sabato 1 settembre 2012

Convivenza pacifica...


Fotografia di Juliana Trujillo
[434]
Si parla molto –ma si fa poco– di convivenza pacifica nella diversità. Si parla anche –ma si fa ancora a meno– di convivenza pacifica tra noi e il nostro pianeta. Intanto, per cominciare, a che titolo ‘nostro’? Perché siamo noi a devastarlo?
Molte altre specie convivono con noi, ma non lo devastano.
Perché altre specie glielo impediscono.
Noi invece ci siamo eletti unici rappresentanti di una specie ‘superiore’, in diritto di considerarsi proprietaria del pianeta e di chi ci vive. Sappiamo benissimo che non è così perché ce lo ripetono a ogni passo centinaia di voci più o meno autorevoli, che però restano per lo più inascoltate. E chi sono queste voci?
Ogni paese ha la sua. Interi movimenti le hanno fatte proprie: così in Francia Serge Latouche sta da anni studiando l’impatto negativo che la specie umana produce sull’ambiente e propone, di contro alla diffusa l’idea (ideologia?) di una crescita illimitata della nostra specie e del suo potere, una graduale decrescita fino a ritrovare tra noi e l’ambiente –fisico e biologico– il perfetto equilibrio. In Italia l’analogo movimento per una ‘decrescita felice’ è portato avanti da Maurizio Pallante e dai suoi collaboratori. Ma probabilmente nella maggior parte dei paesi esistono oggi iniziative simili, alcune delle quali, come Greenpeace, assai attive anche politicamente. Questa difesa dei diritti alla vita (o della vita) è inoltre fortemente radicata in molte religioni, soprattutto orientali ma anche nelle credenze animiste diffuse in tutto il mondo. Molto meno convinta questa adesione alla vita e ai suoi ‘diritti’ appare nelle grandi religioni ‘rivelate’ (giudaesimo, cristianesimo, islam), dove l’attaccamento ai valori ‘trascendenti’ rende i fedeli assai meno sensibili a quelli che direttamente ci riguardano. Per un cristiano, un ebreo o un musulmano la natura e i viventi non umani sono soprattutto un terreno di conquista e sfruttamento, ed è proprio questa visione antropocentrica che, unitamente al potere acquisito in particolare dalle popolazioni più interessate allo sviluppo tecnologico, ci ha portato al distacco dalla comune matrice naturale, distacco cui dobbiamo oggi il pericolo che tutti ci sovrasta, ma del quale, pervicacemente, non vogliamo sentir parlare.

Nessun commento: