[Dialogante 1] Il solito
scivolone utopistico, su cui sorridere se non sbadigliare apertamente!
[Dialogante 2] Purtroppo
non abbiamo che l’utopia da opporre all’inerzia degli interessi mondiali
congiunti.
[Dialogante 1] Come sarebbe
‘congiunti’, quando è evidente la loro massima divergenza, cui dobbiamo
addirittura il pericolo dell’estinzione.
[Dialogante 2] Divergenti
nella direzione, centripeta per ogni punto, identica nel modulo Ho, il
‘guadagno’!
[Dialogante 1] L’assalto al
guadagno trova tutti d’accordo, quelli almeno che guadagnano o contano di
farlo.
[Dialogante 2] È il modello
a congiungere gli opposti nell’identità del modulo.
[Dialogante 1] E qui sta
l’utopia: nella convinzione che non esista un solo tipo di guadagno e che, se
manca quello in termini di ricchezza materiale, altri ne esistano, altrettanto
se non più giustificante.
[Dialogante 2] Ma con la
ricchezza materiale si possono comprare anche le altre.
[Dialogante 1] Ecco l’altra
utopia, opposta alla precedente, di chi punta sulla ‘crescita’ illimitata.
[Dialogante 2] Quindi,
secondo te, avremo a che fare con due opposti utopie e non con lo scontro di
realtà e utopia? Il modello sociale in cui viviamo non sarebbe più ‘reale’ di
qualsiasi altro.
[Dialogante 1] Lo sarebbe
nel suo essere concreto, non nella sua immagine ‘ideale’. Credo che qualsiasi
‘realtà’ non avrebbe per noi alcun valore, se non vivesse il suo doppio in una
costruzione mentale che siamo soliti chiamare ‘idea’ è che in qualche modo le
corrisponde. Ed è questo ‘doppio’ che noi percepiamo nella mente lasciando
all’apparato sensoriale la funzione di trasferimento della virtualità del reale
alla realtà dell’immagine.
[Quest’ultima osservazione si riferisce
già alle Bagatelle beethoveniane e ai
Ländler schubertiani che sto
ascoltando dalla televisione.]
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