lunedì 30 marzo 2009

Parabola - ' Il Nobel del salto con l'asta '

Appuntamento del lunedì...eccoci!
Quest'oggi Boris ci racconta una delle sue parabole: Il Nobel del salto con l'asta.

Boris Porena - ' Il Nobel del salto con l'asta'

mercoledì 25 marzo 2009

Serge Latouche a 'Che tempo che fa'

Già in passato abbiamo pubblicato articoli riguardanti la Decrescita. Vi riproponiamo quindi l'intervista tenuta Sabato scorso alla trasmissione 'Che tempo che fa' di Fabio Fazio. L'intervistato è Serge Latouche.



Ci sembra molto interessante il concetto di 'riorganizzare completamente il sistema'. Come possiamo farlo in maniera efficace? E soprattutto è possibile decidere di riorganizzare un sistema? Inoltre, se vogliamo modificare qualcosa dobbiamo identificare precisamente di che parliamo: cosa definiamo per sistema?


lunedì 23 marzo 2009

Ci siamo?

Appuntamento del lunedì ... nero ed appicicoso.

Infatti in alcuni post del passato recente ci accingevamo ad esplorare le analisi del "Peak Oil", ossia del raggiungimento mondiale della produzione massima di petrolio.



All'inizio di questo anno, l'Agenzia Internazionale dell'Energia aveva scosso l'opinione pubblica (a) ammettendo per la prima volta che il "Peak Oil" non era un culto satanico, né una balla millenarista, ma un'analisi seria e fondata del sistema mondiale di produzione di idrocarburi, (b) stimando che probabilmente arrivava per il 2020.

Ma adesso sembra che un gruppo qualificato di analisti ritengano che il "Peak Oil" sia stato raggiunto nel 2008.

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Infatti i ragazzi de The Oil Drum considerano che la produzione mondiale abbia toccato un massimo di 81,7 milioni di barili al giorno ... già nel 2008.

Rimane aperta una discussione sul come evolverà la produzione nel breve periodo: alcuni analisti argomentano che il calo inizierà subito, altri invece sostengono che diversi miglioramenti tecnologici nella trivellazione renderanno possibile avere un 'effetto plateau' con produzioni sostanzialmente stabili per alcuni pochi anni.

Se non ci fosse la crisi l'impatto sui prezzi si sarebbe già sentito. Ma il conto alla rovescia è iniziato ... Una volta raggiunto questo massimo, la produzione non può che decrescere, quindi i diversi consommatori di petrolio -industrie, paesi- si troveranno a concorrere sempre più accanitamente per una risorsa in continuo calo. Chiunque di normale intelligenza può immaginare le conseguenze ...

venerdì 20 marzo 2009

Dentro la parola ... valore - valori:

Il gruppo di lavoro rigobaldo colpisce ancora. Si è infatti recentemente pubblicato sul sito della Decrescita Felice una riflessione sulla parola valore - valori. Questo è il secondo articolo che il gruppo partorisce, la collaborazione si infittisce. Per rileggere il primo intervento sulla doppia parola consumo-consumismo clicca qui.

Dentro la Parola
2 Marzo 2009 sito della Decrescita Felice:

Valore è una parola molto utilizzata nel linguaggio comune, con un’accezione indubbiamente positiva. “Quest’oggetto è di grande valore”, qui è immediatamente riconducibile ad un ambito economico. La disciplina che la impiega più frequentemente è infatti l’economia, che ne ha sviluppate diverse interpretazioni (valore d’uso, di scambio ecc.). Ovviamente, non stiamo a contestarle qui, ma ci sembrava molto interessante riportare la definizione di valore da dizionario.


Secondo la scienza economica si definisce valore la caratteristica di un bene per cui esso è scambiabile con una certa quantità di altri beni (v~ di scambio), o è in grado di soddisfare un bisogno (v~ d’uso); nel linguaggio corrente corrisponde all’equivalente in denaro del bene stesso, al suo prezzo. Seguendo questo ragionamento si può tranquillamente estrapolare il concetto che ha più valore qualcosa che si scambia –cioè una merce– piuttosto che qualcosa con particolare qualità (genuinità, ridotto impatto ambientale, qualità produttiva, etc.). Questa identificazione, che l’ha fatta da padrona da diverso tempo a questa parte in Occidente, è probabilmente in buona parte responsabile del vicolo cieco in cui ci troviamo. Forse quando nella prima rubrica abbiamo parlato di consumo-consumismo non a caso ci imbattevamo frequentemente nella parola valore.

