martedì 5 dicembre 2017

Tratta L.6 – Ti vedo deluso e depresso…


[Dialogante 2]  Osservo con costernazione che anche IMC è impotente a riparare i guasti generati dalla ‘falsa democrazia’ in cui siamo vissuti per diciassette anni.
[Dialogante 1]  Sei tu, o meglio siamo noi a considerarla ‘falsa’. Per molti è stata piuttosto la forma più compiuta di democrazia, fondata sul concetto più esteso di ‘libertà’: fate pure quel che vi pare, cossiché posso farlo anch’io; oppure: se lo faccio io, è solo perché vi sentiate liberi di farlo anche voi. Una sorta di invito a una vita di bagordi del tutto incompatibile con le nostre condizioni economiche, sociali, avrei detto, anche culturali se il termine non fosse stato adeguatamente preparato da decenni di ipocrisia democristiana. Ma non era più tempo neppure di ipocrisia. Bunga bunga per tutti e, soprattutto, via libera alle promesse, non importa se smentite il giorno dopo dai fatti. Tutto questo davanti agli occhi divertiti di un mondo non so quanto migliore, certo più prudente e riservato.
[Dialogante 2]  Nulla ha potuto fare l’opposizione, nulla la Chiesa e, temo, nulla avrebbe potuto fare IMC, anche se avesse avuto una qualche voce in capitolo.
[Dialogante 1]  Ti vedo deluso e depresso, proprio adesso che il piccolo guastatore sta uscendo di scena
[Dialogante 2]  Sì, ma i guasti restano, soprattutto quelli mentali. Fino a poco tempo fa avrei pensato che bastasse IMC a guarire elementi. Oggi mi sembra che la mentalità berlusconiana prosperi sullo stesso terreno di IMC, cioè sull’impossibilità di costruire baluardi ideologici contro il nulla.
[Dialogante 1]  Già il fatto che chiami il nulla quella mentalità mi rassicura. Se anche IMC nasce sullo stesso terreno, mi viene da pensare non al nulla degli spazi intergalattici ma al ‘nulla’ immediatamente precedente il Big Bang, quando il Tutto era lì per essere: potenzialità estreme di contro al disperante vuoto dell’esserci stato.
[Dialogante 2]  Ti diletti in metafore cosmiche. Ma la realtà e soprattutto quella berlusconiana non meritano tanto. Pensiamo a costruire qualcosa che ci permetta una sopravvivenza decente e accessibile a tutti. E in questo credo che IMC posso ancora darci una mano. 

lunedì 4 dicembre 2017

Tratta L.5 – Il dubbio più grave devastante…


Purtroppo non posso ancora lasciarmi alle spalle l’incubo di quasi un ventennio, in cui ho visto abbassarsi come non mai il livello di coscienza di un popolo che pure in altri tempi era stato magnificato oltre ogni limite. Come era potuto accadere? Per giunta ad opera di una persona di evidente mediocrità e insipienza?
Il dubbio più grave devastante è che fosse dipeso proprio dall’assetto politico-sociale in cui, dopo la caduta dei grandi regimi totalitari, avevamo riposto – noi in Occidente – speranza e fiducia: la democrazia. Eravamo convinti che la parola significasse qualcosa di riconoscibile, di definito, cui dare il proprio assenso sapendo a che cosa lo si dava. E questo credo sia stato il più grave dei guai operati da Berlusconi e da coloro che lo hanno aiutato: la svalutazione, forse senza appello del modello democratico.
Se qualcosa potrà, non dico salvarlo, ma rigenerarlo, e solo il dubbio, espresso nella domanda:
La democrazia, senza altr’aggettivazione, è un ‘modello’?
O ne comprende altri, troppi, tra cui per esempio la pregressa D.D.R. [1], o il modello Bush, che di ‘democratico’ hanno ben poco e che, se li riconoscessero come modelli di democrazia, toglierebbero a quest’ultima ogni credibilità politica. Pensare che, come quelli, anche il governo Berlusconi rientri tra le accettabili forme di democrazia finisce per azzerarla tutta.

[Dialogante 2]  Che cosa è quindi ciò che certifica come tale un modello ‘democratico’?
[Dialogante 1]  La consapevolezza che lo sia.
[Dialogante 2]  Ma anche cittadini che hanno giurato sul modello proposto da Berlusconi ritenevano probabilmente di essere consapevoli.
[Dialogante 1]  Forse la consapevolezza non è sufficiente se non è garantita dall’autonomia del pensiero. È un pensiero reso collettivo dalla sovrabbondanza dei mezzi di comunicazione di massa e dalla banalità delle sue espressioni, lo diresti autonomo?
[Dialogante 2]  Sì, finché non sapessi dare una affidabile definizione di autonomia.
[Dialogante 1]  E non ce l’hai una tale definizione?
[Dialogante 2]  Berlusconi me l’ha cancellata.
[Dialogante 1]  Ecco il peggiore dei suoi guasti.



