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La mente
è capace di altre forme di pensiero che non siano logiche?
Certamente,
anzi sono le forme più usate, perché ritenute più ‘libere’, meno imbrigliate da
un rigorismo che sembra non lasciare spazio all’avventura, al rischio. La
logica offre tuttavia garanzia di correttezza, non teme il contraddittorio,
risulta vincente ogni qualvolta le riesce di costringere l’avversario sul suo
terreno.
E qual è
questo terreno? È un optional e possiamo rifiutarlo a priori? In altre
parole: chi decide della validità del pensiero, il singolo, un convincimento
sociale, un principio universale? Già a questo punto le opinioni divergono. Per
alcuni, è dogmatico, non esiste neppure una divergenza possibile: le verità di
ragione sono inconfutabili. Attenersi ad esse non è un optional,
rifiutarsi è una ‘colpa’ che rende il colpevole alla mercé del giudice o
eventualmente del suo ‘perdono’. Fides et ratio, secondo i cattolici,
salvo poi declinare tutta una serie di eccezioni per cui vale solo la fides
con tanti saluti per la ratio. Questa e la sua ancella aristotelica, la
‘logica’, costituiscono una società e responsabilità limitata, che tuttavia
garantisce gran parte delle operazioni mentali della quotidianità; per le
altre, rivolgersi altrove, non più al nostro cervello.
Per
altri, logici anch’essi ma non dogmatici, la razionalità si estende molto al di
là della logica aristotelica e giunge fino a investirne di nuove, che il
cervello accetta, seppure con qualche titubanza, ma da cui la società nel suo
insieme prende le distanze, ora rifugiandosi nella comoda tana della
tradizione, ora rifiutando del tutto il pensiero logico, abbandonandosi
interamente all’avventura extralogica. Altri ancora non si pongono neppure il
problema, delegando il pensiero a chi, secondo loro, è in grado di gestirlo, e
sono coloro che confidano comunque in un’ autorità, vera o presunta, fosse
anche quella di un testo scolastico. Pensare è faticoso, e, allora, meglio
servirsi di un pensiero già pensato e ben confezionato.
Me c’è
anche chi si diverte a pensare, anche fuori dai sentieri battuti, ma senza
rinunciare al controllo della mente. E cercherà di capire per prima cosa il
funzionamento del pensiero attraverso l’appercezione, quindi per mezzo
dell’analisi psicologica. Poi rivolgerà l’analisi agli stessi strumenti
utilizzati, alla cultura che glieli ha fabbricati e così via. È il normale
percorso che abbiamo chiamato ‘metaculturale’, e che, stando a giusta
descrizione, darebbe ragione anche delle varie logiche attuali o possibili,
sempre lasciando aperta la spirale del pensiero.
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