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Viene in mente il celebre spot, che recita “ci sono cose che non si possono comprare …”, in questo caso quindi le cose che non si comprano non hanno valore?

Dicendo che “per me il pane fatto in casa ha un valore speciale”, la nostra parola assume un significato totalmente diverso. Denso di significati per noi, ma forse poco chiaro per chi, imbevuto del significato economico, sarebbe disposto a mercificare qualsiasi cosa per qualche dollaro in più.

Allontanandoci ora dal significato prettamente economico di questa parola, ci vengono in mente altri suoi utilizzi.

Spesso si sente dire “quello è un artista di valore”, “quella è veramente una persona di valore”: qui è sottinteso un merito, un pregio, una virtù di un individuo. In ambito più generico poi, valore è anche usato in forma di predicato: “valorizzare i beni monumentali”, “valorizzare le capacità di un individuo”, inteso come dare valore, accrescere le qualità positive, migliorarle.

Vi sono anche parole composte che sfruttano questo termine, ad esempio in termovalorizzatore a quali valori ci si riferisce? Ormai sappiamo che in esso c’è molto poco di valore (almeno per chi ci vive attorno). Ma non c’è nulla da fare, ad un primo ascolto questa parola ci tranquillizza: da una parte termico (a chi non piace stare al caldo?) dall’altra valore (dalla monnezza si ricava qualcosa di positivo, beh buono no? forse in un primo momento non si pensa neanche alla spazzatura puzzolente ed inquinante ma l’associamo ad un edificio con fioriera che valorizza la società stessa che l’ha prodotto).Sarebbe lo stesso se invece lo si chiamasse (con molta più sostanza tecnica) diossino-diffusore di polveri fini?

Notiamo quindi un’accezione comune della parola, essa infonde sicurezza, affidabilità, dando una connotazione positiva al termine cui è di volta in volta associata, impedendoci di capire di che realmente si sta parlando.

Continuando la carrellata la nostra attenzione si è soffermata a lungo sull’uso di questa parola in ambito etico-morale. Il termine valore viene spesso sostituito in questo caso dal suo plurale, valori, che sottintende nella maggior parte dei casi quelli cristiano-occidentali.

Quante volte si sentono frasi come: “Non ci sono più i valori di una volta”, “la nostra società soffre della mancanza di solidi valori”. Insomma, i valori non si toccano, giù le mani dai valori.
C’è addirittura qualcuno che si batterebbe in un duello per difendere i propri. Ma cosa sono? Perchè sono intoccabili? Ma che domande fai! dai si sa cosa sono i valori: i valori sono … i valori …

In effetti quasi mai le parole valore-valori hanno senso di per sé, da sole non sono sufficienti, il loro significato dipende dal contesto in cui sono inserite e dall’interpretazione che se ne dà.

Sembra chiaro che la parola valore/i venga usata dall’autorità di turno –sia essa politica, religiosa o economica– per tagliare corto qualsiasi ragionamento logico saltando subito alle (proprie) conclusioni. Un jolly che rassicura e a cui allo stesso tempo non si può controbattere, insomma un formidabile strumento di propaganda.

I valori in qualche modo sono associati alla tradizione, arrivano da lontano. Ci rassicurano perché suggeriscono modelli consolidati nel tempo, che conosciamo bene e che spesso non mettiamo in discussione.

Certo è che in un mondo che si modifica, aggrapparci a valori fermi nel tempo e nello spazio sembra molto comodo, ma quanto saggio? Quale effetto ha alla lunga un idea stagnante sul nostro pensiero? Potremmo essere pronti a trovare nuove prospettive, nuove modi (o riscoprirne di antichi) per interpretare ciò che ci capita, abbandonando di tanto in tanto soluzioni pronte offerte spesso da valori intoccabili, quelli con la V maiuscola.

Inoltre, tutto va liscio se condividiamo valori comuni, ma come la mettiamo quando di fronte c’è qualcuno che ne ha degli altri?

Ma su, non demonizziamo questa malcapitata parola. I valori hanno anche una funzione importante, essi definiscono le ‘norme’ basilari dell’ordinamento sociale. Sono appunto degli accordi, dei punti in comune tacitamente condivisi sulla quale membri di una stessa cultura fondano le loro relazioni. I valori quindi sono parte della nostra identità personale e culturale, una memoria collettiva, ma probabilmente dovremmo imparare a prestare più attenzione al loro utilizzo e cercare di relativizzarli.

Alla prossima puntata!

