domenica 30 gennaio 2011

16. La concatenazione dei postini


Alle volte i postini li troviamo tematicamente isolati, ciascuno per conto suo, altre volte concatenati in serie più o meno lunghe. Perché? Non so. Forse per variare (vedi numero 6).

Probabilmente sì, come in questo caso. Ma quali sono i criteri tematici che ci permettono di costruire delle serie di postini?

Penso che anche i criteri possono essere i più diversi …

… e forse più o meno vincolanti.

Spesso li troviamo dichiarati nel titolo stesso della serie. Qui per esempio: Diciannove postini su come si scrivono i postini.

… o nella serie precedente: Dieci zoodialoghi coniugali, ben diversa da questa, anche come stile: didascalico nei diciannove, umoristico nei dieci.

In questi neppure è sempre mantenuta la fedeltà al genere dichiarato: non sono tutti dialoghi.

Quindi, dato un titolo, non è necessario tenergli fede?

Che domande mi fai! Vedi leggi dappertutto. Se chi ha scritto quei postini e gli ha dato quel titolo, vuole che si corrispondano, bene; altrimenti notiamo che questo non accade e la cosa finisce lì.

È come fare una promessa e poi non mantenerla.

Direi: per poi non mantenerla. È una forte informazione aggiunta che riguarda il futuro, equivalente a: sta in guardia!

Cioè: le parole possono dire più di quanto non dicano …

… come in questo postino che appartiene alla serie dei diciannove pur parlando di tutt’altro.

Già, perché poi diciannove e non venti?

Perché sono finite le righe della pagina.

venerdì 28 gennaio 2011

15. La forma


- Il concetto di forma comprende tutti quelli fin qui elencati (numeri 3-14) e molti altri ancora. Una trattazione non superficiale anche relativa ai soli postini prenderebbe uno spazio che non possiamo permetterci stando alle dimensioni medie che ci siamo dati per essi.

Allora non parliamone affatto.

È il tutto o niente, criterio massimalista che di regola porta al niente o peggio.

E quale sarebbe il peggio?

Lo scontro, la guerra. Ma non divaghiamo. Domandiamoci come si può parlare di forma senza arrivare al trattato, che, nel caso dei postini, sarebbe addirittura ridicolo. Affidandoci al senso formale.

Pensi che esista, sia possibile parlare di un senso della forma?

Le vespe vasaie (Eumenes) che svolazzano per casa ce l’hanno, dal momento che costruiscono dei nidi di argilla graziosissimi.

Siamo noi che li troviamo graziosissimi. Per loro e le loro larve sono solo funzionali. E per giunta la loro forma non è volontaria ma costruita per istinto, così come non è volontaria –e neppure istintuale– la forma affusolata di un cipresso.

Ed è così che si esprimerebbe in natura un ipotetico senso formale?

Che potrebbe rientrare tra i principi fondamentali della vita.

Anche i profili delle montagne e le onde del mare hanno una loro forma, che non si può attribuire a una attività biologica.

Di cui però possiamo formalizzare matematicamente i risultati, quelli attraverso la teoria dei frattali, questi attraverso la fisica newtoniana.

Quante cose sai!

Sono andato a scuola.

Quindi il senso della forma lo si acquista studiando.

Direi piuttosto osservando forme diverse, alcune codificate, altre no, ma soprattutto inventandole e divertendosi a inventarle.

E come si fa a sapere se una forma è buona per il suo contenuto oppure no?

Aspettando. Se il tempo porterà e soprattutto manterrà il consenso, la forma è buona, se non lo manterrà, non lo è, oppure richiede altro tempo e si va ai supplementari.

mercoledì 26 gennaio 2011

14.La delectatio


Perché parli in latino?

Perché in italiano diletto indica prevalentemente la condizione di chi viene dilettato, mentre dilettazione è parola che si capirebbe ma non si usa. E poi un po’ di sfoggio letterario a buon mercato non guasta.

Insomma vuoi sostenere che i postini, oltre che invitare alla riflessione, vogliono dilettare?

Forse non devono, ma sarebbe bene che lo facessero.

E perché?

Per farsi leggere. Chi leggerebbe –o ascolterebbe– anche solo due postini, se non lo dilettassero almeno un poco?

E tu pensi che i nostri lo facciano?

Lo spero. E spero che anche tu lo speri.

Speriamo!


– – – – – – –


Come si fa a dilettare il prossimo? Anche con dei postini? È una cosa che si impara?

Non penso. C’è qualche probabilità quando chi li compone si diverte.

E non ci stiamo divertendo?

Qualche volta.