[1]           Deutsche Demokratike Republik

venerdì 1 dicembre 2017

Tratta L.4 – Ma è acqua – speriamo – passata [???]


[Finalmente abbiamo la certezza che fra due giorni – sabato 12 ottobre 2011 – Berlusconi confermerà le preannunziate dimissioni da Capo del Governo. Siamo ancora a un futuro promesso e, dati i precedenti, non ci sarebbe da fidarsi, ma ormai la situazione è a tal punto deteriorata che anche un ennesimo sussulto del morente governo non la cambierebbe in nulla.
Non è mia intenzione sprecare più di una pagina di queste tratte per ricordare un periodo tra i più oscuri e infausti della nostra storia recente. Non so che cosa recriminare di più: il tracollo politico-economico del nostro paese o l’ondata di stupidità che ci ha investiti o la quotidiana miseria in cui ci siamo trovati immersi per avere dato fiducia a una persona alla quale nessuno si sarebbe sognato di darla in condizioni di normale sobrietà. Non è la prima ubriacatura collettiva cui mi è capitato di assistere. La precedente – il fascismo, il nazismo e per certi versi anche il comunismo – hanno avuto gli esiti tragici che tutti conosciamo. La fortuna – non certo l’accortezza degli italiani – , ma soprattutto la pochezza degli attori di questa improvvisata farsa ci ha evitato di sprofondare nel ridicolo. Nulla hanno potuto le nostre sinistre, ben poco i generosi sforzi di una minoranza resa impotente dalla dilagante ottusità popolare. Implacabili, le votazioni risultarono favorevoli al piccolo ciarlatano imbottito di soldi. “Se c’è riuscito lui, perché non anche noi?” Ed ecco che la statura intellettuale media dell’italiano sia abbassata al livello del suo leader.
Ma è acqua – speriamo – passata. Ci sovrastano comunque ancora un debito pubblico di lontana provenienza, un giudizio concorde di inaffidabilità da parte della comunità internazionale, una stagnazione economica con pochi precedenti e, più grave ancor, la disabitudine al pensiero autonomo, sostituito dal pensiero – se di pensiero si tratta – dei comunicati commerciali e degli slogan televisivi. Grazie, Gelmini! Basta, con questo scaduto argomento. Data l’età, non so se mi rimetterò dagli anni berlusconiani. Intorno a me vedo però forze giovani ed è su loro che dobbiamo fare affidamento.] 

giovedì 30 novembre 2017

Tratta L.3 – … metafora del pensiero umano.


[La ‘scrittura’ bachiana come metafora del pensiero umano. Non per il contenuto di questo pensiero ma per il suo modo di funzionare. Ascoltando quella musica si ha l’impressione di percepire sensorialmente il lavoro che il pensiero compie nella sua normale attività: cessando nelle riserve mentali, trovando, collegando, distinguendo, inventando, ordinando, scomponendo, ricombinando, attribuendo o sottraendo significati ecc. La musica, e quella di Bach in particolare, non tanto genera pensiero quanto è pensiero essa stessa, cristallizzato nei rapporti di struttura fissati dalla grafia. Ma dalla fissazione grafica si dipartono infiniti rimandi a cui Bach invita l’ascoltatore attraverso la densità referenziale del suo messaggio. E qui non si può fare a meno di considerare l’enorme patrimonio di conoscenze musicali, filosofiche, teologiche posseduto da Bach e quotidianamente messo a frutto nel suo lavoro – compositivo nel senso più ampio. Così, a volerci attenere alle sole competenze musicali, Bach aveva a sua completa disposizione la grammatica contrappuntistica ereditata dai secoli precedenti (scuole fiamminga e romana), le ricerche armoniche (cromatismo) del Cinque-Seicento, le tradizioni strumentali italiani (Frescobaldi, Corelli, Vivaldi), francesi (Couperin), tedesco-settentrionali (Buxtehude), inglesi (i virginalisti, Purcell); inoltre il teatro da Monteverdi in poi, l’arcaizzante recitativo di Schütz (Bach non ha mai scritto per teatro ma le sue Cantate e Passioni dimostrano anche in questo campo la sua profonda conoscenza). Probabilmente la storia della musica non ha da registrare alcun altro caso di così esaustiva competenza musicale. La singolarità bachiana consiste però soprattutto nella compressione di tutto questo ‘sapere’ nell’atto della parole musicale, che quindi, proprio grazie a tale concentrazione, raggiunge una ‘universalità’ non ideologica ma effettiva testimoniante dalle infinite contaminazioni, ibridazioni che si osservano con i più diversi stili e linguaggi, compresi vari momenti della musica di consumo.
Questa ‘universalità’ di Bach, che preferisco chiamare ‘apertura una lettura non culturalmente condizionata’, è ciò che suggerisce la lettura della sua musica come ‘metafora del pensiero umano’.]


