martedì 7 novembre 2017

Tratta XLVIII.4 – Tesi-antitesi, mutazione-selezione…


[Il pianista che sta ancora suonando alcuni Ländler di Schubert, dopo l’op. 111 e alcune Bagatelle beethoveniane è Grigorij Lipmanovič Sokolov e non saprei immaginare un’esecuzione più convincente. Chissà gli autori, come avrebbero suonato le loro cose? Non credo meglio, perché per loro quella musica era un’ovvietà mentre per chiunque altro è un miracolo. Oppure è un miracolo anche per loro?
La 111 in particolare mi ha fatto, come sempre, riflettere.
Il primo tempo mi sembra, rispetto alle due Sonate precedenti (op. 109 e 110), un passo indietro verso L’umano troppo umano del periodo precedente, verso l’era di un’umanità in lotta con le forze ineluttabili del fatto. Di straordinaria bellezza la pacificazione delle ultime battute, dopodiché nessuna pausa credo debba separare la risonanza del do maggiore conclusivo del do maggiore che apre l’Arietta, vero risveglio nell’oltre l’umano. Qui la vita prosegue nella sua infinita varietà, ora tranquilla e dolce, ora impetuosa è forte, ma senza lotta, adialettica pur nella violenza, sorella della sommossa quiete che seguirà l’ultimo accordo.
Ma, al di là di queste quasi banali tentativi di verbalizzare l’impronunciabile – credo che neppure i successivi quartetti raggiungano questo vertice della musica occidentale – vorrei ora lasciarmi andare a qualche riflessione che potrebbe gettar luce su un assetto ‘politico’, o meglio una strutturazione sociale, che proprio ai primi dell’Ottocento si comincia a delineare con chiarezza. Ed è un modello che, seppure idealizzato in una forma musicale, è ben riconoscibile nelle sonate beethoveniane, così come nella dialettica hegeliana, da cui nascerà poi l’evoluzionismo di Darwin. Tesi-antitesi, mutazione-selezione ambientale, lo sviluppo nella sonata bitematica (la forma preferita del Beethoven di mezzo) hanno in comune la lotta come principio vitale (struggle for life). E, ancora oltre, andando allo schema concorrenziale che regge oggi lo ‘sviluppo’ – non certo musicale – della società moderna (quello che chiamamo ‘progresso’), è sempre la lotta, il ‘vinca il miglior’ e ‘al diavolo gli altri’ che ne è il fondamento, quasi che senza lotta, senza la rovina di qualcuno non sia possibile una crescita. Di qui le guerre, i genocidi, le rivoluzioni, l’eterno conflitto tra chi ha e chi vorrebbe avere o – meno cinicamente – tra ricchezza e povertà… ma siamo sicuri che non vi sia altro modo di ‘crescere’? C’è per esempio chi cresce leggendo, informandosi, producendo di che leggere, di che informarsi; c’è chi produce trasformando non distruggendo, purificando non inquinando, accogliendo, non rifiutando.
Ammettiamo pure che la maggior parte della crescita avvenga a scapito di qualcuno o qualcosa; fino a ieri non ce ne rendevamo conto o piuttosto non conoscevamo alternative – e quindi anche lo sfruttamento rientrava più o meno nella normalità. Poi però ci siamo accorti:
·       che lo sfruttamento crea dei vuoti alla lunga non rimpiazzabili,
·       che la violenza genera violenza,
·       che alla competizione è possibile sostituire la collaborazione,
·       che la sopraffazione produce rancore e volontà di rivalsa,
·       che la lotta indebolisce ambedue i lottatori;
e abbiamo inventato le leggi per tenere tutto questo sotto controllo e le ideologie per giustificare la violenza dei controlli. Ma nella foga di tutto controllare abbiamo esteso le ideologie anche giustificare altre violenze e così via. Ma la 111, proprio nella successione dei suoi due tempi, ci parla di una possibile ‘mutazione’ da un era di lotta, di opposizione violenta a un’altra in cui la crescita avviene per introspezione, nel riconoscimento delle energie autotrasformative che sono in noi come nell’angelico tema dell’Arietta. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno per crescere è in noi; e in quello che la terra ci dà senza mettere a repentaglio la sua integrità e la nostra.

Certo, rispetto alla ‘parola’ musicale dell’Arietta, le parole che qui si leggono sono ben poca cosa; eppure tutto ciò che possiamo ricavare da quell’incommensurabile testo conserva qualche traccia della sua unicità. E così consiglierei a tutti coloro che hanno qualche potere decisionale su altri uomini di riascoltare con mente sgombra e ricettiva ciò che un’altra mente, umana anch’essa, ha da dirvi.]

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