Gruppo di lavoro Rigobaldo (Valentina Aveta, Alessandro De Rosa, Francesco De Rosa, Gianfranco De Rosa, Boris Porena, Fernando Sánchez, Oliver Wehlmann,)

lunedì 16 marzo 2009

Tradimento

Appuntamento del lunedì ... questa volta con una metaparola borisiana.


Illustrazione di Ralf König per il suo Iago
Hai tradito le nostre aspettative!
Ma chi vi ha detto di farvele?
Giuda ha tradito Gesù
Ma se non lo avesse fatto?
L'accordo è stato tradito
Lo dicono tutte due le parti
Ha tradito la patria
Perché non sapeva qual’era
Lei lo ha tradito
Lui si limitava a trascurarla...

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È parola possiamo dire unidirezionale. Anche se a usarla sono ambo le parti contendenti: infatti di regola il tradimento si subisce e chi lo compie non lo riconosce come tale, salvo forse Giuda (che peraltro agiva per volontà del Signore).
Il tradimento esige vendetta. La colpa è così grave che per essere compensata ha bisogno di una colpa quasi altrettanto grave. È quel ‘quasi’ che in genere assolve il vendicatore.
Ma perché il tradimento viene considerato una colpa, e per giunta così grave da meritare la vendetta?
Eppure non è che il venir meno a dei patti conclusi tra esseri umani, quindi fallibili. O meglio è un venir meno a una certa interpretazione dei patti, evidentemente non condivisa dall'altra parte. Giustamente la vendetta è stata espunta dai codici come motivazione valida di un delitto. Ma un conto è l'invalidazione razionale, altra cosa l'impulso irrazionale che spesso innerva l’azione ben più che non faccia la razionalità. E il tradimento sollecita proprio la reattività profonda, istintuale della nostra umanità, tant'è che ci piace riscontrarlo anche dove non c'è e prestiamo volentieri attenzione a chi ci vuole convincere della sua presenza. Ne devono aver saputo qualcosa sia Otello che Jago, forse anche Desdemona, ma sicuramente Shakespeare.

Con il nostro ringraziamento a Eva Serena per il contributo alla publicazione

mercoledì 11 marzo 2009

La Terza Rivoluzione - eccoci, ci siamo

Oggi diamo la parola a Fred Vargas, il cui Nous y sommes del Novembre 2008 sta facendo il giro della rete.


Eccoci, ci siamo. È da cinquant’ anni che questa tormenta è in agguato negli altoforni dell’umanità, ed eccoci che ci siamo. Contro il muro, sull’orlo del baratro, col brio che soltanto l’uomo sa metterci, avvertendo la realtà solo quando gli fà del male. Proprio come la nostra buona cicala, alla quale attribuiamo la nostra spensieratezza. Abbiamo cantato e ballato. Riferendomi a «noi», intendo una quarta parte dell’umanità, mentre il resto stava nelle difficoltà.
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Abbiamo costruito la miglior vita, abbiamo gettato i nostri pesticidi nei fiumi, i nostri fumi in aria, abbiamo guidato tre macchine, abbiamo svuotato le miniere, abbiamo mangiato le fragole dell’altro estremo del mondo, abbiamo viaggiato in tutti le direzioni, abbiamo illuminato le notti, abbiamo indossato delle scarpe da ginnastica che lampeggiano quando si cammina, siamo ingrassati, abbiamo bagnato il deserto, acidificato la pioggia, creato dei cloni, francamente si può dire che ci siamo proprio divertiti. Ci sono riusciti dei colpacci veramente di effetto, proprio difficili, come sciogliere i ghiacci polari, fare scivolare sotto terra delle bestioline geneticamente modificate, spostare la Gulf Stream, distruggere un terzo delle specie viventi, fare scoppiare l’atomo, interrare dei residui radioattivi, cose né viste né sentite. E’ certo che ci piacerebbe proprio continuare così, è palese che sia più spassoso saltare in un aereo con delle scarpette luminose che rincalzare le patate. Ci mancherebbe.