mercoledì 29 novembre 2017

Tratta L.2 – Altre connessioni…



[Alcuni aspetti del suo comportamento compositivo trovano chiare corrispondenze con gli automatismi quasi meccanici delle sequenze muscolari che presiedono ai nostri abituali movimenti. Si pensi solo al movimento a stantuffo che domina l’intero primo tempo del Sesto concerto brandeburghese. Certo l’accentuata periodicità non è caratteristica della sola musica di Bach, basta pensare alla musica popolare, spesso legata alla periodicità dei movimenti di danza, a sua volta legata al risparmio energetico che ne deriva. Anche se non solo sua e della musica barocca in genere (vedi la pratica del ‘basso continuo’) la periodicità ritmica è alla base del suo successo anche fuori dall’ambito originario. In opposizione complementare a questa meccanicità – che rimanda alla concezione che della vita animale aveva Cartesio [1] – la pratica musicale barocca sviluppa una libertà esecutiva e improvvisativa che andrà perduta quasi del tutto in età successive.
In un certo senso non è azzardato vedere nella produzione bachiana, in quanto summa culturale di tutta un’epoca e del suo ‘stile di pensiero’, uno dei punti di arrivo, forse tout-court l’apice evolutivo delle potenzialità umane. Affermazioni del genere non godono ovviamente di alcun supporto dimostrativo e restano, anche se condivise, a completo carico di chi le fa o condivide. Ciononostante non riesco a trattenermi dal ripeterle di tanto in tanto. Non si tratta di istituire graduatorie di merito. Sere fa per esempio ho riascoltato l’op. 111 di Beethoven con l’astrale Arietta; ieri è toccato ancora una volta alla Morte e la fanciulla nella splendida esecuzione del quartetto Berg e ho riprovato l’impressione del non plus ultra. Ambedue le volte l’impressione è stata di qualcosa di estremo, di irrepetibile, anche se sapevo che queste condizioni estreme di irripetibilità erano sì uniche nel loro essere così e non altrimenti, ma che accanto a queste, altre ve n’erano, sempre diverse, ma altrettanto uniche.
Con Bach le cose stanno diversamente. Lì non è tanto la singola opera a costituire un unicum, ma è la normalità di un’intera produzione a riflettersi nel caso singolo come un unicum. Bach non può scrivere ‘capolavori’, perché in lui l’eccellenza produttiva e di assoluta normalità e non certo sotto il solo profilo tecnico (che cos’è la ‘tecnica’ in Bach?). Sembra quasi che il suo cervello non potesse funzionare che ha un livello di massimo rendimento. Proprio per questo mi piace vederci il prototipo probabilmente ineguagliabile di tutte le categorie. Credo quindi che uno studio esaustivo del pensiero umano deva incentrarsi sul funzionamento del cervello bachiano.
Per singolare fortuna abbiamo di quel funzionamento l’inequivocabile traccia nella scrittura della sua opera.
Qualcuno dirà che qualsiasi scrittura è la traccia del pensiero che l’ha generata, il che è ovvio. Nel caso della musica l’ovvietà si estende al fatto che non è neppure necessario passare per il significato di ciò che è scritto, perché è sufficiente mantenersi all’interno delle convenzioni sintattico-grammaticali del linguaggio musicale per afferrare le connessioni tra l’attività cerebrale e l’effetto anche emotivo che essa produce. Ciò vale per la musica tutta e il caso Bach non farebbe eccezione. Ma in lui le connessioni si moltiplicano, alcune delle quali non percepibili sensorialmente ma attivi a livello subliminale cosicché l’informazione che esse forniscono è quella di un’organicità interna non dissimile da quella di un organismo vivente. Altre connessioni però, in numero indefinitamente crescente, si manifestano a uno studio più dettagliato. Più uno crede d’essere penetrato nei meccanismi più reconditi del pensiero di Bach, più questo si ritira sfuggendo alla comprensione. Non tanto alla comprensione della sue strutture che stanno lì, davanti ai nostri occhi, ma di come sia stato possibile pensarle quando ancora non c’erano. Certo, esistevano i presupposti logici i grammaticali per costruirle, quelle strutture, ma la loro complessità, una volta costruite, non sembra compatibile con le capacità costruttive di un cervello umano, per quanto dotato e allenato. Non si tratta infatti di prestazioni-limite, ottenute solo una o poche volte nel corso di un’intera vita produttiva – e quanto produttiva! – , bensì di una condizione normale, o meglio di una normalità tutta eccezionale, di cui non saprei citare l’equivalente in nessun altro contesto produttivo.]



[1] Che considerava gli animali come delle vere e proprie macchine.