[Dialogante 1] Soffermiamoci
un momento sull’immagine che abbiamo scelto per questo libro, l’immagine della
tratta come struttura architettonica finalizzata a congiungere due punti
separati fisicamente da uno spazio vuoto.
[Dialogante 2] Più che
vuoto, lo direi invalicabile: potrebbe per esempio essere traversato da un
fiume, da una linea ferroviaria, da una valle abitata da scorpioni giganti…
[Dialogante 1] Potrebbe,
questo spazio, essere puramente mentale, è anzi il caso che effettivamente ci
interessa, non essendo noi tecnici del genio pontieri.
[Dialogante 2] Premettiamo,
come ipotesi, che qualsiasi punto di uno spazio X possa essere congiunto con
qualsiasi altro mediante una o più tratte.
Il caso è oggi, nell’era di internet, degli e-mail per non dire di radio e
televisione ecc., di realtà domestica. Teoricamente queste tratte non c’è
neppure bisogno che siano interne a un determinato spazio, per esempio alla
nostra galassia; potremmo inviare ponti elettromagnetici anche in altri
universi, o anche riceverne messaggi, solo che avessimo un po’ di pazienza…
[Dialogante 1] Che aspetto
avrebbe un mondo traversato da infinite tratte?
[Dialogante 2] Le tratte
mentali non si vedono, come dal resto anche quelle elettromagnetiche.
[Dialogante 1] Possono però
essere percorse, fisicamente dalla luce o da energie di varia natura,
mentalmente dal pensiero e questo non le rende meno reali di un pugno sul naso,
posto che lo sia e non solo sognato.
[Dialogante 2] Supponiamo
ancora che con qualche accorgimento tecnico tutte queste tratte divengano
visibili, ripeto: che aspetto avrebbe l’universo?
[Dialogante 1] Penso di
un’enorme palla luminosa e compatta.
[Dialogante 2] Ma perché
luminosa?
[Dialogante 1] Per
l’energia che emana.
[Dialogante 2] E perché
compatta?
[Dialogante 1] Perché
riempie tutto lo spazio di cui dispone.
[Dialogante 2] Ecco di
nuovo che fai il finto tonto. Come se esistessero due spazi: quello occupato
dal Tutto e quello in cui il Tutto è contenuto, o addirittura un terzo che
riceve la luce emessa dal Tutto.
[Dialogante 1] Non è che
faccio il finto tonto; è proprio che siamo ritornati
a Parmenide.
[Dialogante 2] È come se ci
fosse il divieto di andare oltre l’uno. Già il due ci pone di fronte a un
problema logicamente insolubile.
[Dialogante 1] Il due è
impensabile senza il tre: infatti nel momento che pensiamo genera il tre…
[Dialogante 2] … così come
il tre, pensato, genera il quattro…
[Dialogante 1] … e il
quattro il cinque e così via, all’infinito.
[Dialogante 2] Non per
nulla i matematici hanno inventato l’operatore +1, da cui hanno
derivato la serie numerica e financo il concetto di numero.
[Dialogante 1] Mi domando
se già il due non sia stato generato metaculturalmente, cioè per riflesso,
dall’uno.
[Dialogante 2] Se così
fosse, avremmo che la riflessione e non il divenire è all’origine di tutte le
cose…
[Dialogante 1] … in una
parola, IMC.
[Dialogante 2] Non è che
stai andando troppo in là?
[Dialogante 1] Dimmi dove
comincia il ‘troppo’.
[Dialogante 2] Temo che
cominci già dal due, se lo distinguiamo dal uno.
[Dialogante 1] Ma la
distinzione è la base del pensiero, è già
il pensiero.
[Dialogante 2] Anche
l’animale distingue, perfino la cellula, che appetisce certe sostanze, altre ne
rifiuta. Forse è già in quel primo appetire o rifiutare che nasce il pensiero.
[Dialogante 1] Ancora una
struttura triadica appetire/rifiutare/pensare.
[Dialogante 2] Ricordo che
negli anni di Musica prima[1]
avevamo inventato un’altra struttura triadica, diversamente orientata associo/riconosco/distinguo. Vorrà ben dire qualcosa!
[Dialogante 1] Non credo.
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