mercoledì 10 dicembre 2014

Tratta XXIV.5 – Le domande sono forse mal poste



[La risposta alla domanda finale di XXIV.4. Potrebbe correre proprio il rischio lì segnalato, potrebbe cioè chiudere banalmente una questione banale.
IMC è un’ipotesi banale?
Non mi sento di escluderlo del tutto, se non fosse per il dubbio che ho sulla significatività del termine ‘banale’. Spesso usato in senso spregiativo, i matematici ne fanno quasi un sinonimo di ‘ovvio’, come di qualcosa che si incontra per via senza farci caso. Mentre il ‘banale’ si fa in genere notare, perché lo troviamo frammisto a ciò che banale non è o perlomeno che noi non riteniamo tale.
Esempi di ‘banale’ che smentisce se stesso li troviamo in abbondanza in Mahler, in Mozart e perfino in Beethoven, mai tuttavia in Bach, che sembra refrattario al concetto. In letteratura la ‘banalità’ è legata soprattutto al contenuto, mentre nelle arti figurative è equamente ripartita tra contenuto (significato) e forma. L’astrattismo sembrava, attraverso l’abolizione del rimando a un ‘rappresentato’, aver aggirato il problema, poi però si è visto che anche un semplice accostamento di colori o una troppo prevedibile disposizione di linee poteva essere avvertito come ‘banale’. Ovunque lo si incontri, il ‘banale’ è comunque, sia come oggetto che come giudizio, un prodotto culturale la cui validità non supera i confini dell’UCL che l’ha prodotto.
Veniamo ora a IMC. È o non è un’ipotesi banale?
Scientificamente è probabile che lo sia. Ma all’uso del metodo scientifico non è obbligatorio, anzi forse neppure adeguato nel nostro caso. IMC è nata per l’uso quotidiano, non specialistico, quindi nel suo ambito la banalità potrebbe addirittura non trovare posto. Un giudizio di banalità suonerebbe supponente, pronunciato dall’alto in basso, quindi esso stesso a suo modo ‘banale’ in quanto non commisurato al livello comunicazionale in atto.
IMC risulta banale anche a livello del parlare comune? A giudicare dai suoi equivalenti – ”tante teste, tanti cervelli”, “è questione di punti di vista” e simili – si direbbe di sì ma si tratta effettivamente di equivalenti? O non piuttosto di indebite semplificazioni, banalizzazioni?
Le domande sono forse mal poste. Le frasi surriportate sono preesistenti a IMC, quindi non possono essere lette come sua semplificazione. Tutt’al più è IMC una loro formalizzazione ‘dotta’, escogitata per trovare cittadinanza in un UCL filosofico più accreditato. Sappiamo però che non è così, che IMC è nata in un terreno di esperienze pratiche condotte nelle scuole primarie di paese, lontano dai centri in cui si discute di filosofia. Se delle convergenze vi sono state (cosa peraltro indubitabile), ciò non fa che dimostrare l’unicità progettuale – meglio genetico-evolutiva – del cervello umano da Einstein al quasi estinto contadino della Maremma laziale.
Forse la relativizzazione della banalità, qui tentata, ci porta ad escluderla da un uso discriminante: ciò che oggi giudichiamo ‘banale’ poteva non esserlo affatto pochi secoli fa, o anche, nella contemporaneità, basta un cambiamento di UCL, perché la ‘banalità’ diventi il caso ‘interessante’ per eccellenza. Da quanto detto la domanda se IMC è banale o forse troppo imprecisa per meritare una discussione non banale. Proprio IMC induce peraltro a discussioni che, come questa, rischiano la banalità e non portano a nessun risultato praticamente utilizzabile nella quotidianità. Discussioni di questo tipo servono forse a una sorta di ginnastica del cervello, come l’enigmistica o il gioco degli scacchi. Possono però anche – come capita a me dagli ottanta in poi – ridursi a un vuoto allenamento senza finalità. La teoria di IMC A. tuttavia uno strumento per difendersi da questi assalti di pletoricità: l’arresto, il cui uso tuttavia non è regolamentato e potrebbe giungere immotivato, solo per stanchezza. Al di là si sia o no banale, IMC non ci preserva dalla banalità, anzi per certi versi la incentiva. Sta comunque a noi, alla nostra mente evitarla. Perché ciò possa accadere, dobbiamo imparare a riconoscerla anche quando ci si presenta in veste autorevole e paludata, da professore universitario, o semplice e dimessa, da operatore metaculturale.]

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