E può capitare che si diverta il ricevente e non l’emittente?

È quanto ci auguriamo.


– – – – – – –


È piuttosto raro che l’argomento dei postini sia divertente. Bisogna affidarsi alla forma (vedi numero seguente).

Umorismo e seriosità vanno d’accordo?

Anche questo è abbastanza raro. Ma quando capita, l’espressione e la trattazione (vedi numeri 4. e 5.) ci guadagnano.

Ma non è solo l’umorismo a dilettare. Anche l’interesse può farlo e anche un argomento che non lo sia può essere reso interessante dal modo come viene esposto. E questo lo si può imparare, al meno fino a un certo punto.

E come?

Leggendo. Di solito si legge o per necessità –perché si ha bisogno di certe informazioni– o per diletto. Ma si può leggere anche per imparare a comunicare –a scrivere, a comunicare– efficacemente.

E che vuol dire efficacemente? Vuol dire che bisogna essere scrittori o oratori?

Se lo si è, tanto meglio. Ma anche senza avere nessuna ambizione in questo campo, possiamo educare noi stessi a esprimerci in modo di interessare l’altro semplicemente ascoltando, cosa che spesso non facciamo, convinti come siamo che l’altro lo faccia. La delectatio fa parte della tecnica comunicativa, utile, se non necessaria, a chiunque voglia entrare in relazione col suo prossimo. La lingua ci fornisce gli strumenti. Sta a noi imparare a usarli.


lunedì 24 gennaio 2011

13. La comprensibilità


−Credo la principale qualità per un atto comunicativo, quindi anche per i postini, sia la comprensibilità.
−Comprensibilità per chi? Un testo scientifico può essere comprensibilissimo, addirittura banale per chi se ne intende, del tutto incomprensibile per altri. La comprensibilità non è una qualità specifica di un testo, ma una modalità relazionale che include anche la qualità del ricevente.
−D’accordo, ma, una volta che siano note queste ultime, anche la comprensibilità è più o meno misurabile, almeno statisticamente, e, in particolare per i postini, che vorrebbero essere testi di larga accessibilità, penso che l’espressione andrebbe semplificata al massimo in rapporto al contenuto.
−La semplificazione potrebbe presentare delle difficoltà pressoché insormontabili se il divario tra la competenza media del destinatario e quella necessaria per una sufficiente comprensione del testo supera una certa soglia. Ne sanno qualcosa i compilatori di testi divulgativi, anche nel caso che si tratti degli stessi autori primari.
−Ma è una difficoltà che non si pone per i postini.
−Ed è per questo che ne proponiamo la composizione alle scuole (vedi oltre n. 19 di questa serie).
−Il guaio è che, per render comprensibile un argomento, bisogna averlo compreso ben oltre ciò che serve, e non sempre gli autori di postini, incluso il presente, offrono sufficienti garanzie. Chi scrive postini non ha in genere una forte autorità da esibire, e anche se la avesse, è bene diffidare delle autorità.

sabato 22 gennaio 2011

12. La rarità


−Nella valutazione di autenticità di più lezioni a noi pervenute di un antico testo si dà importanza alla lectio rarior, alla forma più rara, meno ovvia, come quella più probabilmente corretta, non deformata dall’uso corrente.
−Un metro di giudizio assai aristocratico anche se in molti casi – letterariamente giustificatissimo! Ma nelle espressioni senza pretese di dignità letteraria ha senso privilegiare il termine e il costrutto più raro rispetto a quello comune?
−Mi domanderei piuttosto se ha senso porsi domande del genere senza specificare il dove e le circostanze dell’atto comunicativo nel suo insieme. Così suonerebbe storpio o fortemente ironico se dicessi: “Il destriero (anziché il cavallo) partì a razzo fino alla prima curva, poi inciampò e cadde rovinosamente.” Mentre tutto andrebbe bene nella frase: “Il destriero di Carlo V precedeva, anche se di poco, quello di Francesco I.”
−Anche la rarità di un termine e del suo uso va quindi valutata in relazione al contesto –espressivo e situazionale– in cui intendiamo inserirlo. Il consiglio è sempre lo stesso: badiamo alle parole e a come ce ne serviamo.

