giovedì 6 novembre 2014

Tratta XXI.3 – Un monologo recitato tra sé e sé



[Dialogante 2]  Lo stesso o un altro qualcuno potrebbe chiedere: perché ‘dialoghi’ e per giunta fittizi?
[Dialogante 1]  Per la stessa ragione già detta: perché il dialogo, tollerando molte ripetizioni di parole, facilita l’esposizione e la inframezza con pause per l’occhio e l’orecchio che alleggeriscono il lavoro della mente sia di chi scrive sia di chi legge.
[Dialogante 2]  Qui però il dialogo, come dici, è fittizio e non finge neppure un effettivo contraddittorio, semplicemente alternando le voci in uno stesso itinerario espositivo.
[Dialogante 1]  Anche i dialoganti non mostrano un’identità personale. Gli stessi interventi si addicono all’uno come all’altro e più di una volta chi scrive ha scambiato i simboli per i due dialoganti senza cambiare di una virgola il testo.
[Dialogante 2]  Come se il dialogo fosse in realtà un monologo recitato tra sé e sé.
[Dialogante 1]  Un’ulteriore semplificazione!
[Dialogante 2]  Vuoi dire che di semplificazione in semplificazione non resta nulla?
[Dialogante 1]  Non voglio arrivare a questo. Non si tratta comunque di dialoghi letterari e al lettore resta il compito di arricchirli con un suo contraddittorio.
[Dialogante 2]  Anche lo scrivente si rivolge di quando in quando direttamente al lettore. A ciò servono le parentesi (quadre) che si trovano disseminate qua e là tra i dialoghi.
[Dialogante 1]  Queste – o meglio i loro contenuti – tentano di coinvolgere di persona il lettore, senza infingimenti dialogici, chiedendo il suo parere o proponendogli questioni che lo scrivente ritiene rilevanti.
[Dialogante 2]  La forma dialogica è così mantenuta, solo che l’uno dei due dialoganti si è fatto da parte per lasciare il posto a un intervistatore ‘reale’.
[Dialogante 1]  Saremmo molto grati ai lettori se si inserissero nei nostri dialoghi, profittando della loro struttura aperta e accogliente di buon grado qualsiasi contributo senza alcuna esclusione preconcetta.

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