domenica 1 aprile 2012

5d) La cultura

Francisco de Goya - Duello a bastonate (dalle Pitture Nere)

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[Mi sto accorgendo che questa mia esposizione si sta riempiendo di ‘universi’: l’universo relazionale, segnico, comunicazionale ecc. Me ne scuso con il ricevente, raccomandandogli di non prendere troppo sul serio il termine che non vuol dire altro che: tutto ciò che concerne le relazioni, i segni, le lingue, la comunicazione…]

È da tempo che all’interno, e ormai anche fuori dal Centro Metaculturale, facciamo uso della sigla UCL (Universo Culturale Locale) al posto di ‘cultura’. Non ripeterò quindi le ragioni che ci hanno spinto a tale uso (si veda in proposito IMC 1999). Dirò piuttosto che il concetto di UCL definisce al meglio l’ambiente antropico (la società) che sto considerando in questo N.5. E perché lo farebbe? Perché, pur non essendo noi l’unica specie animale capace di cultura, l’abbiamo sviluppata fino a identificarla con l’ambiente stesso in cui viviamo. Spesso le opponiamo un ambiente ‘naturale’ (N.4), dimenticandoci che interpretiamo quest’ultimo attraverso gli UCL e che questi UCL variano appunto da luogo a luogo, ma in ogni caso ci impediscono una conoscenza diretta del mondo.

[Mi viene da chiedere se gli animali, almeno alcuni, possiedono questa conoscenza, dal momento che nessuno schermo culturale si frappone tra loro e il loro ambiente. Può darsi che vi siano altri schermi, altrettanto o più impermeabili, può darsi anche che il concerto di ‘schermo’ sia un intruso eliminabile, come dire che gli occhiali sono uno schermo per la vista…]

E proprio la variabilità degli UCL permette anche alla nostra specie di mantenere al suo interno quella diversità che la globalità sembrerebbe voler escludere. Da quando Homo sapiens ha colonizzato di fatto tutti gli ambienti estromettendone i legittimi occupanti, anche la diversità si è dovuta ridurre entro limiti endospecifici. Di conseguenza è enormemente aumentata l’aggressività interna per compensare la perdita di diversità disponibile nell’ambiente. E gli uomini hanno visto come ‘diversi’ i propri simili, solo che fosse diverso il loro UCL, adottando anche per essi lo struggle for life che dominava da sempre –così si pensava– la maggior parte delle relazioni interspecifiche.

A questo punto ci si domanderà se le interrelazioni interspecifiche devono necessariamente essere improntate alla lotta, come vorrebbe certo darwinismo male interpretato. La nostra attuale concezione ‘sistemica’ del vivente non si riduce in alcun modo al solo struggle; le relazioni di simbiosi, di collaborazione tra organismi diversi sono probabilmente altrettanto se non più frequenti che quelle di competizione, rivalità. È proprio la dominanza esclusiva di Homo sapiens che lo ha ‘costretto’ all’inimicizia interna con tutto ciò che ne consegue. Come uscire da questa costrizione?

A parole è semplice: abbandonando il modello dello struggle for life e adottandone uno più vicino a quello delle termiti e delle api –non dico delle formiche, troppo simile al nostro– che ricavano l’energia di cui hanno bisogno dal mondo vegetale, non animale. Troppo lontani tra loro sono tuttavia gli esiti dell’evoluzione degli insetti e dei vertebrati da permettere un tale in prestito. Dobbiamo cavarcela con mezzi e modelli nostri.

Anche un’altra interrelazione ha urgente bisogno di essere riconsiderata, quella tra gli UCL e l'ambiente, sia ‘naturale’ che antropico, con cui interagiscono. Ho già accennato –molto succintamente come si conviene a dei postini– all’ambiente e ai suoi rapporti con Homo sapiens. Vorrei ora riprendere l’argomento –sempre breviter– attraverso la mediazione degli UCL.

Poiché è per noi l’UCL a fornirci l’immagine dell’ambiente, è a quello che dobbiamo rivolgerci per mirare ogni nostro intervento affinché sia efficace. Dobbiamo cioè non solo conoscere il nostro UCL ma anche saperlo relativizzare all’insieme degli UCL con cui veniamo in contatto, e anche a ogni singolo. Senza abbandonare o disconoscere l’ambiente per come lo interpreta il nostro UCL, è bene che impariamo a comprenderlo secondo le interpretazioni forniteci dagli altri UCL. Così, se il nostro ci invita a considerare l’ambiente come un’entità anzitutto da rispettare, altri lo intendono piuttosto come una ricchezza da sfruttare, e non è con contrapposte posizioni ideologiche che il problema della coesistenza si può risolvere. È piuttosto un ragionevole confronto, prendendo in considerazione non è il solo stato attuale ma anche i presumibili stati futuri, che ci spianerà la via della sopravvivenza per la nostra e le altre specie viventi.

Il termine UCL va inteso nella sua più ampia estensione, e allora è probabile che ci dia anche qualche suggerimento per uscire dalle strettoie di una visione economicista del mondo per la quale la felicità cui tutti aspiriamo è ottenibile solo con il denaro, al punto che si identifica con esso. L’eccesso di sfruttamento del nostro pianeta e il pericolo che ne deriva per la sopravvivenza sono una conseguenza di questa miope ideologia. Ancora una volta, la soluzione ci si presenta come teoricamente assai semplice: è sufficiente adottare un UCL, uno stile di pensiero diversamente orientato e le cose si risolvono automaticamente. Ma allora perché…?

Da molte parti si parla oggi di ‘decrescita felice’ e simili. Berlinguer fin dagli anni Settanta aveva proposto una politica dell’austerità –parlare e proporre non costa particolari difficoltà–, ma i veri poteri che si sono succeduti questi anni non si sono mai fatti carico di una pratica conseguente. E pour cause: nessuno vuole che una politica dell’austerità abbia inizio proprio da lui, e non voterà mai un partito che gliela imponga. Se anche possiamo essere certi che domani la situazione ci costringerà a sacrifici ben maggiori, oggi ne scegliamo ancora chi ci promette l’impossibile. Ottusità di una democrazia non accompagnata da un’adeguata formazione culturale!

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