giovedì 15 marzo 2012

4. L'ambiente naturale

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[Ogni volta che c’è di mezzo il termine ‘natura’ o qualche suo derivato, non si sa più di che cosa si sta parlando.
- A forza di esercitazioni, i passi più ardui gli riusciranno naturali
- Nuotava con tale naturalezza che…
- È naturale che ti senta a disagio…
- L’artificio è la sua seconda ‘natura’
…]

Quando si parla di ‘ambiente’ l’aggettivo ‘naturale’ perde quasi tutta la sua ambiguità. Difficilmente diremmo naturale l’ambiente di un’'industria farmaceutica’. Viceversa, che un bosco costituisca un ambiente ‘naturale’ per eccellenza, nessuno vorrà constatarlo. E così anche un ambiente d’alta montagna (che non superi però i 4000 m!)

C’è alla base delle connotazioni positive che accompagnano l’aggettivo ‘naturale’ (per esempio nell’espressione ‘acqua minerale naturale’) la convinzione ideologico-religiosa che la Natura sia buona e che gli unici ad essere cattivi siano i suoi figli. Eppure ogni giorno la Natura ci dimostra la sua bontà con terremoti, uragani, inondazioni. Persistono, anche nelle nostre culture ipertecnologizzate, spezzoni di religiosità arcaica che esorcizzano i ‘poteri malvagi’ della natura lodandola per i suoi benefici e implorandola quando si mostra adirata. Assai peggiori di questi ‘ritorni all’antico’ sono i ‘moderni’ interventi correttivi che, con l’intento di migliorare il rendimento della natura, provocano non di rado disastri di dimensioni planetarie. Infatti le deficienze imputate alla natura sono tali unicamente dal punto di vista di chi anziché integrarsi ad essa, preferisce alterare l’equilibrio conseguito in milioni di anni. Parlo ovviamente della specie umana, che non si sarebbe integrata… Ma, un momento, perché avrebbe dovuto farlo? Non è anche lei un prodotto della natura, un suo elemento?

Questa volta è la natura ad essere caduta in contraddizione: produce una specie a norma di legge (naturale), e poi si accorge che non si integra. Vuol dire che non è fatta a norma di legge, che c’è qualcosa in lei che eccede le prestazioni progettate. Ed è il cervello.

Non è la prima volta che la natura va oltre il segno. Le era accaduto con certi dinosauri, con le corna del Cervus Megaceros, forse con il corpo della balena. Presto o tardi –qualche volta molto tardi– la natura si è accorta delle esagerazioni e ha provveduto a eliminarle. Cosa farà nel caso dell’uomo?

Forse non serve neppure che provveda lei, ci stiamo già pensando noi, e non da oggi. In ogni caso non serve invocarla perché le soluzioni che la natura avrebbe da proporci non andrebbero d’accordo con quanto il nostro stadio evolutivo richiede. Ma non è stata la natura a farci evolvere fino al punto in cui siamo?

Sì e no. Sì in quanto motore evolutivo, no in quanto privo di una direzione privilegiata. È una nostra ipotesi che l’evoluzione muova verso il meglio. Per noi è evidente che la Divina Commedia rappresenti qualche passo in avanti rispetto al grugnito dell’Australopitechus. Ma se questi passi ci avessero sensibilmente avvicinato all’estinzione resteremmo dello stesso parere?

A quanto pare l’evoluzione naturale non ha interessato in egual misura tutte le parti del nostro essere. L’ipertelia del cervello sembra aver avviato un secondo binario evolutivo, presto entrato in conflitto con la nostra animalità, il binario dell’ominazione. Da questo si è però separato il binario tecnologico e da ultimo quello informatico-cibernetico. Questi binari –che possiamo definire ‘artificiali’ in opposizione a quello ‘animale’– non hanno inibito l’evoluzione del tronco centrale (l’animalità appunto), da cui si sono differenziati soprattutto per i tempi evolutivi, progressivamente più rapidi. Questo fatto ha prodotto gli squilibri interni che l’animalità non è più in grado di riequilibrare e costituisce oggi il maggior pericolo per la nostra sopravvivenza.

Il semplice ‘ritorno alla natura’ da molti invocato per la nostra salvezza (e di tutta la biosfera) è troppo ingenuamente utopistico per offrire delle prospettive credibili. Se tornare indietro non è una soluzione, non lo è neppure andare avanti ad occhi chiusi, come se il progresso tecnico-informatico non richiedesse almeno una visione il più chiara possibile della via intrapresa.

Probabilmente dovremo individuare un quarto binario su cui dirottare la nostra evoluzione. Quale sia questo binario non saprei dire. Siccome però l’argomento mi interessa –non ovviamente a livello personale– mi ripropongo di tornarci su.

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