Ma ci siamo. Nella Terza Rivoluzione. La quale ha qualcosa di molto differente dalle prime due (la Rivoluzione neolitica e la Rivoluzione industriale, per dovere di cronaca), cioè che non è stata scelta. « Siamo obbligati a farla, la Terza Rivoluzione? » domanderanno alcuni individui reticenti e guastafeste. Sì. Non si ha più scelta, essa è giá cominciata, non ci ha chiesto la nostra opinione. La mamma Natura lo ha deciso, dopo averci gentilmente permesso di giocare con lei per alcuni decenni. La mamma Natura, esaurita, deturpata, esangue, ci chiude i rubinetti. Quelli del petrolio, del gas, dell’uranio, dell’aria, dell’acqua. Il suo ultimatum è chiaro e spietato: salvatemi o crepate con me (eccezione fatta delle formiche e dei ragni, che sopravvivranno, visto che sono assai resistenti, e per di più poco portati per la danza). Salvatemi o crepate con me. Evidentemente, detto così, si capisce che non si ha scelta, subito ci diamo da fare e persino, se si ha il tempo, ci si scusa, sconvolti e con vergogna. Ce ne sono alcuni, un briciolo sognatori, che provano ad allungare i tempi, a divertirsi ancora con la crescita. Inutile sforzo. Cè del lavoro, più di quanto l’umanità non ne abbia mai avuto. Pulire il cielo, lavare le acque, ripristinare la terra, abbandonare la propria macchina, congelare il nucleare, ricuperare gli orsi bianchi, spegnere quando ce ne andiamo, prenderci cura della pace, tenere a bada l’avidità, trovare delle fragole vicino a casa propria, non uscire la sera per raccoglierle tutte, lasciarne alcune per il vicino, rilanciare la navigazione a vela, lasciare il carbone là dove si trova –attenzione, non lasciamoci indurre in tentazione, lasciamo tranquillo questo carbone–, raccogliere lo sterco, pisciare nei campi (per il fosforo, non ne abbiamo più, abbiamo preso tutto nelle miniere, ce la siamo spassata proprio perbene). Fare uno sforzo. Persino riflettere. E, senza voler offendere con un termine caduto in disuso, essere solidali. Col vicino, con l’Europa, con il mondo. Un programma colossale, quello della Terza Rivoluzione. Non ci sono delle scappatoie, andiamo. Anche se c’è da dire che raccogliere lo sterco, e lo sanno tutti coloro che lo hanno fatto, è un’attività fondamentalmente soddisfacente. Che non ci impedisce affatto, giunta la sera, di danzare; non è incompatibile. A patto che ci sia la pace, a condizione che preveniamo il ritorno della barbarie –un’altra delle grande specialità dell’uomo, forse quella che gli è più riuscita. A questo prezzo, avremo del successo con la Terza Rivoluzione. A questo prezzo danzeremo, senza dubbio in un’altra maniera, ma danzeremo ancora.


Traduzione italiana propria, 2009, a libera disposizione di chiunque voglia citare l'origine


lunedì 9 marzo 2009

Parabola - ' Il Pacifista '


Ovunque si trovasse, perorava la causa della pace.
Anche là, anzi soprattutto là, dove non si voleva sentirne parlare: negli ambienti militari, in quelli di potere, o di grossi interessi da difendere, tra gruppi di ribelli, di ideologi rivoluzionari, ecc. E c’era chi lo ammoniva, chi lo minacciava pesantemente, chi lo arrestava o bandiva dal suo territorio. Era stato rapito un paio di volte e aveva subito tre attentati ai quali era fortunosamente scampato con lievi ferite.
Lui però insisteva fino ai limiti del paradosso, come quando si interpose come pacificatore tra due coniugi che si erano traditi allegramente fin dal giorno del matrimonio e ora litigavano per questioni di eredità, o quella volta che volle mettere pace nel bel mezzo di una sparatoria tra bande di mafia. Nell’insieme si era fatto più nemici che amici nonostante la sua battaglia per la pace ricevesse molte adesioni nominali. Ma era appunto una ‘battaglia’ e questa contraddizione, seppure non sempre chiaramente avvertita, finiva per sgretolare la sua azione e indebolire la sua parola.
Di questo lui si accorgeva, ma non sapeva come porvi rimedio. Un giorno in cui cercava di mettere pace tra un laziale e un romanista scaricò su di sé la loro rivalità, riuscendo a metterli momentaneamente d’accordo nel farsi picchiare da tutti e due. Ma non era questo che intendeva per ‘pace’. Si prese qualche settimana (quelle che gli prescrissero i medici dell’ospedale) per riflettere e ne uscì radicalmente cambiato, non nell’idea di fondo, ma nella strategia per realizzarla.
Decise infatti di non parlare più di ‘pace’, soprattutto in presenza di forti competizioni. Parlò invece al fine di comprendere le contrapposte ragioni, anche quando queste sembravano dettate da egoismo, avidità, palese ingiustizia. Parlava con una parte e con l’altra fino a non riuscire più a prendere posizione. A quel punto si sentiva pronto per un’opera che non era ancora la pacificazione, cui un tempo aveva mirato, ma era forse qualcosa di più. Cominciava a vedere nella ‘pace’ una sorta di immobilismo senza storia, senza la speranza di un cambiamento, di un futuro. Una parola, dolce all’orecchio, ma il cui significato si perdeva man mano che la mente cercava di penetrarlo. Si accorse così che molte parole che suonavano ‘bene’ ad un ascolto distratto —‘buono’, ‘bello’, ‘giusto’, ‘vero’...— restavano solo ‘suono’ se vi partecipava la mente. Reciprocamente, anche le parole di segno opposto —‘cattivo’, ‘brutto’, ‘falso’...— impallidivano fino a diventare evanescenti. Pensò così di reclamizzare non più la pace ma il pensiero. E se la pace, come continuava a credere, era non solo una parola ma una conseguenza necessaria del pensiero, non ci sarebbe stato più bisogno di parlarne.
Non ebbe particolare successo, ma non gli capitò più di essere picchiato dai suoi interlocutori.

