lunedì 29 aprile 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (iii)


546
Ancora una volta sento di dover correggere quanto appena detto, distinguendo il pensiero tradizionalmente relativistico da quello che lo è metaculturalmente. Mentre quello si proclama relativistico, ma è di fatto assoluto o perlomeno tende a esserlo, il pensiero metaculturale integra nel suo relativismo anche l’assoluto assegnandoli un ‘luogo’ nel suo UCL.

domenica 28 aprile 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (ii)


545
Premetto che la lettura di ciò che segue richiede, per essere eventualmente condivisa, una sorta di accordo preventivo: che il lettore sia interessato alla ricerca, più che dello specifico disciplinare che distingue le singole attività nominate, di ciò che le accomuna e ne giustifica l’accostamento. Questo infatti non è ovvio né implicitamente contenuto nelle cose, ma consegue all’applicazione di IMC (Ipotesi Metaculturale), spesso ricordata in questi postini. C’è ora da domandarsi come, con quali strumenti compaiano le analisi metaculturali. E la risposta non può che essere: con la mente, cioè con la concettualizzazione dell’esperienza, ovvero con la depurazione di queste ultime dall’involucro culturale in cui l’abbiamo avvolta. Ma non è proprio questo involucro ciò che, secondo IMC, noi osserviamo, incapaci come siamo di andare oltre? E come potremmo depurare l’esperienza proprio della sua fenomenicità, della sua immagine culturale? Ancora una volta dobbiamo fare appello alla mente che, anche se non ci permette di andare oltre la culturalità, fa sì che noi la riconosciamo, rendendoci disponibili alla sua relativizzazione. Di tutto questo la nostra mente è senz’altro capace, e non da ieri ma forse da quando ci siamo differenziati, in quanto ominidi, dalla famiglia dei pongidi, ossia dalle grandi scimmie antropomorfe. Ma, se ne era capace, perché non l’ha fatto? Perché non ha acquisito precocemente uno stile di pensiero metaculturale, certo miglior garante di sopravvivenza di uno stile culturale? Un momento: siamo sicuri di questo, che la capacità di legare la comprensione al relativismo metaculturale offra maggiori probabilità di sopravvivenza che non una cultura delle certezze?

In epoche ancora molto vicine a noi un pensiero del genere era piuttosto raro che affiorasse alla mente benpensante, in quanto il vero, una volta che si fosse saputo, non avrebbe potuto essere revocato in dubbio, e chi non lo avesse riconosciuto avrebbe combattuto con ogni mezzo. Oggi però, dove lo scontro frontale sembra sempre meno adatto a risolvere le contese –nonostante questa semplice ‘verità’ sia ancora troppo poco condivisa– IMC, l’Ipotesi Metaculturale, va conquistando terreno a tutti i livelli, compresi quelli della quotidianità spicciola. Il concetto stesso di verità ultima e incontestabile va perdendo credibilità, senza che ciò pregiudichi la forza del pensiero, che anzi ha tutto da guadagnare dalla flessibilità di un’ipotesi che sappia adattarsi alla mutevolezza delle situazioni che non possono essere affrontate con strumenti mentali rigidi come il concetto assoluto di verità. A questo proponiamo oggi di sostituire quello relativistico di IMC che pervade anche tutto questo scritto.

sabato 27 aprile 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (i)


544
Ho già trattato varie volte questo argomento e mi trovo a ripetere il già detto, sempre in forma propedeutica. Qualcuno si domanderà: ma quando usciremo da questa fase propedeutica e entreremo nel vivo della trattazione?

La cosa non dipende certo da me, in quanto il ‘vivo’ ritengo che sia composto di fatti e non più solo di parole. E i fatti richiedono competenza e poteri che non possono essere di una singola persona o di un piccolo gruppo, ma coinvolgono l’intera società planetaria, che attualmente neppure lo è, ma dovrà diventarlo se vuole sopravvivere. Vediamo, ormai da parecchio tempo, che non esistono più fenomeni isolati che non si ripercuotano su una totalità maggiore di quella rappresentata dal solo genere umano. È stato probabilmente sempre così, e anche di questo molti –intere culture– si sono accorti, senza tuttavia riuscire a superare la fase propedeutica in cui ci troviamo ancora impigliati.

