[Dialogante 2] Abbiamo
chiuso la passata sestina in maniera piuttosto debole e blandamente utopistica.
[Dialogante 1] È vero, ma
che cosa potremmo dire più di questo. Se avessimo un effettivo anche se minimo
potere, potremmo forse prendere delle decisioni di piccolo raggio, tali però da
fornire delle indicazioni utili per chi il potere ce l’ha.
[Dialogante 2] Non sono le
indicazioni che ci mancano, almeno a proposito di ciò che non dovremmo fare,
mentre è ciò che facciamo di preferenza: accrescere i nostri guadagni, specie
se già cospicui.
[Dialogante 1] Chi li
voglia accrescere e ce l’ha minimi è del tutto comprensibile; ancor più chi
voglia averne di minimi se non ce ne ha affatto. Ma che voglia aumentarli chi è
miliardario, come certi imprenditori è contro ogni logica.
[Dialogante 2] È qui che ti
sbagli. Il guadagno è di tal fatta che o cresce indefinitamente o si perde in
un colpo solo. Una fabbrica che fallisce può ridurre sul lastrico non solo gli
operai che ci lavorano ma anche chi ne è il proprietario.
[Dialogante 1] Quello sa
sempre come cavarsela, l’operaio no…
[Dialogante 2] … se non lo
protegge la legge.
[Dialogante 1] Quindi la
massima attenzione va riposta in un’adeguata tutela delle classi più deboli…
[Dialogante 2] … che
tuttavia non può intralciare più di tanto quelle che detengono i capitali per
muovere l’economia, cioè per farla crescere.
[Dialogante 1] Questo entro
il modello capitalistico, oggi in declino
[Dialogante 2] … mentre il
suo antagonista è definitivamente fallito.
[Dialogante 1] Né il modulo
comunista né quello socialista sono da considerare modelli chiusi nel loro
antagonismo. Infinite sono le possibilità di modulazione reciproca. Vanno però
studiate, al di fuori di ogni valutazione ideologica, sia sugli esempi storici
che in quelli di ‘laboratorio’. Essenziale è – appunto – studiarli.
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