mercoledì 19 gennaio 2011

11. La fonicità


−Una volta che ci si sia accordati sul significato del termine fonicità, mi sembra che il discorso possa essere assai simile a quello per ritmo.
−Cioè? Cosa proponi?
−Per fonicità intenderei qualcosa come il sound in musica: il sound di un’orchestra classica, di una band, di un complesso folclorico ecc; il suono di un verso di Dante o di Ariosto.
−Ma nel caso di testi letti in silenzio?
−Siamo ugualmente in grado di percepire il suono. Per esempio Leopardi chiude il suo Passero solitario con la rima interna:
Ahi, pentirommi, e spesso,
ma sconsolato volgerommi indietro.
Molti la ritengono goffa e pesante, altri assai efficace per rendere lo stato d’animo del poeta.
−Sicché non si parlerà di una fonicità buona e di una cattiva, se non riferita a un dato progetto espressivo.
−Gli uomini –e le donne– ci tengono troppo alla loro facoltà giudicante per astenersene o anche solo per farne un uso moderato.

lunedì 17 gennaio 2011

10. Il ritmo


−Mi sembra che queste nostre considerazioni non riguardino solo i postini, ma la comunicazione verbale in genere.
−Tanto di guadagnato se così fosse, ma non sono tanto ottimista.
−Prendiamo per esempio il ritmo. Questo riguarda sì la lettura dei testi, ma, implicitamente, anche la scrittura.
−Tuttavia non è certo lo stesso per uno dei questi postini o per un romanzo di settecento pagine.
−Ma che cosa intendiamo per ritmo?
−Direi il rapporto tra le parti di un discorso ai vari livelli in cui lo articoliamo, da quello minimo delle unità verbali, attraverso i rapporti di lunghezza delle frasi, dei periodi, fino alle sezioni più ampie, come i capitoli.
−E come debbono essere questi rapporti, regolari, irregolari, costanti, variabili?
−Non credo occorra regolamentare in alcun modo il ritmo. È sufficiente rendersi conto di questa dimensione del comunicare. Le scelte possono essere le più diverse.
−Anche per i nostri postini.

sabato 15 gennaio 2011

9. L'essenzialità



−Mi sembra logico affermare che, proprio per la loro brevità, i postini debbano rifuggire dal superfluo, dall’inutile ornamento, debbono cioè mirare all’essenzialità.
−Potrei dirmi d’accordo con te se sapesse distinguere che cosa in una comunicazione è essenziale da ciò che non lo è.
−Spesso nel parlare o nello scrivere rivestiamo il nocciolo che vogliamo comunicare di parole che lo lascerebbero intatto anche se non ci fossero. E di queste i postini, ma non solo loro, dovrebbero sapere fare a meno.
−Ma chi giudicherà di quali parole il parlante o lo scrivente avrebbe potuto fare a meno? Nel momento del comunicare, una parola che il ricevente considererà superflua potrebbe essere essenziale per il comunicante, oppure il contrario, Ciò che per l’uno è il vero contenuto del messaggio, non è detto lo sia anche per l’altro. Tutto dipende dal progetto comunicativo e da come viene interpretato ai suoi estremi.
−Bene, allora limitiamo a dire che, se un atto comunicativo volesse essere il meno ambiguo possibile, sia l’emittente sia il ricevente debbono considerarlo essenziale.

giovedì 13 gennaio 2011

8. La parola



−In una composizione verbale così compressa e al tempo stesso destinata all’uso comune, come lo sono questi postini, la parola va soppesata con la massima attenzione.
−Perché, di solito non ci si bada?
−Purtroppo no, è sufficiente che ci si capisca, il di più è considerato letteratura, roba da poeti, scrittori, roba da élite.
−Eppure a scuola ci si va tutti o quasi, mica solo i figli di letterati.
−Proprio per questo la lingua che si parla a scuola è in genere trascurata e imprecisa. Per mancanza di rispetto e amore nei confronti di uno strumento di uso quotidiano che si considera quasi un dato di natura su cui non mette conto di riflettere.
−E non è così? Comunque, i dati di natura sono degni di rispetto.
−Piè che di rispetto parlerei di conoscenza. Nella parola si riflette tutto il nostro stare al mondo e il mondo stesso nella misura in cui lo conosciamo. La parola è verità.
−Perché, le bugie con che cosa si dicono?
−Hai ragione, mi sono fatto trascinare dalle parole. Oltre tutto le parole che ci servono per dire la verità sono le stesse di cui ci serviamo per mentire.
−Allora non sono le parole a essere vere o false. Possiamo dire che sono tutte vere o tutte false. Quindi vero e falso sono uguali.
−Le parole non sono né vere né false. Sono neutre.
−Cioè non significano niente.
−Forse il problema del significato è più complesso. Le parole potrebbero avere una sorta di disponibilità alla significazione, che solo al momento in cui vengono inserite in una struttura di frase collassano un significato.
−La stessa cosa potrebbe capitare alla frase, il cui significato si preciserebbe soltanto nel discorso …
−… o nell’insieme dei discorsi che una lingua rende possibile …
−… o nell’insieme delle lingue in cui si esprime una certa cultura …
(a due) … ed eccoci a IMC.

