini secondo la loro sequenza di composizione,
- inventario dei Postini fino al 586 (inizio Aprile 2011),
- completamento del primo canovaccio del volume Parabole - rimane da decidere la soluzione per punti isolati dove ci sono questioni comunicative da chiarire,
- prima revisione del volume (già trascritto) di Stili di pensiero - decidendo le impostazioni per il primo canovaccio,
- inventario dettagliato dei 197 Progetti (sia presenti nel sito del CMC che nei due volumi già rilegati) - prima diagnosi dei possibili miglioramenti, delle questioni ad affrontare per un'ipotetica versione 2.0 (compresa nelle Indagini Metaculturali, Volume VII),
- preparazione per la scanerizzazione delle partiture del 1994 (11 quaderni),
- divertita analisi di alcune delle immagini del sito di Jeffrey Milstein, in specie della loro relazione con alcune realizzazione dei bambini già presenti nel volume Esperienze grafico-pittorico di base (Il muro dei cinque sensi, Due campi, ...)

più lunghe conversazioni, rimembranze, disquisizioni, analisi, discussioni varie... ottimo cibo, buon vino, gatti e assioli...

Quindi... tocca decollare di nuovo. A presto, Cantaloop!

domenica 3 aprile 2011

L'assiolo


(582) Non è proprio così, ma mi piacerebbe che lo fosse.

Tutti gli anni nella notte tra il 31 marzo e il primo aprile arriva da noi, e precisamente sul sambuco dietro casa che ha appena messo le foglie, l'assiolo. In questa notte, sei anni fa è morto Sergio, l'amico di una vita, e questa notte Paola ha perso l'amica sua forse più cara, Annarosa. In ambedue i casi la nostra malinconia si è riflessa nel melanconicamente ripetuto 'chiù' del piccolo strigide. Lo squillante richiamo risuona a notte fonda come il gioioso urtarsi di due cristalli...

Ma insomma, come è il canto dell'assiolo: melanconico o gioioso, nunzio di primavera o di conclusa stagione di vita? L'animale è indifferente alle nostre aggettivazioni: lo spinge solo il brutale istinto del sesso, lo stesso che spinge al canto i nostri poeti musicisti. Perché allora chiamarlo 'brutale'? Forse perché ci viene in mente l'accoppiamento di due leoni. Ma due assioli?

La vita, per sussistere, ha bisogno della malinconia notturna del chiù come dell'assolato ruggito del leone.

sabato 2 aprile 2011

Un'osservazione


[71] Le persone che non s’intendono di animali, se per una qualche ragione si trovano a doverne descrivere uno a loro sconosciuto, in genere vi parleranno di un essere inesistente, addirittura impossibile. Come mai?

Perché tutti noi normalmente non tanto vediamo ciò che stiamo guardando ma il modello di ciò che, in base alle nostre conoscenze, ci aspettiamo di vedere. E, se queste conoscenze sono scarse o nulle, dobbiamo anzitutto costruire quel modello. Ma come fare, se ci manca proprio la materia prima?

Cercheremo allora di assemblare alla bell’e meglio elementi delle più varie provenienze aiutandoci con quel poco che possono suggerirci supposte analogie o il ‘sentito dire’. Ed ecco l’animale che ci viene descritto assumere forme strane e improbabili, spesso accolte dalla fantasia popolare e rinforzate da miti e leggende e, recentemente, dalla letteratura fantascientifica. Talora questi ingredienti si mescolano dati provenienti dalla scienza ufficiale, come quando si è voluto classificare il ‘mostro di Loch Ness’ come una particolare forma di dinosauro acquatico.

E se ritrovassimo un fossile corrispondente a quella forma, saremmo autorizzati a credere nell’esistenza del mostro di Loch Ness?

venerdì 1 aprile 2011

Circuito autogenerativo

Masa Tacerii, La Tavola del Silenzio - Constantin Brancusi, 1937

[70]
Tra i grandi problemi cui il cammino storico delle società umane ci mette oggi di fronte, c’è l’integrazione delle diversità culturali. In altri periodi il problema si risolveva violentemente con la guerra. Oggi, con la globalizzazione da un lato e la potenza distruttiva delle arme atomiche dall’altro la soluzione bellica, benché ancora largamente adottata e improponibile oltre un certo raggio. Le varie culture, pena l’estinzione della specie umana, dovranno quindi trovare altre modalità risolutive dei conflitti. E, prima che in politica, dovranno trovarle sul piano educativo. E qui balza in primo piano la responsabilità delle scuole, soprattutto nei suoi gradi inferiori, più immediatamente formativi.

Come CMC abbiamo elaborato negli anni un modello di interazione sociale che è risultato di qualche utilità pratica nella gestione della diversità: il circuito autogenerativo, di cui mi limito in questo postino a segnalare le caratteristiche essenziali, lasciando che il volenteroso lettore ci rifletta su in attesa di farlo poi collettivamente, appunto in circuito autogenerativo (c. aut.). Con questo termine intendiamo un sistema di ‘attanti culturali’ costituito intorno a un particolare problema o argomento alle seguenti condizioni:
1. Ogni attante è disposto ad assumere provvisoriamente il punto di vista di qualunque altro.
2. Ogni attante è disposto a relativizzare il proprio punto di vista riconducendolo all’UCL o agli UCL di appartenenza.
3. Eventuali dislivelli di competenza non comportano automaticamente una gerarchizzazione dei punti di vista.
4. Non vige la ricerca di una verità assoluta ma il confronto di verità relative associate a punti di vista (a UCL) dichiarati.
5. Vige un regime non competitivo ma sinergetico.
6. Si assume l’ipotesi che il rendimento di una ‘rete di cervelli’, caratterizzata da autogeneratività, sia superiore alla somma dei rendimenti individuali dei suoi componenti.
7. Anche individualmente si assume l’ipotesi che la proiezione di un tale ‘sistema a rete’ sul cervello singolo ne potenzi il rendimento.

A tra breve.