mercoledì 5 ottobre 2011

Il mio allontanamento dalla nobile arte dei suoni

[213]
In questi giorni Patrizia Conti sta aggiornando il catalogo pubblicato nel libro L'Utopia possibile di Giorgio di Martino, e questo mi dà l'occasione di riguardare le mie composizioni dal 2003 al 2009, anno in cui ho smesso definitivamente l’attività musicale dopo che, nel 2006 l’avevo già interrotta per un anno. Anche se non sono più in grado di leggere la musica al pianoforte, mi rendo ancora conto di ciò che vedo scritto. Così vedo con chiarezza il lento declino delle mie capacità inventive negli ultimi anni, declino che mi sembra giustifichi appieno la mia decisione di smettere. Non so pronunciarmi sulla mia ‘inventiva’ precedente, so solo che, comunque stessero le cose, il declino c’è stato, accentuato ancora nei due anni di ‘falsa ripresa’. La disaffezione per il comporre ha radici lontane, rintracciabili fino negli anni Novanta, quando ho cominciato a dubitare seriamente, non tanto e non solo di me come compositore, ma, assai più in generale, della musica come espressione autonoma della società. Che la musica sia espressione, oltreché del singolo, anche della sua cultura di appartenenza, è opinione ormai corrente; meno chiaro è invece il grado di autonomia che le compete, soprattutto nella fase di massificazione culturale (e di appiattimento delle diversità sul modello euroamericano) che il mondo intero sta attraversando. Non è la prima volta che fenomeni di universalizzazione linguistica si dànno nell’occidente europeo, come anche in altre parti più o meno ampie del nostro globo. Quanto alla musica, basta ricordare il medioevo cristiano o l’età della polifonia rinascimentale o la koinè settecentesca. La novità che mi fa guardare con molto maggior sospetto la koinè rock-pop dei nostri giorni e la collusione con l’industria e il mercato. Comunque, una buona parte dei miei dubbi sulla musica dei giorni nostri ricade su di me, sulla mia incapacità ad accettarla e sulla conseguente, progressiva disaffezione negli anni recenti. Non so se attribuire a questa disaffezione il calo di capacità cui accennavo poc’anzi, o viceversa. Può infatti essere che la crescente difficoltà, anche tecnica, a trovare soluzioni compositive che mi soddisfacessero sia alla base del mio allontanamento dalla nobile arte dei suoni, sulla cui perdurante ‘nobiltà’ ci sarebbe non poco da dire.

1 commento:

Anonimo ha detto...

La nobile arte dei suoni... Caro Boris, tutti sanno o almeno sospettano che i tempi della nobiltà sono lontani per la schiacciante maggioranza della produzione musicale odierna. Probabilmente non è neppure un'eccezione storica che stiamo vivendo qui. Pensiamo alla cucina, per esempio: dal punto di vista di alcuni, l'umanità sta mangiando come i porci (o poco meglio), accontentandosi dei prefabbricati che sono sottomessi sopratutto a dei criteri economici, e pochissimi soltanto (aiutati dal solito insieme circostanziale di benessere materiale e disposizioni interne) aspirano a trattare il nutrimento come un'arte. La musica mi pare vicinissima a questa descrizione.

Ma parlando di successioni di suoni, tu sei stato da sempre uno che ha provato a trasformare attraverso un mestiere solidissimo in arte ciò che all'ascolto quotidiano rivela purtroppo una deprimente mancanza di interesse compositivo. Sei libero a dubitare criticamente dei risultati dei tuo lavori, anche se tanti tra di loro hanno già straprovato di non avere più bisogno di nessun tipo di giustificazione. Ma ai miei occhi già il tentativo, lo sforzo, l'intenzione che ti ha spinto a produrre piazzano le tue composizioni (incluse quelle della "falsa ripresa") a una distanza di anni luce da prodotti musicali contemporanei le cui qualità innegabili risiedono nelle "arti" della tecnologia e del marketing, ma non in quella compositiva. Non ti preoccupare, Boris: anche grazie a te, l'arte dei suoni rimane nobile.

Bradipo