martedì 11 gennaio 2011

7. La ripetizione


−La varietà può produrre ridondanze inutili. Se ho già un termine per designare con sufficiente precisione un concetto, a che serve avere un secondo e magari un terzo solo per non dover ripetere quello?
−Hai ragione. In molti casi conviene la pura e semplice ripetizione. Specialmente se la sostituzione può generare ambiguità, il che capita spesso. Qualche volta, soprattutto ai livelli organizzativi superiori –frase, periodo– proprio la ripetizione rinforza il messaggio proprio perché improbabile, in quanto normalmente la si evita.
−Nei postini tuttavia, per i quali l’essenzialità è quasi d’obbligo, la ripetizione a qualsiasi livello può essere d’impaccio. Penso quindi che vada usata con grande parsimonia.
−In ogni caso, anche fuori dai postini ciò che va per quanto possibile evitato è la ripetizione involontaria, priva di scopo espressivo.
−E come si fa, se è involontaria?
−Stando attenti a ogni passo che compiamo.

domenica 9 gennaio 2011

6. La varietas



−Parlavamo ieri di criteri compositivi per mantenerne l’attenzione del fruitore, lettore o all’ascoltatore che sia. Sapresti nominarmene uno di questi criteri?
−Certo, è forse il principale, la varietas degli antichi, la varietà. Intendi la varietà dell’espressione, della trattazione o dell’argomento?
−Di tutti e tre e oltre, varietà di struttura della frase, di aggettivazione, di terminologia ... Probabilmente occorre uno studio specifico in ognuno di questi settori per arrivare a una competenza linguistica che permetta di padroneggiare queste molteplici varietà senza ostentazione ma in misura sufficiente per rendere efficace la comunicazione. Non è facile accorgersi delle carenze espressive per mancanza di varietà quando si parla o si scrive, se ne accorge però chi ascolta o legge, se non direttamente, almeno per il calo di attenzione e il subentrare del disinteresse e della noia.
−Credi che questo accada anche per i nostri postini?
−Da un lato li salva già la varietà degli argomenti, ma anche la continua variabilità genera assuefazione. Di questo mi sono accorto solo strada facendo, e ho cercato di rimediare raggruppando in serie un certo numero di postini e inframmezzandole con postini sciolti. Molto potrà fare il fruitore stesso, componendo lui stesso –con l’aiuto degli indici– degli itinerari di suo gusto. Ma se per una qualche ragione si fissa un parametro –per esempio l’argomento per una trattazione scientifica o la dimensione media di certe unità come qui per i postini– diminuiscono le possibilità di variazione e ciò rende più difficile comunicare efficacemente.
−Certo in questi casi occorre attivare al massimo la variabilità degli altri parametri in gioco, il che non è sempre possibile quando si tratta di dilettare (vedasi oltre la delectatio), oppure si rinuncia del tutto a questa funzione confidando nell’interesse specifico del fruitore, che anzi potrebbe addirittura non vedere di buon occhio un alleggerimento della pressione argomentativa.

venerdì 7 gennaio 2011

5.L'espressione


−Cerchiamo di rimanere in tema. Le parole meritano di essere trattate con cura già per quello che sono –forse la più straordinaria ‘invenzione’ biologica– sia per l’uso che ne facciamo.
−Dì piuttosto ‘gli usi’, giacché sono molti, ma non tutti ugualmente meritevoli.
−Forse in effetti, non è questione di ‘merito’ ma di appropriatezza. Un’espressione, appropriata in una certa situazione, non lo è più in un’altra.
−Ovvio, e allora quali sono i modi espressivi più adatti ai postini?
−Non credo vi sia una categoria di modi “più adatti”. Perché i postini funzionino –cioè soddisfino le aspettative dei destinatari–, è sufficiente che l’espressione, quale che sia l’argomento, sia capace di suscitare l’interesse anche del visitatore distratto, e di mantenerlo per un certo tratto.
−E come si fa a mantenerlo?
−È qui che entra in gioco la ‘tecnica’ espressiva. Ogni cellula dell’espressione, dalle frasi ai suoi costituenti (sostantivi, verbo, aggettivi ecc.), partecipa a questa ‘accensione di interesse’ (ché, per mantenersi, è come dovesse essere riacceso ogni istante) e di conseguenza deve farsi oggetto di cura permanente.
−Questo può andar bene per le dimensioni dei nostri postini, una simile tensione non credo possa essere mantenuta per un racconto più lungo, un romanzo, un poema.
−Stiamo parlando dei postini, comunque, per quel che ne so, cambiano le unità relative ai vari livelli considerati –una parola, una frase, un capoverso, un capitolo ...– ma il criterio compositivo non cambia.
−Sicché scrivere postini e come scrivere romanzi?
−Assolutamente no. Non ho mai scritto romanzi, ma penso che, seppure la composizione richiede criteri analoghi, un conto sia applicarli alle dimensioni dei postini, un conto a quelle di un romanzo, dove la più piccola delle unità si scompone a sua volta in sottounità capaci di più postini.
−E ciascuna di queste richiede la stessa cura e attenzione?
−Credo di sì, anche se spalmata su un numero più grande di pagine.