Non penso che il contributo, irrisoriamente piccolo, di questi postini possa farci superare tale fase, anche perché –ripeto– riflessioni e parole non bastano e le azioni che ne conseguirebbero inciderebbero su tutto il nostro modo di vivere e di pensare, rendendo estremamente improbabile una generale accettazione. E di questa abbiamo bisogno per sopravvivere alla nostra stessa presenza.

Può darsi che, come altre volte è accaduto nella storia di questo minuscolo pianeta, la tenacia della vita ci aiuti a restarci, ma a costo di un cambiamento che potrebbe renderci irriconoscibili a noi stessi, se non nell’aspetto –anche questo non è da escludere del tutto– certo nel comportamento, nelle relazioni interpersonali, nel modello o nei modelli culturali su cui regoleremo la nostra futura esistenza di sopravviventi a un’era di violenza e di sopraffazione.

mercoledì 24 aprile 2013

Intermezzo bestiale (e iv) – Strano sapore


543
[Parlano un ragno, una mosca comune e un asilide]
  • Tu che cosa mangi?
  • Insetti, prevalentemente maschi. E tu?
  • Anch’io come te (mangia la mosca comune). E tu che mangi?
  • (Non risponde, ma mangia l’interlocutore e commentaChe strano! Sapevano di mosca tutti e due! Si va verso l’omologazione alimentare. E che ne è della biodiversità, essenziale alla sopravvivenza?


FINE DELL’INTERMEZZO

lunedì 22 aprile 2013

Intermezzo bestiale (iii) – Falsità ed evidenza


542
[Parlano un ippopotamo e un cavallo]
  • Ma come avranno fatto a scambiarci per cavalli, e per giunta di fiume? quando lo sanno tutti che i cavalli sono animali di terra, e nei fiumi ci entrano solo se costretti.
  • Comunque vi hanno fatto un grande onore a chiamarvi cavalli, brutti come siete.
  • Non saremo belli, ma siamo grandi e forti. Tu, piuttosto, con quella faccia da cavallo, credi di essere bello?
  • Non lo ‘credo’, ma lo so, perché lo dicono gli uomini.
  • E tu ci credi a quel che dicono gli uomini?
  • Sì, perché se non dicessero la verità, saremmo brutti, cosa evidentemente falsa.
  • E dove sta l’evidenza?
  • Nel fatto che, se non la riconosci, ti stacco una gamba con un morso.

domenica 21 aprile 2013

Intermezzo bestiale (ii) – Anima e corpo


[541]
[Parla una Morpho]

[Le farfalle del genere Morpho, tutte del Sudamerica, sono –specie i maschi– prevalentemente di uno splendido colore azzurro. Tra queste la specie sulkowskyi, delle Ande, attira particolarmente per la delicata iridescenza del suo azzurro pallido.]

  • Ho un problema. Mi dicono che sono irrealmente bella, che nessuno può avvicinarmi senza restare incantato dalla mia bellezza. Il mio problema è questo:
"Sono io metafora dell’anima, come vorrebbero alcuni, o sono veramente un’anima, come credo fermamente?"

[Parla il topo di prima]
  • Nessuna delle due. L’anima tua è ancora il bruco che eri prima.
  • Cioè il mio corpo di adesso. Ma chi lo ha detto?
  • Quelli che ti conoscono bene, gli entomologi.
  • E che animali sono gli entomologi?
  • Non sono animali, sono uomini.
  • E loro ce l’hanno un’anima?
  • Non si sa.

mercoledì 17 aprile 2013

Intermezzo bestiale – Un grande filosofo francese


540
[Parla un istrice]

  • Ho un problema. Mi dicono che ho un carattere spinoso, che non lascio avvicinare nessuno. Il mio problema è questo: È il mio corpo metafora dell’anima o è l’anima metafora del corpo?

[Parla un topo di passaggio]

  • Nessuna delle due. Te, tu l’anima mica ce l’hai. (Il topo è di Firenze)
  • Chi l’ha detto?
  • Un grande filosofo francese.
  • E che animale è?
  • Non è un animale. È un uomo.
  • Ora capisco!

lunedì 15 aprile 2013

Indice - L'essere vecchio (XIX+I=XIX postini)


Attaccamento alla vita (e XIX)


539 (19)Immagine della vecchia città di Mogadiscio
Quante serie di postini mi sarà ancora concesso di portare a termine?

