[Dialogante 2] Ora, se
permetti, una breve riflessione sul linguaggio musicale, che dopo tutto è il
nostro passato. Di questo linguaggio abbiamo quasi sempre parlato –ma anche lo
abbiamo praticato– come se fosse unicamente un prodotto razionale senza alcuna
partecipazione della sfera emozionale…
[Dialogante 1] … certo una
falsità, anche intesa soggettivamente. Chi ci conosce sa quanto siamo piuttosto
al contrario, un eccesso di emotività che ci ha costretto a rifugiarsi dietro
un paravento di razionalità per evitare il ridicolo.
[Dialogante 2] Questo non
vale del tutto per l’attività produttiva, che risente spesso di una certa
secchezza si direbbe programmatica.
[Dialogante 1] … Ma non era
nostra intenzione parlare di questo, ma, più in generale, nel ruolo
dell’emotività nella produzione artistica e nella musica in particolare, che
viene spesso invocata come l’arte sentimentale per eccellenza…
[Dialogante 2] … e tale
resterebbe anche nei suoi esempi di razionalità estrema, come L’Arte della fuga o l’Offerta musicale.
[Dialogante 1] È una
valutazione fatta in assenza di strumenti analitici specifici, che tuttavia
coincide singolarmente con il dettato della ragione.
[Dialogante 2] Riesce
spesso anche la controprova: così i Lieder
schubertiani che non lasciano
nessun ascoltatore con il ciglio asciutto –come Erlkönig o la Winterreise
o gli Heine-Lieder–reggono
perfettamente alle più severe delle critiche formali.
[Dialogante 1] Vuoi dire
che non c’è contrasto tra la più intensa espressività e il più implacabile
rigore di scrittura?
[Dialogante 2] Ovviamente.
Ma c’è coincidenza?
[Dialogante 1] Direi che la
questione è malposta. Ci sono progetti compositivi che includono l’emotività,
anche estrema –tipo Amami, Alfredo–,
e altri che non l’includono, come appunto L’Arte
della fuga, indipendentemente dalla qualità espressiva. C’è una
espressività che passa per le ghiandole lacrimali e un’altra che si ritrae
prima di raggiungerle.
Nessun commento:
Posta un commento