[Mi è capitato ormai
varie volte di ripetere un’osservazione pur nella sua ovvietà, credo meriti
l’attenzione di psicologi e comportamentalisti più di quanto gli sia stata
dedicata negli ultimi anni. Nonostante i molti studi sulla produzione bachiana
e sulla logica compositiva che ne sta alla base, sembra che siano ancora
lontani, non dico dall’averne inteso il meccanismo mentale, ma dall’aver saputo
dare un fondamento analitico allo ‘stile di pensiero’ che in quella
straordinaria opera fonde senza residui immediatezza inventiva e complessità di
elaborazione tecnica.
Bach stesso doveva essere ben
consapevole dell’unicità del suo idioletto, quando delle tre cantorie che per
contratto doveva rifornire di composizioni per la città di Lipsia, riserbò alle
sue personale cura quella della chiesa
di San Tommaso, la tecnicamente più agguerrita delle tre, cui affidava le
cantate di sua propria composizione, le “di gran lunga più intricate e
complesse” tra quelle eseguite a Lipsia.
È difficile dire quanto i contemporanei
si accorgessero della eccezionalità di ciò che il Cantor veniva loro proponendo. Certamente qualcuno vi sarà stato
nel importante centro commerciale – e non certo incolto – che si sia accorto di
ciò che gli succedeva intorno oltre alle consuete compravendite. Il mondo
musicale di fine Settecento comunque non ignorò Bach come dimostrano tutti e
tre i grandi classici, anche se il fattore ‘moda’ impedì un effettivo ritorno a
lui quali si ebbe poi nell’era dello storicismo romantico. La popolarità di
Bach ha avuto inizio dal resto con uno stravolgimento totale e della sua musica
e del suo messaggio culturale, che solo in tempi recentissimi ha ceduto il
posto a una comprensione meglio garantita da una lettura più attenta e meno
ideologizzata dei testi. Sarebbe in ogni caso avventato sostenere che oggi,
finalmente, Bach lo abbiamo capito.]
Nessun commento:
Posta un commento