Concesso? Da chi?

I modi di dire: relitti di un pensiero ormai vecchio e fuori uso?

No, c’è ancora chi pensa così – e sono in tanti, vecchi come giovani. E sono le lingue stesse a mantenere in vita le realtà fittizie che esse hanno creato. Non credo ci sia qualcuno tanto interessato, non dico a questi postini ma a quelli che potrebbero ancora venire, da adoperarsi a mantenermi in vita ancora per qualche tempo… Con i sensi percepiamo quel qualcosa che chiamiamo genericamente ‘mondo’, ma è con la parola che ne definiamo i particolari. Se vogliamo cambiarlo, dobbiamo cominciare a cambiare i linguaggi o meglio il pensiero –lo ‘stile di pensiero’– che li anima. Le parole, compresi i modi di dire ereditati dalla vecchiezza di linguaggi tengono in vita entità che non avrebbero altra ragione di esistere se non le parole con cui li designiamo. Una buona igiene verbale vorrebbe che ci rendessimo conto di ciò che diciamo, anche quando le parole vengono fuori da sole, trasportate dal flusso del discorso. A questo dovrebbe provvedere la scuola, che però si occupa di altro.
 – – – – –
Ritorniamo ai postini, che si stanno accumulando fuor d’ogni controllo, proprio quando sto raccomandandone l’uso più severo. Non m’illudo che i raggruppamenti –saltuari, niente affatto sistematici– in serie di 19 rappresentino una forma di controllo anche solo formale. La scrittura dei postini è accidentale, spesso autobiografica e dettata più da carenza che da eccesso di argomenti. Quindi potrebbe cessare in qualsiasi momento senza danno per nessuno, e l’unico cui servono è, come già detto, il loro estensore. L’attaccamento ai postini coincide per lui con l’attaccamento alla vita.

Nell’anziano questo attaccamento è maggiore o minore che nel giovane?

A giudicare dal fatto che una guerra la fanno anzitutto i giovani e anche le uccisioni per ragioni ideologiche o di fede, o per gelosia o volontà di potenza avvengono più spesso in età tutt’al più matura, si direbbe che i maggiori pericoli per la società e per la sopravvivenza della nostra specie provengano dall’intemperanza giovanile piuttosto che dalla saggezza senile.
 – – – – –
Non credo però che le cose stiano così.

Se il giovane è più disposto a usare la violenza che non l’anziano, quest’ultimo è meglio attrezzato per teorizzarla. Kamikaze, terroristi e dittatori hanno avuto e hanno bisogno che vengano neutralizzati i loro freni inibitori perché si scateni la loro aggressività, e questi freni vengono attivati da forme complesse di pensiero, alla cui elaborazione hanno di solito provveduto almeno in egual misura menti anziane, ricche di sapienza ed esperienza. E non è neppure detto che all’origine queste menti fossero indirizzate negativamente. Lo si è visto nel caso della rivoluzione sovietica, il cui esito, violentemente distrutto dall’impreparazione culturale delle ‘masse’, ne ha determinato la rovinosa caduta. Oggi ci troviamo in una situazione per certi versi analoga. Ancora una volta è l’impreparazione della popolazione –tutte, a cominciare da quelle che si considerano le più avanzate– a mettere in pericolo la pace mondiale con una cattiva gestione della democrazia. E questa volta l’errore potrebbe rivelarsi fatale per l’umanità intera. Ci viene detto da più parti e con argomenti ormai difficili da controbattere, perché appoggiati da ‘fatti’ ci cui siamo testimoni in questi giorni (marzo 2011). L’impreparazione alla democrazia è tanto più grave in quanto rischia di far fallire l’incontro fra la specie umana e la forma di aggregazione sociale che probabilmente è la sola che possa garantire per un tempo ragionevole la nostra sopravvivenza sulla Terra. Nata da una modulazione (metaculturale) tra individualismo e collettività, le democrazia deve avere la forza di sganciarsi dal capitalismo così come da qualsiasi altra costrizione ideologica usando la mente in primo luogo come strumento di chiarificazione di se stessa. Non è che il consiglio che un anziano rivolge soprattutto ai giovani.