giovedì 6 gennaio 2011

Annotazioni di pedagogia metaculturale



Niente male ... diciamo che non gli manca l'autoironia ...

mercoledì 5 gennaio 2011

'Na cosa sola che le comprendeva tutte ...



Della vita ricordava tutto, ogni minimo dettaglio:
ricordava il primo respiro e l’ultimo
la dolcezza dell’abbraccio materno, poi della sua donna
i giochi dell’infanzia e il primo dolore
i molti lutti che hanno segnato i suoi anni
gli entusiasmi giovanili e i rimpianti
la continua, lenta crescita della coscienza
le molte cose dimenticate (e che ora ricordava)
gli studi, lunghi e faticosi ma a cui non avrebbe saputo rinunciare
le innumerevoli cose lette, udite, meditate
ogni albero, ogni fiore, ogni insetto ammirato
ogni essere umano conosciuto o anche solo incontrato
ogni montagna scalata, ogni acqua in cui aveva nuotato
ogni stella, ogni luce che aveva colpito il suo occhio
il brivido di tutti i freddi patiti e il calore di tutte le estati
i sogni di tutte le notti, i vaneggiamenti delle febbri
le gioie, i timori per l’imprevisto
la noia quando non succedeva nulla
la trepidazione per l’attesa
i pensieri che lo assalivano di notte, di giorno, e lo sgomento quando
avrebbero dovuto venire e non venivano
il vuoto della morte

-

In realtà non ricordava nulla di tutto questo,
ricordava una cosa sola che le comprendeva tutte:
il primo tempo della IX Sinfonia di Mahler.

[Parabola dell'onnicomprensività, Parabole, 2008, Boris Porena]

Grazie Alessandro! Grazie Dario!

martedì 4 gennaio 2011

4.La trattazione


−E come va trattato un argomento perché muova le menti?
−Prima condizione è che muova la nostra.
Seconda condizione che si muovano le parole.
Terza condizione che si muova l’argomento.
Quarta condizione che il moto si propaghi.
Quinta condizione che il moto si rifranga..
Sesta condizione che la rifrazione ci raggiunga.
Settima condizione è ...
−Tutti i moti di cui parli sembra debbano partire per ritornare solo alla mente. E il cuore?
−Quello si muove per conto suo finché gli va di muoversi. E se non si muove la mente, prima poi si ferma anche lui.
−Ma non è detto che per i postini va bene qualsiasi argomento? Quindi anche l’immobilità ...
−Forse l’immobilità non è che una forma estrema di movimento. Schubert e il Trio lo insegnano.
−Che per caso quest’ultima tua fa un postini a sé?
−Così è, se vi pare.

lunedì 3 gennaio 2011

Dimenticavamo ... buon anno!


Che memoria!

domenica 2 gennaio 2011

3.L'argomento



- Ci sono argomenti privilegiati per i postini?
- Qualsiasi argomento può andar bene.
− Come si scelgono gli argomenti?
− Non si scelgono, capitano. Anche quelli che si scelgono, capita di
sceglierli.
− Sei per il caso assoluto.
− Se dipendesse da qualcosa non sarebbe più un caso. Non amo le tautologie.
− E io non amo gli assoluti, quindi neppure il caso.
− Allora sei tu che ritieni il caso un assoluto e per questo lo rifiuti.
− Io non lo rifiuto e neppure lo accetto. Quando capita, lo sopporto.
− E se la piantassimo con questi logicismi da quattro soldi?
− D’accordo. Allora, se non ci sono argomenti privilegiati ma neppure ci si vuole abbandonare al caso, che si fa?
− Non è obbligatorio scrivere postini.
− Ma se per una qualche ragione si vuole muovere le menti?
− Ripeto: qualsiasi argomento può servire a muoverle. Dipende da come viene trattato.