Boris Porena

La pace intesa come conseguenza di qualcosa più che come 'base per costruire'?

giovedì 5 marzo 2009

Serge Latouche: Il nucleare non è la strada del futuro

In Italia si parla di centrali nucleari: Serge Latouche, importante economista, filosofo, antropologo francese sostenitore della decrescita ha da dire qualcosa a questo proposito.

La crisi economica non è isolata, sembra infatti ormai dietro l'angolo un problema forse ancora più grave: la crisi energetica.



Già in passato su questo blog si è parlato del Peak Oil e del modello che punta alla Decrescita.

mercoledì 4 marzo 2009

Ambiguità e domande:

Quando l'apparenza nasconde o confonde...


Punti di vista? Contenuti interpretabili in maniera diversa? Quali sono i criteri che ci permettono di osservare, descrivere e 'capire' ciò che ci circonda? Quali le difficoltà?

lunedì 2 marzo 2009

Appuntamento ovvio

Quello del lunedì, ovviamente. E come avremmo potuto mancarlo!

Questa volta con la poesia di Boris. Ovvietà / Selbstverständlichkeiten, in italiano e tedesco, del 2006.
(cliccare sull'immagine per ingrandirla)

Ecco la trascrizione:

Ein fliegender Vogel als Zeichen Un uccello che vola, segno
eines fliegenden Vogels. di un uccello che vola.

Dinge als Zeichen ihrerselbst. Cose come segni di sé stesse.
Dinge, die keine Zeichen sind Cose che non sono un segno
ist sinnloss behaupten, sie seien. non ha senso dire che sono.

Zeichen gibt es nur I segni ci sono soltanto
als wahrgenommene Zeichen. in quanto segni percepiti.

Dinge als wahrgenommene Zeichen Cose come i segni percepiti
gelten als seiend, si dice che ci sono,
erlangen das Sein. raggiungono l'essere.

Auch die Wahrnehmung gibt es nur Anche la percezione esiste
als selbstbezogenes Zeichen. solo come segno autoreferente.

Untrennbar Wahrnehmung, Inseparabili percezione,
Zeichen, Ding, segno, cosa:
das Sein des Parmenides. l'essere parmenideo.

La poesia è intitolata ovvietà. Ovvietà per chi? Che vuol dire ovvio?

domenica 1 marzo 2009

Jiddu Krishnamurti

Un estratto da uno scritto di Krishnamurti, risalente al 1948 proposto dalla nostra amica Letizia Marchetti.

"(...) La pace nel mondo è indispensabile, altrimenti verremo distrutti. Pochi potranno salvarsi, ma vi sarà una distruzione peggiore di tutte le precedenti se non risolviamo il problema della pace.
La pace non è un ideale, un ideale fittizio. Ciò che va compresa è la realtà, ma la comprensione della realtà è impedita dalla finzione che chiamiamo ideale. La realtà è che ognuno cerca il potere, titoli, posizioni di autorità, e così via, e tutto ciò viene nascosto in vari modi dietro parole benintenzionate. E' un problema vitale, non un problema teorico o posponibile; esige di agire adesso, perchè la catastrofe si sta evidentemente avvicinando. Se non sarà domani, sarà l'anno venturo, o poco dopo, perchè la spinta del processo di isolamento è già in atto. Chi vi riflette davvero deve affrontare la radice del problema, la ricerca di potere individuale che crea gruppi, razze e nazioni in cerca di potere. (...)
La rivoluzione all'interno delle mura dell'isolamento non è una rivoluzione. La rivoluzione avviene solo quando le mura dell'isolamento sono abbattute, e ciò può accadere solo quando avete smesso di cercare il potere."