[Fine dei 19 postini su “una nuova esperienza: l’essere vecchio”]

domenica 14 aprile 2013

Reciproco guadagno (XIX)


538 (18)
  • Quindi sei per il compromesso, e io che credevo fossi intransigente in IMC.
  • Credi si possa essere metaculturalmente intransigenti?
  • Sì, per sopraggiunta arteriosclerosi…
  • … pensiero gentile!
  • Comunque una soluzione di compromesso non è una gran cosa…
  • Più che di compromesso parlerei di modulazione (meta)culturale…
  • …come se non fosse la stessa cosa!
  • Puoi anche vederla così. Io però ci vedo una differenza…
  • …e quale sarebbe?
  • Nel compromesso ognuno cede all’altro una parte della sua ragione, nella modulazione (meta)culturale non ci sono cessioni ma reciproco guadagno.
  • Come può esserci guadagno se i due addendi sono di segno opposto?
  • Proprio qui sta il punto. In IMC non valgono le leggi della matematica: anche due grandezze di segno opposto possono sommarsi, indipendentemente dal segno, e il risultato essere comunque positivo.
  • Certo che vi arrangiate le cose come vi fa comodo!
  • Come va bene per tutti e due.
  • Allora secondo voi IMC è la chiave per la soluzione dei conflitti?
  • Penso di sì.
  • E allora perché non la usiamo quando serve?
  • Perché c’è sempre qualcuno che l’ha nascosta.
  • E quel qualcuno è sempre lo stesso?
  • Ovviamente no! Ma, anche se cambia, non cambia la sua funzione.
  • E quale sarebbe la sua funzione?
  • Quella di accrescere i capitali mondiali.
  • Metaculturalmente per tutti?
  • Ovviamente no. 

venerdì 12 aprile 2013

Un piccolo passo avanti… (XVIII)



[537 (17)]
  • Sono ormai più di trent’anni che tu vai baloccando con IMC senza essere riuscito a convincere nessuno. Non sarebbe ora di cambiare musica?
  • Per cominciare; non è mai stata mia intenzione di convincere qualcuno. IMC non nasce come ideologia o religione, non può quindi essere insegnata o appresa. Osserva il comportamento del pensiero individuale in rapporto a quello collettivo.
  • È quindi una teoria o, se preferisci, un’ipotesi di teoria?
  • Non parlerei di ‘teoria’ e neppure di ‘ipotesi di teoria’. È piuttosto un tentativo di riprodurre a parole il modo di funzionare del cervello indipendentemente dal dove e dal quando.
  • Una pretesa universalista, che però il nostro UCL non ha accettato.
  • Perché dici questo? Il nostro UCL non solo l’ha accettata, ma funziona così da sempre.
  • Questo lo dici tu in base a IMC e con evidente fallo di interferenzialità, il solito serpente che si morde la coda. Sei vecchio, il tuo pensiero gira su se stesso, non produce più niente di nuovo.
  • Non credo l’abbia mai prodotto. Né questa era la sua ambizione. E, quanto al girare su se stesso, l’ha sempre fatto e non solo lui. Forse la circolarità è l’essenza del movimento, e il moto rettilineo non ne è che un’estrema variante.
  • Non ti accorgi neppure che stai dicendo sempre la stessa cosa.
  • Me ne accorgo eccome! Ma anche la tua critica è sempre la stessa e mi sembra che neppure tu te ne accorga.
  • Per forza! Non cambia la critica, non cambia la replica, come nei dibattiti politici in televisione.
  • E se ci scambiassimo i ruoli?
  • Che cambierebbe? Solo il posto intorno al tavolo.
  • E se assumessimo, in via sperimentale e provvisoria, ciascuno gli argomenti dell’altro, fingendo che siano i nostri?
  • Forse li capiremmo meglio e concorderemmo su alcuni punti.
  • Un piccolo passo avanti…

mercoledì 10 aprile 2013

Anziani di tutto il mondo, unitevi! (XVII)



fotografia di Rebecca Martínez del progetto "preTenders"
[536 (16)]
Non i soli vecchi ricordano…

