[Dialogante 1] Scusa, ma
non ho capito bene se sei favorevole alla democrazia partecipativa più che a
quella rappresentativa.
[Dialogante 2] Non so
risponderti con chiarezza. Credo che tutt’e due abbiano bisogno di una tratta che porti a loro, e questa tratta dovrebbe prefigurare la
condizione di arrivo.
[Dialogante 1] Per fare
questo i costruttori delle tratte dovrebbero conoscerla, questa condizione, per
evitare i gravi errori già commessi.
[Dialogante 2] Quali
errori?
[Dialogante 1] La
democrazia partecipativa di cadere nell’assolutezza del comunismo, quella
rappresentativa di dissolversi in un pluralismo verboso e inconcludente.
[Dialogante 2] E a chi
affideresti il compito di formare dei cittadini all’uno o all’altro modello?
[Dialogante 1] Non parlerei
di adeguamento a un modello, ma di conoscenza di ambedue, e anche dei molti
altri che la storia ci propone al fine di una valutazione il più possibile
consapevole. In ogni caso penso che sia la scuola a doversi far carico di
questa informazione, ma non solo in linea teorica, ma anche attraverso momenti
esemplificativi concreti.
[Dialogante 2] Cose del
genere si sono già fatte, forse limitatamente a un solo modello, quello
autoritario nel periodo fascista o quello post-sessantottino degli anni più
recenti, mai però in modo da permetterne il confronto effettivo.
[Dialogante 1] Per arrivare
a questo occorrerebbe una riforma radicale della scuola, soprattutto la
transizione –anche questa una tratta– da una scuola di nozioni e di specifiche
abilità a una scuola esperienziale di vita. Ciò non implicherebbe una
svalutazione delle nozioni e neppure del nozionismo, ma una ristrutturazione
del tempo scolastico, del rapporto insegnante e allievo e della trasmissione.
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