… anzi, un giovane ricorda meglio perché gli riesce più facile imprimere nelle cellule cerebrali lo stampo mnestico di un’esperienza vissuta con maggiore intensità che in età matura o da vecchi. Ma il piacere del ricordo aumenta con l’età, che s’incarica di trattenerne gli aspetti più gradevoli occultando più o meno il resto. È voce comune che i vecchi vivano di ricordi, ma il ricordo è un’attività ricorsiva: si può ricordare di aver ricordato, di aver ricordato… e a ogni passaggio la mente non resta passiva, ma agisce sul ricordo trasformandolo fino a farne un oggetto alquanto diverso dall’input originario. In questo senso la memoria è creativa e lo è anche ogni sua replica. Di conseguenza è creativo il pensiero dell’anziano, seppure indirettamente, in quanto agisce su un materiale accumulato in precedenza. Ma quale pensiero può vantarsi di agire diversamente? Non pensiamo tutti, ricorsivamente, cose già pensate chissà quante volte?
Pensare è ricordare: questa non è certo nuova, anche se qualcun altro aveva già detto che è impossibile bagnarsi due volte nello stesso fiume.

E allora: anziani di tutto il mondo, unitevi! E continuate a pensare. Anche il vostro pensiero, pur se già pensato, non può che essere nuovo come qualsiasi altro.

lunedì 1 aprile 2013

Rimembranze (XVI)


535 (15)
Si dice che i vecchi vivono di ricordi. E, come in tutte le cose che ‘si dicono’, c’è del vero in questo. Certo, l’anziano, spesso costretto a vita sedentaria, ha poche occasioni di esperire il mondo nell’azione concreta. Ma anche l’azione riflessa nella mente non è semplice ripetizione, ma scoperta di un nuovo insospettato, nascosto tra le pieghe del già noto. Il ricordo supera il ricordato aggiungendovi l’emozione del ricordare. La memoria attiva la mente tanto quanto e forse più che l’esperienza diretta. D’altronde anche il ricordo è un’esperienza, distinta e di tutt’altra natura da quella cui dovrebbe somigliare.

Alcuni postini or sono, uno dei curatori della serie ha rinvenuto e pubblicato in apertura una fotografia di Sergio Cafaro al pianoforte, scattata sessantadue anni fa. A Sergio mi legava già allora un’amicizia fondata, più ancora che sulla professione –Sergio era pianista e compositore– sulla comune passione per i coleotteri e la natura in genere. È quindi doppiamente naturale che io abbia di lui e delle innumerevoli ore trascorse insieme ricordi come di nessun altro. Non solo dell’amico e compagno di tante cacce più o meno fortunate, ma anche delle cacce cui non avevo partecipato di persona, ma delle quali mi aveva parlato con tale entusiasmo e vivezza di particolari, che le ascrivo oggi tra i miei più stabili ricordi. Alla sua morte, pochi anni fa, scrissi sulla nostra amicizia una poesiola –credo riportata anche su questo oblò (o in qualche altra parte)– che vorrebbe dare l’idea di un’amicizia che ci ha mantenuto giovani per un tempo assai più lungo del dovuto.

Ma la memoria ci conserva a noi stessi fin da quando articoliamo le prime parole. Anzi, sembra che la  memoria lunga sia più tenace di quella corta. In effetti anch’io sono particolarmente affezionato ad alcuni ricordi d’infanzia, frequentemente ricorrenti nel dormiveglia. Così la corsa di un treno a vapore per la Lüneburger Heide, di sera, tra boschi alternati a radure, su cui ogni tanto di intravedevano pascolare piccoli raggruppamenti di caprioli, mentre sopra le cime degli alberi volteggiavano gli uccelli in procinto di lasciarsi andare su un ramo per il riposo notturno, presto sostituite dall’oscura silhouette di un gufo o di un allocco. Oppure, pochi anni più tardi, sotto un tronco marcescente, l’improvviso brillio dell’elitra di un Carabus o di una Chrysolina; o anche –ma questo era molto prima– la vista, da dietro l’Alpe di Siusi, del Sassolungo, più alto della volta del cielo, il bel volo planato di una Limenitis populi sopra il torrente Gardone.

Che sarebbe la vita se la memoria non fingesse unità là dove non c’è che pluralità dispersa? Che sarebbe l’io se la memoria non lo costruisse pietruzza su pietruzza, alitandoci sopra il soffio dell’individualità?